

Scendi le scale il più lentamente possibile, cercando di non farti sentire da nessuno. Il vecchio è ancora lì, a suonare la sua chitarra sulla riva del fiume. Sta strimpellando un vecchio blues di Muddy Waters, straziando ogni corda in memoria dei bei tempi passati.
Quando finisce, inizia a raccontarti la sua solita storia di fantasmi. Gli dici che non hai più paura dei fantasmi, che i fantasmi non esistono. Lui posa la chitarra, fissandogli negli occhi. Gli chiedi se questo è solo l’inizio, se sta già arrivando una guerra civile. Ti risponde gettando sassi nel fiume, lentamente, troppo.
La notte è buia, e le stelle respirano in silenzio intonando melodie che non riesci a sentire. Solo il fiume sembra vivo, anche se non lo ammetterà mai.
Il vecchio continua a gettare sassi, soppesando ogni lancio come se da ognuno di esso dipendesse il tuo futuro. Impugni la sua chitarra, provi la vecchia canzone con cui avevi debuttato tanto tempo prima. E’ l’unica che conosci, ma non è mai importato davvero a nessuno.
Il vecchio si ferma, e si volta verso di te. “Non sei capace, non lo sei mai stato”, ti dice. Ti chiedi se si riferisce al suonare la chitarra o alla guerra civile, ma lui non ti dà il tempo di formulare il pensiero.
“Domani arriverà lo sceriffo, si risolverà tutto”. Dice proprio così, ma si vede che non ci crede neanche lui. “Allo sceriffo non gliene frega nulla di quello che succede qui – gli rispondi – questa non è la sua giurisdizione”.
Le tue parole si spengono nel cicalio dei grilli che hanno deciso di accordare gli strumenti per la loro serenata alla luna. Cominci a sentire freddo, forse uscire dalla tua stanza non è stata una buona idea.
Il vecchio sembra leggere nei tuoi pensieri: “Non sei abituato alla notte”, ti dice, guardando fisso davanti a sé. “Non pensavo di doverlo mai fare”, gli rispondi. Il vecchio non dice nulla, ma riabbraccia la sua chitarra e inizia ad intonare Blowin in the Wind, di Bob Dylan.
Ti viene da pensare che vuole dirti qualcosa, che quel vecchio, con quella chitarra e quella canzone, sta cercando di mandarti un messaggio. Ma non hai neanche il tempo di pensarlo, perché ti accorgi che dal’altra parte del fiume un’ombra gigantesca e minacciosa ti sta fissando.
E’ un orso bruno, di quelli poco amichevoli e sempre affamati. Lo riconosci subito, ma non dici nulla. Cerchi riparo nello sguardo del vecchio, ma lui ormai è già alla seconda strofa. Questa canzone ci ucciderà, pensi.
Intanto l’orso continua a fissarti, con i suoi occhi che penetrano il buio della notte. Forse non ha cattive intenzioni, ma non ne sei sicuro.
Ti torna alla mente il fucile che il vecchio aveva nascosto nella cassapanca della cucina. Ti sarebbe di aiuto, in questo momento, ma la paura ti impedisce anche solo di compiere il minimo movimento. L’orso prova ad attraversare il fiume, ma senza troppo successo.
Il vecchio ora ha finito la canzone, e alza la testa come in cerca di un applauso dal suo vecchio pubblico. Poi si gira verso di te: “Dov’è il tuo amico cacciatore? Ora ci sarebbe d’aiuto, altrochè”. “Quale amico cacciatore? – gli chiedi, senza mai togliere gli occhi di dosso dall’animale. “Forse mi confondo con qualcun altro”, dice. Non ti importa, non ti importa davvero.
In questo momento sai solo tre cose. La prima è che non hai mai avuto un amico cacciatore, la seconda è che la notte è più fredda di quanto immaginassi e la terza è che un’enorme guerra civile sotto forma di orso sta tentando di attraversare il fiume per fare colazione con la tua pelle.
“E’ così che arriva, allora?”, chiedi al vecchio, che nel frattempo ha ricominciato a suonare scomodando addirittura i canti tipici del suo popolo. Si ferma, fissandoti a lungo: “Arriva come vuoi che arrivi tu, figliolo. E non puoi fare nulla per evitarla, devi solo cercare di combatterla. Perché credi che io abbia quel fucile nascosto nel ripostiglio?”
