giovedì 27 settembre 2012

Romics 2012. Domani.



Domani, da come si evince dal simpatico manifesto qui sopra apposto, sarò a Romics con pulzella per un microgiorno. Infatti se tutto va bene siamo alla fiera per le 10, giusto in tempo per l'apertura, e dobbiamo imbracciare la via del ritorno dalle ore 16-16 e 15. Quindi sei orette di svago ci attendono. Una sorta di pre-Lucca dei poveri da quello che vedo, ma spero di sbagliarmi considerando che il Romics, negli ultimi due anni, mi ha dato più entusiasmo del Napoli Comicon.

Non ho appuntamenti da seguire(la Panini Comics s'è messa d'accordo con l'organizzazione del mio viaggio e ha deciso di presententare le varie novità 2013 alle 16), a parte forse un disegno da Caselli, se non trovo enorme ressa, alle 15 allo stand della Scuola Romana dei Fumetti. Quindi sarà una giornata di pure cazzeggio con acquisti, ricerche e foto ai cosplay (sì, l'ho scritto al maschile ma intendo ovviamente al femminile).

Per chi mi volesse conoscere, si presentasse con un muffin in una mano ed una cicca masticata nell'altra. Ovviamente dovrà salutarmi e stringere poi la mia con il suddetto arto come segno di pace fraterna. Poi dovremmo trovare un tizio disposto a dividere le due mani unite dalla cicca, ma credo che ad una fiera moderna si trovi di tutto. Se c'è posto per il fimo, per i prodotti tipici giapponesi, per il Ramen, per i cosplay orrendi, per le signorine mezze nude e per gli stand di pubblicità con tizie con enormi davanzali, c'è posto per tutti.

Sayonara.

mercoledì 26 settembre 2012

Novità inaspettate - Epilogo


“Tutti a tavola” – urla mia madre con armonia, facendo voltare i presenti. Il gruppetto di parenti si siede ordinatamente ognuno al proprio posto. L’atmosfera è un po’ surreale.
“Prendo la parola, posso, mia leggiadra fanciulla?” – fa mio padre chiedendolo delicatamente. Dopo aver ricevuto un assenso non verbale, si alza dal suo posto e porta il calice in alto.
“Vorrei fare un brindisi, amici e parenti, in questa giornata meravigliosa non perché sia una festa comandata ma perché è arrivato un momento che tutti i genitori aspettano: quello della verità. Il mio unico figlio maschio che voi tutti osservate seduto alla mia destra, quello con le guance di color rosso peperone, oggi ha deciso di darmi una gioia immensa: mi ha rivelato la sua reale identità. E io sono contento. Un po’ dispiaciuto, per certe particolari situazioni, ma contento. Perché da oggi in poi spererò con tutto il cuore che trovi anche lui l’amore così come ho fatto io. E che si senta bene con il suo ragazzo così come io mi sono sempre sentito bene con Letizia, la mia unica donna da trentacinque anni. Eravamo giovani, io e lei, quando ci siamo incontrati e piaciuti. Eravamo giovani quando ci siamo accorti di aspettare un figlio, questo brutto esemplare che mi porto dietro. E ora che non siamo più giovani, siamo ancora più felici per molte ragioni. La prima è che siamo ancora insieme, io e Letizia. E si sa che di questi tempi le unioni non durano. La seconda è che, dopo la prima prova andata male, le due pulzelle nate successivamente sono bellissime. Marta è una stella che ancora nessuno è riuscito a cogliere e il primo che lo fa giuro che gli spezzo le ossa” – aspetta quando secondo per le risate – “Michela è un bocciolo di rosa che rende le mie giornate felici ed estremamente dolci. Il discorso del raccoglimento vale anche per lei, siamo chiari” – altre risate. Si ferma un attimo.
“Grazie mille, figli miei, perché mi avete sempre fatto capire che come genitore forse ho fatto qualcosa di buono. E tu Mirko” – sì, è il mio nome – “anche se il mondo là fuori non sarà mai pronto per ciò che tu realmente sei, non ti crucciare. Non pensarli: non capiscono niente. Tu sei più forte di tutti loro, e tutti loro non hanno quello che hai tu: questa famiglia.” – un instante dopo mia madre inizia a singhiozzare, subito abbraccia papà con entusiasmo. Credo si siano anche detti qualche “ti amo” qua e là ma non ne sono sicuro, mi piace pensarla così. Il pranzo continua tra baci e abbracci, risate e divertimenti vari e, udite udite, nessun deceduto.
Zia Maria, di par suo, si dimostra la più vispa durante la tombola portandosi a casa la ragguardevole cifra di centosettanta euro. Non capirò mai come ci sia riuscita.
Alla fine dei canti, dei giochi e delle chiacchierate, c’è una sorpresa speciale: la torta di papà. Un vociare comune risponde allo stesso identico modo: “Ho mangiato tanto, niente dolce per me”, dicono quasi tutti buttandosi poi su cioccolattini e robette varie. Io decido di assaggiare la Sacher di papà, mi sento temerario. Con un coltello prendo la fetta più grande che ci sia e la inserisco nel piatto. Poi col cucchiaio ne stacco un pezzo e lo dirigo verso la mia bocca.

