martedì 22 aprile 2008

L'uomo dei semafori

Si tratta solo di un abbozzo, ma questa sera mi è venuto di getto e ho deciso di postarlo immediatamente. Non so cosa spero di ricavarne, se un racconto breve o qualcosa di più grande di me con cui iniziare a confrontarmi. Di sicuro non un fumetto...dopo la batosta del concorso sento di dovermi buttare, anche se solo per poco, su qualcos'altro. E da qui nasce lo spunto di questa sera: l'uomo dei semafori...
a voi...

p.s. ovviamente non l'ho riletto, altrimenti che gusto c'era?? :D

L'UOMO DEI SEMAFORI

-Vuoto, non sento più niente. Guardo il mondo, la realtà, e non ho più idee. Non mi ispira più niente, nulla mi suscita più il minimo pensiero, la minima emozione, la minima idea. E’ come se tutto ciò che mi circonda non mi trasmettesse più nulla, se fosse avvolto da un velo che non riesco a squarciare. Ero l’uomo delle idee, sono quello che ha inventato la colla fluorescente, le targhe alterne e il telecomando. Guardavo ciò che mi circondava, e mi venivano idee. La gente diceva che ero il migliore, che avevo talento…che le mie idee funzionavano. Adesso sono l’uomo senza idee, un uomo senza la minima traccia di ispirazione che possa riaccendere la luce della speranza. Sono stato licenziato, nessuno mi ha cercato più. In pochissimo tempo ho perso la mia famiglia, i miei risparmi, il mio lavoro. Le mie idee. Lo sai? Se ci ripenso mi viene da ridere. Vendere le proprie idee al miglior acquirente per qualche stupido soldo, regalare sprazzi della propria anima per uno stupido brevetto e poi sentire quei brandelli in ogni piccolo aspetto della vita, in ogni oggetto partorito dalla tua mente, figlio di un seme messo nell’utero del miglior acquirente. E adesso quei miei figli mi guardano e ridono di me, primogeniti illegittimi di un padre ormai stanco ed impotente. Perché è così che mi sento, come un vecchio impotente che ha consumato la sua intera vita a lavorare una terra dove adesso è stato costruito un grattacielo. Io mi sento così, come un fallito. So che a te non importerà nulla, e che magari quando mi hai chiesto perché guardavo il bancone di questo bar non ti aspettavi tutto questo…
L’uomo dei semafori guardò l’uomo seduto davanti a lui senza pronunciare una parola. Lo ascoltava interessato parlare della sua vita, celebrare i fasti di un passato ormai lontano, rievocare i giorni in cui gli bastava osservare un oggetto per ricavarne un’idea buona, vincente. E adesso era lì, a parlare con lui, al tavolo di un vecchio bar dall’aspetto trasandato e dagli avventori che si trascinavano stanchi ed ammuffiti verso la fine di un’altra giornata. Erano lì da quasi un’ora, a bere birra e a parlare delle loro vite, senza neanche essersi chiesti come si chiamavano. L’uomo senza idee stava continuando a fissare il bancone con aria incuriosita, come se l’avesse visto per la prima volta, e l’uomo dei semafori gli aveva chiesto il perché. A guardarli da lontano erano buffi, due uomini sulla cinquantina con un passato inesistente e un futuro aggrappato ad un’idea che non arrivava.
L’uomo senza idee guardò l’uomo dei semafori con aria interrogativa, come se, una volta terminato il suo turno, si aspettasse un monologo di risposta dal suo interlocutore. Ma l’uomo dei semafori non parlava, continuava a scrutare nel fondo del boccale alla disperata ricerca di un colore che gli ricordasse la sua vita. Ma evidentemente il boccale quella sera aveva altri progetti, perchè decise di non assecondare le strane fantasie dell’uomo dei semafori. Voleva risposte, il boccale, e ancora di più ne voleva l’uomo senza idee, segmentato e paziente dall’altra parte del vetro. Ma se il boccale riusciva chiaramente a capire che quell’uomo che lo stava scrutando non aveva molta dimestichezza con quell’ambiente e in generale con il mondo intero, l’uomo senza idee non riusciva a scrutare nella mente di quel suo strano compagno, per cercare di capire cosa passasse dietro quel suo sguardo spento. Era senza idee, l’uomo senza idee. Era abituato ad ascoltare le proprie idee, non quelle degli altri, e l’idea che qualcuno potesse trasmettergliene qualcuna, non l’aveva mai sfiorato. Tranne quella sera. Quella sera, per la prima volta nella sua vita, voleva sentire una storia. Voleva sentire qualcuno che gli dicesse la propria sulla colla fluorescente, le targhe alterne e il telecomando. Voleva sentire una storia, l’uomo senza idee. Ma, l’uomo dei semafori, di storie da raccontare non ne aveva affatto.
L’uomo dei semafori era un uomo come tanti, magari con un lavoro più strano degli altri, sì, ma per il resto come tanti altri. Aveva due occhi, un naso, una bocca, un corpo sorretto da una spina dorsale che svolgeva perfettamente la sua funzione. Era come tanti altri uomini della sua età, con le stesse necessità e gli stessi sogni. Ma con un lavoro più strano degli altri. Era l’uomo dei semafori, l’uomo che, chiuso in una stanzetta all’ultimo piano del vecchio Municipio, ogni giorno doveva regolare tutti i semafori della città regolando levette che gestivano ogni colore. E così – click – levetta in su per far scattare il rosso al semaforo di Via Papa Giovanni – click – levetta in giù per far scattare il verde all’incrocio di Viale Benedetto Croce – click – levetta al centro per far scattare l’arancione al semaforo di Viale Abruzzo. Doveva calcolare bene i tempi, sorvegliare i semafori dai monitor, gestire ogni singolo incrocio con attenzione e professionalità. E lui ci era riuscito, da trent’anni a quella parte, ogni singolo giorno fino alle venti e trenta di sera, quando allineava tutte le levette in posizione centrale e dava la buona notte al traffico cittadino. Poi, la mattina, di nuovo – click – levetta in giù per il semaforo di Via Ortona – click – levetta al centro all’incrocio di Via Capestrano - click – rosso all’incrocio di via Ortiz - click – verde in via Pescara – click – arancione in via Amerigo Vespucci – click – rosso – click – Via Delle vigne – Click – verde – click – arancione – click – semaforo Via Colonnetta – click – Colle Dell’Ara – click – click – click. Click.
Così, sempre uguale, per trent’anni. Una vita spesa a spegnere e accendere semafori, a regolare i vari incroci, a gestire il traffico dei pedoni e quello delle automobili.
Un lavoro perfetto, semplice, pulito. Regolare.
Ogni sera, alle venti e trenta, smettere. E ogni mattina, alle sei e trenta, ricominciare.
Perfetto, semplice, pulito, regolare. Puntuale.
Osservare la città che si muove intorno, senza farne parte. Gestire la vita degli altri, senza poter vivere la propria. Sapere di avere una famiglia che si muove lì, nella giungla cittadina, poterne regolare i passi, gli orari, le soste. Sperare di avere fortuna, a guardare la propria moglie ferma davanti al semaforo e spiandone le movenze, i gesti, gli sguardi dai monitor. Ma non poterla toccare. Diventare un estraneo alla propria famiglia, essere lasciato dalla moglie, rimanere in ufficio anche la notte, non uscire mai, perdere il contatto con la realtà.
Perfetto, semplice, pulito, regolare, puntuale. Estraniante.
Sapere di rendere la città ordinata, meno caotica, più sicura. Avere la certezza che, anche se la propria vita sta crollando, quelle degli altri, fin quando correranno nelle loro automobili, sarà al sicuro, scandita dalle levette dell’uomo dei semafori. E poi veder quella certezza vacillare dopo trent’anni di onorata carriera, in un incidente avvenuto perché qualcuno aveva deciso di passare col rosso. Un colpo al cuore, una pugnalata al proprio orgoglio, un calcio a quei trent’anni di ricambiata gratificazione.
Perfetto, semplice, pulito, regolare, puntuale, estraniante. Straziante.
La crisi di coscienza, l’identità lacerata, le proprie certezze dilaniate dal dubbio di avere vissuto una vita inutile. La fuga dal lavoro, il traffico paralizzato, la propria vita lontana fuggita da chissà quale incrocio e in attesa di essere recuperata, la solitudine di essere stato abbandonato da tutto e tutti, la solitudine che si fa sempre più forte. L’incontro con quell’uomo, la sensazione di avere molte più caratteristiche in comune con lui che con l’intero mondo, la certezza di non sapere neanche più cos’è, l’intero mondo. E il desiderio di capire cosa c’è intorno, di farsi spiegare cos’è quella maledetta “cosa” che chiamano vita, di riuscire a scoprire come gira il mondo.
E la birra, il bancone fissato dall’uomo senza idee, il monologo appena ascoltato, i pensieri relegati in fondo ad un boccale che ha come sfondo il viso di un uomo che si conosce appena, ma a cui è già aggrappato quel filo di speranza che ancora rimane.