Stai già pensando di obiettare che il fucile è nascosto nella cucina, ma mentre il vecchio diceva la frase più lunga della sua vita, l’orso era riuscito ad arginare il fiume ed ora si stava muovendo a grandi passi verso di te.
Proprio un attimo prima che riesca ad agguantarti, scatti dalla sedia per correre in casa. Apri la cassapanca nella cucina, ma ti accorgi che il fucile non c’è.
Il rumore della porta sfondata non ti dà neanche il tempo di maledire la tua memoria, perché l’orso è già lì. “Devi trovare il tuo fucile, ragazzo. Non te ne farai nulla del mio. Questa è la tua guerra civile, non la mia”.
La voce del vecchio risuona piatta, dall’interno. Potrebbe aver recitato i versi di una poesia, per quanto ne sai. Ma l’orso è a due passi da te, furioso, assetato di sangue. Scappi al piano di sopra, correndo.
“Maledizione – pensi – sveglierà tutti gli altri”. E mentre ti accorgi di quanto sia stupido quello che ti passa per la testa in quel momento, assumi la consapevolezza che è davvero come dice il lui. Fuggire non ti servirà a nulla, perché lei ti raggiungerà dovunque.
Sai che ti serve un’arma, e sai altrettanto bene che l’unico posto dove non ne troverai una è la tua stanza. Buffo, perché le tue gambe ti hanno già portato lì.
Apri la porta, sperando che l’orso abbia rinunciato all’inseguimento, senza sapere quanto hai maledettamente ragione. L’orso è già dentro, ritto davanti al tuo letto e pronto a sbranarti.
Il tempo di realizzare che sei vicino alla linea di demarcazione tra la vita e la guerra, che il tuo istinto di sopravvivenza ti fa chiudere la porta e tornare indietro.
Non hai altra scelta, devi svegliare i tuoi amici. Bussi freneticamente alle loro porte, ma sono tutte aperte. Entri e ti accorgi, porta dopo porta, che non c’è più nessuno. I tuoi amici non ci sono più, sono stati già divorati dall’orso, hanno già saziato la sua fame. Ormai ci sei solo tu, l’orso, e le note di Proud Mary dei Creedence Clearwater Revival suonate dal vecchio, vicino al fiume.
Corri a perdifiato, con i tuoi muscoli stremati dalla disperazione. Ti muovi da una stanza all’altro, cercando un’arma, ma senza nessun risultato.
Ti ritrovi solo con i tuoi pensieri, e maledici il giorno in cui non hai affrontato le tue paure e non hai preso quel dannato porto d’armi. Senti un suono dietro di te. L’orso è arrivato, pronto a riscuotere il suo tributo di sangue.
Ti volti, non hai altra scelta. Chiudi gli occhi, chiedendoti se sarai pronto a quello che sta per arrivare e stupendoti di come il tuo ultimo pensiero riguardi quella chitarra con cui hai debuttato tanti anni prima. Ma non importa, non importa più davvero.
Tutto si fa buio, e caldo. Riapri gli occhi, e la prima cosa che vedi è la zampa dell’orso grondante di sangue. Il tuo sangue, per la precisione. Il tempo di chiudere di nuovo gli occhi, che senti gli artigli della bestia squarciare la tua carne sempre più violentemente, sempre più a fondo.
E in un attimo di rendi conto di esserci già, senza avere avuto neanche il tempo per le tue ultime preghiere. Avresti pregato per il vecchio, e per il fiume. Non per te stesso, quello no, di te non ti importa. Ma del vecchio sì, e anche del fiume, forse. Ma ora è troppo tardi per qualsiasi preghiera, ora è troppo tardi per tutto.
Sei nella guerra civile, che tu lo voglia o meno. La guerra civile che ti strazierà e ti divorerà, fino all’ultimo brandello. Ma è la tua guerra, e sai che dovrai combatterla con onore, anche se l’onore è solo una chitarra che suona per un fiume in una notte stellata.
Ti svegli di soprassalto, con il corpo grondante di sudore e gli occhi fuori dalle orbite, con un orso che ti sta divorando l’anima e un pensiero che ti martella nel cervello: la guerra civile è arrivata.