E’ buona. E’ maledettamente buona. Chissà poi perché.

(4-Fine)

lunedì 24 settembre 2012

Novità inaspettate - Terza Parte


Dopo un bicchiere d’acqua e uno schiaffo improvvisamente datomi da me medesimo, prendendomi assolutamente di sorpresa, mi sono ridestato dal mio vago vaneggiamento. Michela mi ha guardato ridacchiando.
“Sapevo che con l’età ci si rimbambisce ma tu stai proprio fuori” – ha ragione, sono fuori. Sono fuori di minimo cinque anni, devo rimediare, devo ritornare in carreggiata, tanto seppur la prenderanno male per me non cambierà niente, io sono ciò che sono non posso modificarmi.
“Grazie sorellina, le tue parole mi hanno cambiato la giornata” – dico mentre scappo via.
“Guarda che se ti piace così tanto ti posso insultare in tutti i modi che vuoi: idiota, cerebroleso, decrepito, rivoltante, inutile e pure tanto tanto scemo.” – mi urla con dolcezza. Chi può dire di avere una sorella così soave come la mia?

Arrivo in cucina senza passare per il soggiorno, saluto la nonna che dormicchia sulla sedia a dondolo. Abbraccio mia madre che non riesce a parlare per la forza con cui l’ho stretta a me e le prendo la mano. La trascino con dovuta forza fin da mio padre, che è sul balcone a prendere questi ultimi raggi di sole decembrino. Tutti e due sono un po’ straniti. Lui parla per primo.
“Giovanotto, sono questi i modi? Le donne non si prendono così, ci vuole la clava. Te l’ho sempre detto!” – e ride.
“Giacomo, la vuoi finire? Ti ho sempre ripetuto di non tirar fuori certe battute quando ci sono tutti i parenti!” – lo redarguisce mia madre mettendosi a posto i vestiti, sgualciti durante il cammino forzato.
“Scusami, hai ragione cara. Giovanotto, non ci vuole la clava, ci vogliono le buone maniere, un invito a cena e un conto pagato ovviamente da te. Poi lei ti da il bacetto della buonanotte e tu torni a casa felice.” – rettifica mio padre con un sorriso strano.
“Ecco. Ci vuole gentilezza.” – fa mia madre accentando la ritrattazione.
“E così lei sale nel palazzo, prende l’ascensore, bussa al vicino rozzo, sporco e pure manesco, e ci fa cose che voi umani non potete nemmeno immaginare.” – sghignazza soddisfatto.
“Giacomo, se le dici a tavola, mi arrabbio di brutto eh!” – lo minaccia con il suo dito accusatore.
“Ah, Letizia piccola mia, non farei mai qualcosa che ti possa far stare male. A parte cucinare per te, sia chiaro. Comunque, giovanotto, che problemi hai? Che cosa è questa fretta?” – ecco: è giunto il momento. Quello che ho aspettato per anni e che ho rimandato a lungo. Ora glielo dico e tutta la mia esistenza si modificherà. Spero in meglio. Di sicuro potrà pure andare peggio. Ho paura. Una fottuta paura. Ora gli dico che mi sono fidanzato con una donna, rimando ad un’altra volta, ad un altro anno. Il 2012 si concluderà con la fine del mondo, tanto vale dirglielo il 21 Dicembre no? No. Sono forte. Sono deciso. Sono spacciato.
“Mamma, papà, sapete quanto vi voglio bene no?” – dico come premessa. Mio padre sbotta.
“Ecco, gli servono soldi. Quante volte te l’ho detto che puoi chiedere anche via telefono, se non ti aiuto io chi lo deve fare? Quanto ti serve? Ce l’hai un lavoro no? Cosa ci fai con quello che guadagni, ah giusto: non è affar mio. Chissà quante ne castighi e quanto spendi di contraccettivi, figlioletto adorato.” – tira fuori il portafogli, lo fermo prontamente.
“No, papà, non è questo.” – faccio con espressione seria.
“Non mi dire che…sei incinta! Cioè: aspetti un bambino! E lei dov’è? E’ fuori? Oh mio Dio, sono tutta eccitata, la debbo conoscere. E’ bella? E’ formosa?” – chiede mia mamma quasi piangente.
“C’ha le tette grosse?” – aggiunge mio padre facendo un gesto facilmente intuibile.