7 commenti:

luttazzi4ever ha detto...

La batosta del concorso eh??? Ma tu non sai cosa ti farei io a te!!! E non sono cose belle!

E poi per una volta hai fatto anche un racconto decente...me metto quasi a piangere!

Ma una domanda: Cosa si prova ad essere odiato così tanto dalla mia persona??

Ah...mi sento meglio!

DjJurgen ha detto...

Ehm...ma io non lo sapevo, giuro! Ero convinto che i nomi dei vincitori sarebbero stati dati la sera del 19, e siccome non mi aveva chiamato nessuno, ero sicuro di aver fatto cilecca! :D
e invece no!! :D

In ogni caso, grazie per i complimenti sul racconto! Mi fa piacere sia stato di tuo gradimento! :P

-logan- ha detto...

se se se.. fai sempre il finto modesto.. :P

Anonimo ha detto...

Mah comunque la finta batosta ti ha fatto bene!!!
è buono...mi è piaciuto, ha un sapore un po' pirandelliano, e poi il sottile climax è un' ottima ciliegina sulla torta....e bravo il Diggyno!!!

P.S. te lo sto dicendo un po' troppe volte che sei bravo eh....dai torna a scrivere un po' di stronzate che così posso farmela finita!!!!!

DjJurgen ha detto...

Non so se quello del mio cognatino fosse un complimento o no, ma grazie lo stesso! :D

Anja, troppo buona...ma...ehm...ecco...un climax, di preciso, cos'è??? :D
Per il sapore pirandelliano, questa l'ho capita, e sono davvero lusingato...magari fosse vero!! :D

Cate ha detto...

Il climax è una figura retorica che indica l'andamento crescente dell'intensità del racconto(in questo caso) di solito viene usato più spesso nella poesia...però...peròòò....avevo questa impressione...

DjJurgen ha detto...

no, no, è molto bella come figura retorica! E' solo che non pensavo di averla usata!! :D
Vuol dire che sono un bravo climaxologo!!! :D
Giuliacci, trema!!!

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