Di Lunedì Botte ne ho già parlato qui.
Le prime due recensioni le trovi qui e qui.
Il tutto con la gradita collaborazione di Bloodbuster, dove potrete trovare i film recensiti e molto di più.
Prima di parlare del film di questa settimana, un Jackie
Chan d’annata, è giusto che il mondo venga messo al corrente di come sono
davvero andate le cose. Perché noi di Long Wei ci teniamo a fare tutto per
benino, e quando recensiamo un film del buon caro vecchio Jackie ci premuriamo
sempre di contattarlo e parlarne prima con lui.
Vi risparmierò il resoconto dell’incontro tra me
e il buon Jackie dalle parti di Via Paolo Sarpi a Milano, che – inutile dirlo –
è stato tutto un “ti voglio bene, fratello” e pacche sulle spalle come se
piovesse. In questa sede mi sembra d’obbligo, però, riportare qui un’immagine
significativa dell’entusiasmo dimostrato dal mio amico quando ha saputo che
sarei stato io a recensire un suo film.Ma veniamo a noi.
Non un film qualsiasi, a dirla tutta. Uno di quei film che
hanno proiettato Jackie Chan nell’olimpo dei divi di arti marziali del periodo
post Bruce Lee. Un film che ha avuto ben quattro seguiti, che ha incassato come
pochi altri e ha rimarcato la versatilità del protagonista, a suo agio nel
passare dai toni hard-boiled a quelli comici senza mai perdere la sua bravura
nel menare le mani.
Il film in questione è Police
Story, datato 1985 e figlio della grande produzione cinematografica di Hong
Kong, che vede alla regia lo stesso Jackie Chan.
Il protagonista è l’ispettore di polizia di Hong Kong Chan
Ka-Kui (interpretato appunto da Jackie Chan) il quale, dopo essersi distinto in
un’operazione contro un potente trafficante di droga, viene incaricato di
proteggere la testimone chiave del processo: la segretaria del trafficante in
questione.
Ma le cose non sono così semplici: la testimone scappa (non
dopo aver creato un bel caos nella vita amorosa del protagonista), Ka-Kui viene
accusato dell’omicidio di un poliziotto e si ritrova così a dover dimostrare la
propria innocenza. Oltre a cercare di fare pace con la propria fidanzata, di
ritrovare la testimone, di sgominare gli scagnozzi del trafficante e di farlo
arrestare. Facile, no?
In Police
Story nessun combattimento è fine a
stesso o isolato, slegato dal contesto in cui avviene. Le scene di lotta sono
tutte spettacolari, e anche quelle in cui non ci sono combattimenti hanno un
impatto visivo fortissimo (memorabile, su tutte, la scena in cui Ka-Kui prende
al volo un autobus appigliandosi a un ombrello – scena che mi ha convinto del
tutto a voler comprare un ombrello a Hong Kong). Ogni luogo, ogni pezzo di arredamento, ogni struttura architettonica è funzionale e diventa parte integrante della lotta. Jackie Chan sfrutta la propria abilità nelle arti marziali integrandola – e quindi ampliandola – grazie all’uso di ciò che lo circonda. In un tutt’uno che dimostra come l’unione con l’ambiente circostante sia sinonimo di forza e armonia.
Nel film, come si diceva, i registri narrativi spaziano dal
noir alla commedia, in un susseguirsi di momenti drammatici e intermezzi comici
in cui l’attore mostra tutto il suo talento. Si ride, soprattutto nella parte
centrale, subito dopo una rocambolesca scena iniziale che tiene con il fiato
sospeso per tutto il tempo e subito prima di un violento combattimento in un
centro commerciale.
E poi titoli di coda. Che nei film di Jackie Chan non sono
mai secondari. Non comuni bloopers – ma sì, anche quelli – ma spezzoni dei
combattimenti e scene di azione del film. A rimarcare una caratteristica
fondamentale.
L’attore non usa mai stuntman.
Viene tutto interpretato
da Jackie Chan. Tutte le scene di azione, anche le più pericolose, sono
appannaggio dell’attore stesso. È lui il
primo a prenderci le botte.
C’è un momento ben preciso, durante questa scena, un momento
in cui viene espresso chiaramente quello che rappresentano le arti marziali.
Subito dopo aver picchiato, essere stato picchiato e aver fatto fuori i
cattivoni, Jackie Chan fa una cosa.
Trattiene la sua rabbia.
Si trova faccia a faccia con il nemico, quel trafficante di
droga che stava inseguendo dall’inizio. Diventa furioso, le sue vene si
gonfiano, i suoi muscoli vorrebbero esplodere. Ma tutto si trattiene. Lui,
Jackie Chan, trattiene la rabbia.
Poi però fa un’altra cosa, prende a pugni il suo nemico
scaricando tutta la sua furia. Ma è solo per un attimo. Un attimo che incastra
quella rabbia trattenuta poco prima tra il combattimento da eroe e il momento
di debolezza umana. A metà, a unire i due poli, c’è tutto quello che
rappresenta il Kung Fu.
E ora la domanda fatidica. Potrebbe Long Wei interpretare la
parte dell’ispettore Ka-Kui? Potrebbe.
Potrebbe perché i toni del film
alternano un registro più umoristico a
uno più impegnato, proprio come succede nella serie di Long Wei. Potrebbe
perché, come Ka-Kui, Long Wei fa dell’ambiente che lo circonda uno strumento
fondamentale per sconfiggere il nemico. Potrebbe, perché per quanto riguarda
l’ambito femminile, i tratti da simpatico imbranato di Ka-Kui non sono poi così
distanti dall’eroe di Paolo Sarpi.
Ma.
C’è un ma che fa la differenza tra il “potrebbe” e il “può”.
Ka-Kui è un ispettore di polizia, una figura ufficiale, un personaggio che non
ha nessun problema ad apparire in televisione o in una conferenza stampa. Il
suo ruolo è ben preciso, delineato. Ufficiale.
Tutto ciò che il Nostro protagonista non è.
Long Wei agisce nell’ombra, nascosto, sfuggente a qualsiasi
riconoscimento o incarico ufficiale. È un eroe silenzioso, al contrario di
Ka-Kui.
Anche se, quando picchiano, entrambi sanno fare un bel
rumore.
Police Story
di Jackie Chan
Con Jackie Chan, Maggie Cheung, Bill Tung, Charlie Cho, Hark-On Fung.
90 min.
Hong Kong, 1985
Si ringraziano il Kota per il banner e il sito Jackie Chan - Living Legend per le immagini.
Il meme in alto è frutto
di un’accurata documentazione su: http://memegenerator.net/Jackie-Chan
E no, purtroppo non
mi sono visto davvero con Jackie Chan. Ci siamo solo sentiti per telefono.
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