“Ma è possibile mai che in questa famiglia non si possa parlare per più di due minuti senza essere interrotti? No. Non sono incinto, mamma. E non ho una fidanzata.” – alzo la voce e si bloccano. Mia mamma cerca di parlare, poi ci ripensa e chiude la bocca. Mio padre attende anch’esso in silenzio.
“Mamma, papà, voi sapete quanto io vi voglia bene e quante volte io vi abbia ringraziato in questa vita che finora ho vissuto. Vi ho ringraziato, mentalmente ed enormemente per avermi fatto crescere seppure tu, mamma, avevi diciannove anni e tu, papà, solo ventuno. Mi avete voluto e cresciuto e siete andati avanti, con un amore fortissimo, sfidando il mondo. E per questo mi sono sempre sentito in debito con voi. Successivamente mi avete amato, educato e sempre sostenuto in qualsiasi scelta abbia mai fatto. Oggi vengo a dirvi una cosa che mi cambierà, ci cambierà. Mamma, papà, non voglio farvi del male ma ho paura che accadrà. Sono gay. E non mi vergono di esserlo.” – bum.
Mia madre l’ha presa benissimo. E’ solo svenuta. Lo fa sempre per le grandi occasioni, ciò significa che il pensiero di un eventuale nipote non l’aveva sconvolta così tanto. Mio padre mi guarda ancora con quell’aria giocosa mista a odio profondo. Raccoglie mamma a terra come se fosse una reliquia sacra, e la adagia delicatamente sul divano. Poi inizia a sbraitare nei miei confronti.
“Tu mi odi. Dillo: papà io ti odio.” – fa una pausa – “Perché, cribbio, sono trent’anni che aspetto il momento in cui mi porti a casa una tizia che io possa squadrare da buon padre guardone e cosa mi succede? Mi diventi gay! Già devo sopportare che le tue sorelle si dovranno fidanzare sicuramente con emeriti idioti, perché è quello che succede a tutti i padri ma tu, figlio mio, non potevi darmi la gioia di una bella ventenne a casa? Una con tutte le curve al posto suo che ondeggiava con una gonna larga e rideva come l’aurora d’estate, e i suoi lunghi capelli biondi si dimenavano di qua e di là mentre la brezza marina si udiva in sottofondo? No. Tu devi essere controcorrente per ammazzare di crepacuore tuo padre, bel figlio ho cresciuto, sant’Iddio.” – urla facendo voltare tutti i presenti, comprese le mie sorelle, ormai attirati dal trambusto.
“Tu” – urla mio padre, indicando Marta – “Tu mi diventi lesbica. Perché io esigo, da buon padre di famiglia, una nuora, Cristo Santo! La esigo! Fosse l’ultima cosa che chiedo sulla faccia della terra. E la voglio bassa, con capelli biondi e con forme provocanti. Scrivitelo su un foglio e inizia a ricercare, sono stato chiaro?” – mia sorella ci pensa un po’ su e sorride riuscendo a farlo calmare.
“E se ha i capelli neri?” – chiede, sempre ridendo.
“Massì” – biascica lui – “pure rossi, non son mica razzista, suvvia!” – ora si è calmato definitivamente. La parte più brutta è passata.
Il silenzio colpisce l’intera sala per più di venti minuti. Nel frattempo mia madre rinviene, ricorda, risviene. Michela corre a prenderle la boccettina con i sali, li abbiamo sempre avuti in casa per queste particolari occasioni. Mia mamma ha sempre sofferto di questo disturbo strano. Al mio primo compleanno cadde nella torta per l’emozione, così fece anche alla mia comunione e quella di Marta. Quella di Michela non c’è mai stata, i miei ad un certo punto capirono che la fede è qualcosa che scegli non che ti viene imposta dai tuoi genitori e ora lei segue un suo percorso che forse, un giorno o l’altro, la porterà da qualche parte.
I sali arrivano, mamma ritorna in sé. Papà le accarezza la fronte. Lei controlla la situazione, vede le facce dei parenti sconvolte, e si rialza in un secondo.
“Allora, mio figlio è gay ma il menù non cambierà. Per fare le dovute precisazioni: non si accettano battute durante i contorni. Né zucchine, né melenzane dovranno essere oggetto di scherno e risate e, mi raccomando, lasciate poi stare le banane. Detto ciò, tra cinque minuti tutti a tavola.” – e vola in cucina.

