martedì 8 febbraio 2011
Ricordo
Mi chiamo Tommaso Salvemini, e lavoro in questo fast food dietro lauto pagamento di cinque euro l'ora. Lavoro otto ore al giorno, escluso il mercoledì, potete facilmente capire quanto guadagno a fine mese. Niente male direste voi, alcuni ci metterebbero la firma col sangue per avere ciò che ho io. Non mi lamento, anzi, lo faccio continuamente, ma in silenzio. Io vorrei capire chi è che decide quanto vale un'ora della mia vita. Cinque euro? Dieci euro? Venti euro? Chi è che decide? Chi è un uomo che valuta età, peso, razza, caratteristiche fisiche e caratteriali e decide quanto vali ad ora. Io valgo cinque euro, adesso. Prima ne valevo molti di più, enormemente di più. Prima per un modesto impiego di mezza giornata arrivavo a guadagnare cinquemila euro. Capite il perchè mi sento un po' soffocare in questa merda di fast food, un posto pieno di adolescenti che cercano di rimorchiare altre adolescenti offrendogli regalini stupidi o panini omaggio. Ai miei tempi l'amore era un'altra cosa. "Ai miei tempi", ormai ragiono come un vecchio.
Vi ricordate tutti cosa faccio no? Senza che ve lo rispiego. Basta leggersi il mio intervento precedente e capire ciò che ero e cosa facevo. Io vi assicuro che il mio lavoro lo sapevo fare bene, benissimo. E oggi vi racconterò come è iniziata. In modo semplice.
Provengo da una famiglia modesta, a tratti povera, ma questo prima che arrivassi io al mondo. Da quando sono nato le cose andarono un po' meglio. Mio padre trovò un lavoro soddisfacente: operatore ecologico. Così li chiamano adesso. Un modo soft per non dire netturbino o immondezzaro. E' come chiamare un barbone "senzatetto" o "clochard". Fa più figo, ma rimane pur sempre un barbone che non ha casa, ne famiglia, ne soldi. Ma sto divagando.
Mio padre iniziò a lavorare stabilmente dalla settimana successiva in cui io nacqui. E' sempre stato un gran lavoratore, mio padre. Non posso ovviamente dirvi il nome perchè sennò si capirebbe chi sono io, e questo non voglio che accada. Comunque vorrei vantarmi del fatto che mio padre fu uno dei primi a far la raccolta differenziata. Inutilmente perchè tanto, alla fin fine, si metteva tutto nello stesso contenitore, ma almeno il senso civico, in lui, era sempre molto presente. Mia madre, invece, era una casalinga(barra)infermiera a domicilio(barra)sarta(barra) altre duecento cose. Mia madre si arrangiava. Riusciva a portare a casa una ventina di euri(a quei tempi erano quarantamila lire, e ci sembravano milioni) al giorno, facendo questo e quest'altro. Non si vedevano quasi mai lei e mio padre. Solo il sabato e la domenica. E tutto quel tempo lo passavano insieme, senza staccarsi nemmeno per un attimo. Se c'era da far la spesa ci andavano insieme, se c'era da stendere i panni lo facevano assieme, se c'era da aggiustare una mensola, lo facevano assieme. Erano l'esempio esatto del perfetto amore, i miei, e io ero felice. Si sa che i bambini crescono bene con un ottimo ambiente familiare, e io crebbi bene. Ero un ragazzo da sposare: gentile, simpatico, intelligente e tutte le qualità che potete trovare in un ragazzo che predica la non-violenza, odia le persone aggressive e sa farsi rispettare con le parole. Ovviamente ero piccolo, ovviamente non capivo come andava il mondo.
Ho fatto le scuole, tutte, quelle dell'obbligo. Ho concluso pure la ragioneria. Con ottimo profitto, o almeno così pensavo. Un ottantadue che aveva reso molto orgoglioso non solo me ma anche mio padre e di conseguenza mia madre e Katia. Chi è Katia? E' una storia lunga, poi ci arriveremo.
