giovedì 2 dicembre 2010

Prologo



E' inverno. E' sera. E' Giovedì. In mezzo alle strade nella città, dopo le dieci e trenta, c'è desolazione. Tutti sono a casa. Tutti sotto le coperte. Tutti al caldo, a vedere qualsiasi cosa trasmetta quel mostro rettangolare che hanno in salotto. O a cercare chissà cosa su internet. Sarà la tecnologia che non capisco, sarà che non sono mai stato così di pari passo con la massa ma questa è una notte speciale. Questa è la tipica notte in cui la città sembra mia, quando passeggio in solitaria per le strade. Le poche macchine che mi strombazzano mentre perdo tempo ad attraversare il passaggio pedonale, non mi danno fastidio. Fanno parte dell'arredamento della mia enorme casa, sono giocattoli con enormi manichini dentro. Uomini, e donne, che cercano solo un luogo dove andare a copulare selvaggemente, senza rischiare di assiderarsi per il freddo. E pur sempre un modo per farsi caldo. Andatelo a dire agli uomini delle caverne, altro che stufa. Ogni sera rientravano dalla caccia e bum bum. Le pellicce mica ti riscaldano bene, ci vuole un po' di vero calore. Altro che donne col mal di testa a quei tempi, lì erano tutti antichi Siffredi, pronti al riscaldamento perpetuo. Ecco, appena inizio a pensare a qualcosa di serio me ne esco sempre con idee di film porno. Un giorno o l'altro mi metto e scrivo una sceneggiatura. Son certo che ricercano sempre nuovi ideatori di porcate. L'uomo ha un bagaglio di porno visti e pensati, nella sua mente, certamente vasto. Vastissimo. Si calcola che usiamo solo il 3 per cento delle potenzialità del nostro cervello. Il restante 97 per cento è diviso tra porno e calcio. In misura che cambia da maschio a maschio. Per le donne invece quello spazio è dedicato solo alle scarpe. Parlo a luoghi comuni. Un po' me ne vergogno. Ma non così tanto.
Fa freddo. Il termometro della farmacia segna 4 gradi. Non è male. Sempre meglio di zero. Fin da piccolo mi hanno insegnato ad essere una persona ottimista. Mi ricordo mia madre che mi dava certe lezioni assurde. Fin da quando ricordo, rammento che ogni piccolo infortunio veniva risolto in maniera semplice. Andavo da lei e le dicevo: "Mamma, mi sono sbucciato il ginocchio". E lei rispondeva: "Hai sempre l'altro, no?". Un ragionamento ineccepibile, e funzionava con qualsiasi dolore che avessi. Chessò, una distorsione alla caviglia, un problema all'occhio, taglio sul braccio. Che mi lamento affare. Ho sempre l'altro. Con una sola frase mi faceva capire che ero fortunato. E che non dovevo intristirmi per il dolore. O forse un po' se ne fregava. Ma le mamme hanno un codice morale e deontologico tutto loro, un giorno o l'altro faccio il cambio sesso e vedo cosa si prova ad avere gli ormoni sballonzolanti. Ma non oggi. Oggi è una bella notte per passeggiare in un ambiente tetro, buio, e solitario...
Credo che sia giunta l'ora di una bella cioccolata. In un luogo chiuso. Illuminato. Magari affollato. Così la finisco di tremare per il freddo. E per la paura. Non ho mai pensato a cosa succederebbe se fossimo attaccati dagli zombie. Sarei l'eroe sparapallottole a raffica, o la timida pastorellina che viene mangiata dopo cinque minuti? Spero di non doverlo scoprire mai. Il bar di Alberto è a soli venti passi. Si spegne la luce all'improvviso. Davanti al sottoscritto. Poi si riaccende. Poi si spegne. Saranno cali di tensione. Anche se la mia sta sicuramente aumentando. Entro, nessun rumore.
"Albè?" - Nessuna risposta - "Sono io, il tuo caro amico A..."
Dolore. Mi giro, vedo qualcuno, poi solo buio.

1 commento:

Carmensì ha detto...

Lo sai che sono sensibile sull'argomento zombie uffi...L'inizio così calmo pacato con qualche accenno di comico mi piace molto, ma mi mette ansia e angoscia la fine ahahahahah! Muoviti a scrivere il resto e a smentire la presenza di quei cosi brutti e morti che io odio.
baci e alla prossima.

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