(3-Continua)

venerdì 21 settembre 2012

Novità inaspettate - Seconda Parte


“Non è vero, non sono gay, in realtà sono padano. Come il grana. Se esiste il formaggio esisto anche io!” – potrei poi rivelare facendo svenire mio padre, fiero terrone da centododici generazioni. I suoi avi, anche quando c’era ancora la Pangea, stavano sempre nel profondo sud. Sempre. E’ una tradizione che, ancora oggi, la mia famiglia difficilmente riesce ad evitare. I miei vivono in Campania, dopo una vita nascosta tra Puglia, Calabria e Basilicata. Se passiamo un mese in Sicilia finiamo la raccolta di regioni e ci regalano un trinciapollo. Potrà essere utile a mio padre quando gli dirò la notizia eclatante di questo pranzo natalizio. Che per fortuna è oggi. Non ci devo più pensare, basta patemi, basta tristezze, basta ipotesi, basta rimanere svegli fino a tarda notte sperando che un piccolo angelo custode scenda sulla terra e decida di regalare ai miei un enorme cesto di biscotti. Però con un’erba alquanto speciale nell’impasto. Così da potergli dire qualsiasi cosa senza rischiare alcunché, già immagino la conversazione.
“Ah, papà, e ti ricordi di quando si ruppe il vaso in corridoio e mamma accusò te negandoti il sesso per un mese? In realtà sono stato io!” – gli direi.
“Ma che bravo figliolo” – risponderebbe lui ridendo a crepapelle.
“E, mamma, ti ricordi di quando dissi che era entrato l’idraulico per ore e ore e ore nella tua stanza e papà se ne andò via di casa per un mese(guarda caso lo stesso periodo di cui sopra), beh, non era assolutamente vero!” – gli rivelerei.
“Oh, caro, che pensiero gentile” – direbbe sganasciandosi anche lei.
“Infatti era il muratore.” – a questo punto mio padre collasserebbe di risate, ma sto divagando.

Oggi apriranno quella porta e io dirò ciò che sento dentro da anni e anni. E poi mi nasconderò sotto la enorme mole di zio Bruno, una specie di orso del Paleolitico, molto alto, grosso e barbuto, che ha sempre parlato poco, pochissimo, in tutta la vita. E’ il fratello di mia madre, e per quanto lei sia prolissa, lui è silenzioso. Lui ascolta, o forse non è mai riuscito ad avere l’ultima parola con lei, da piccolo, e quindi da quel momento ha deciso che era giunta l’ora di ascoltare, piuttosto che di ciarlare inutilmente senza essere sentito. Zio Bruno ha una moglie bassa, come spesso accade ai giganti, ma stranamente non riesco mai a beccare in giro delle stangone farsi accompagnare da dei tappetti, troppo maschilismo in questa società, l’ho sempre detto e sempre lo farò.
Zio Bruno ha cresciuto quattro figlie femmine: leggende narrano che non sia mai più riuscito a parlare dopo la nascita dell’ultima. Una volta, se il narratore non ha romanzato troppo la cosa, sembra abbia detto che “cinque donne per casa sono una meraviglia, non si riesce a fermare quell’orda di pensieri sublimi che io, da maschio, non posso certamente nemmeno pensare di interrompere”. Forse in realtà l’ha scritto su un foglietto, chissà.