Comunque mio padre fu così contento da propormi un impiego verso la sede dove lui operava, ormai aveva una certa età e non gli consentivano più di fare i giri di notte per la città. Ne fui contento, era un mestiere come un altro, perfettamente in linea con i miei studi e perdipiù vicino a mio padre che avevo sempre ammirato. E così fu. Un anno insieme, solo di giorno per fortuna, e potevo vantarmi di portare a casa un ottimo stipendio che permetteva di aiutare i miei e di divertirmi. Ero soddisfatto, felice ci ero solo con Katia. Chi è Katia? E' una storia lunga, poi ve la racconto.
Comunque l'azienda in cui lavorava mio padre entra in quella spirale, oggi attuale, di problemi di budget vari e illimitati. Gli stipendi iniziano a non arrivare mai, neanche per il sottoscritto che ero addetto alle paghe e accade quello che tutti si aspettavano accadesse: la società chiude, niente lavoro per tutti, e io vengo bollato come portaiella. Eh sì, i colleghi di mio padre un po' non mi vedevano di buon occhio. Appena arrivato io in società, dopo un annetto, questa chiude e tutti vanno a spasso. Mio padre cade in depressione, profonda. Gli mancavano due anni per la pensione, e fu costretto a trovarsi qualcosa, di legale, che gli permettesse di chiudere con dignità la sua vita lavorativa. Ovviamente la trovò, ma solo dopo due anni di ricerche spasmodiche e serate al bar da ubriaco. In questo periodo non riconobbi più quello che io consideravo mio padre. Era diventato tutt'altro che quell'uomo gentile e protettivo che avevo conosciuto, era diventato rozzo, inutile, insopportabile e perennemente incazzato. Mia madre era l'unica che riusciva a calmarlo. Dopo due anni, dicevo, trovò un impiego che gli permettesse di chiudere quei quarantanni di lavoro per avere una pensione accettabile. Quell'impiego glielo trovai io, con i miei agganci, perchè nel frattempo ero passato dagli ottocento ai tremilacinquecento euri mensili.
Ci entri perchè ne hai bisogno e perchè forse è l'unica soluzione certe volte. E ci entri perchè, alla fin fine, senti che quella è molto più casa tua della cosidetta normalità. Mi ricordo i tempi in cui lavoravo per la nettezza urbana, all'amministrazione, ero felice e soddisfatto. Me lo ricordo. Ora, in questo fast food, non lo sono più. Perchè in mezzo c'è passato un mare in tempesta che ormai mi ha cambiato l'esistenza e l'idea stessa che avevo della vita. E non è il denaro che spinge a continuare a fare ciò che fai, pur essendo cattivo ed illegale, è il potere che ti da decidere e disporre della vita degli altri. Sempre sottostando agli ordini ovviamente. Ma di questo, della parte clou del mio ingresso in famiglia, ve ne parlerò la prossima volta. Ora è già tardi e non voglio rovinarvi ulteriormente la giornata. Vi parlerò, ve lo giuro, di come sono entrato e di come ero fottutamente bravo nel mio lavoro. E di Katia. Già, chi è Katia? Poi ci torneremo, ve lo giuro.
Etichette:
dodici,
Luttazzi4ever,
racconto
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Questo racconto mi piace sempre di più! :) Complimenti!
bello bello!Mi piace sisi.
Complimentoni:D
che bello :*
Tranquillo, non scocci!
Se ti seguiamo ci sarà un perché!
(sembra una canzone ma non è)
Beh, ora la storia di Tommaso sembra più completa, ma non so giudicare. La sua mamma assomiglia a me: cuoca (barra) sarta (barra) e tante altre barre.
Ma chi sarà mai questa Katia?
Io te la butto lì, se vieni a sbirciare nel mio piccolo blog c'è un pensierino per te. Ovviamente senza nessun impegno. E' l'unico tributo che posso darti. Ciao
Posta un commento