Comunque sono arrivato, le macchine fuori fanno presagire che tutti siano entrati, non vedo le pompe funebri, quindi la maledizione della zia Maria è fallita, per una volta, o forse ha appena deciso di foderare gli artigli o, santa miseria!, mio padre avrà un infarto. Cribbio, non ci avevo pensato, non è il momento, non sono preparato. Ho bisogno di un valium. E ora che il panico mi ha ormai assalito, si apre la porta. E’ Michela, per fortuna.
“Fratellone! Cosa ti è successo? Sei bianco cadaverico!” – mi dice, mentre cerco di riprendere fiato.
“Non è il giorno giusto, non è il tempo giusto, non è l’anno giusto, non è il millennio giusto. Zia Maria…papà…rivelazione portano ad infarto. Tre indizi. Non si può.” – straparlo.
“Calmati, non è successo niente, ora andiamo in cucina, ti prendi un bel bicchiere d’acqua e finalmente cerchi di spiegarmi per bene cosa ti sta accadendo. Non vomitare, mi raccomando, che mamma c’ha messo una settimana intera per far brillare la casa, e se la sporchi anche solo camminando ho il sentore che potrebbe prenderti a testate. Bentornato a casa!” – suona come un augurio macabro, se ci si fa caso.

(2 - Continua)

mercoledì 19 settembre 2012

Novità inaspettate


(Ultime notizie: il mondo informatico mi odia. Sono passate tre settimane e la tastiera ancora vaga in un limbo e non riesce a giungere al negozio dalla fabbrica. E io sto disperandomi perchè questo blog s'è intristito non poco. Già il mio collega(come se ce l'avessi, un collega) ormai è disperso, se lo abbandono anche io qui si rischia di bloccare la crescita e distruggere la vita dei quattro tizi che mi seguono.
E quindi inizio a postare a puntate un racconto scritto un annetto fa per un regalo che feci alla mia pulzella. Non c'era alcun messaggio nascosto, specifico. Leggete e mi capirete.)


“Sono gay, ma forte. E non me ne vergogno.”- Ecco. Queste esatte parole dovrei dire a mia madre e a mio padre domani, quando andrò a casa per festeggiare il Santo Natale, patrono di tutti i negozi di articoli festivi e santo incensatore di regali che, non si sa per quale motivo, si debbono assolutamente fare di questi tempi. Anche a chi schifi o non vedi da millenni. Prendendo per esempio: mia zia Maria. Tutti noi abbiamo una zia Maria no? Tutti noi abbiamo pure una "zia Teresa" o un "zio Giovanni", ma sto divagando.
Mia zia Maria l’ho vista sette volte in tutta la mia vita, sette volte sette. Per ricorrenze che non si dimenticano: funerali.
Mia zia Maria l’ho vista solo quando qualcuno crepava, passava a miglior vita. Per un certo periodo della mia infanzia pensavo che o lei era dell’agenzia delle pompe funebri, o era colei che ammazzava tutti i miei parenti. Alla fin fine ho deciso che doveva essere un po’ l’uno e un po’ l’altro.
La zia Maria è sempre stata molto amata per i regali che ci donava, a me e alle mie sorelle, in occasione di questi lutti eclatanti. Infatti credo abbia stilato una sorta di “listino decessi” dato che ad ogni parente più importante, ci donava un presente decisamente imponente, per un cugino alla lontana ci portava un giocattolo da niente. Una teoria che ancora oggi stanno studiando al Cern di Ginevra e che anche loro, con l’aiuto della Gelmini, stanno constatando essere efficace. Per fare qualche esempio:
una zia lontana corrisponde ad set di pupazzetti da pochi euri. Un nonno corrisponde a un mini forno funzionante per le mie sorelle e una console per il sottoscritto. Un condomino è mediamente importante, quindi lo si potrebbe ricordare con un videogioco per la console di cui sopra per me, e con un paio di bambole per le mie sorelline. Sì, la zia è sempre stata un po’ maschilista. Da vecchia zitella quale è sempre stata, almeno io me la ricordo sempre vecchia e sempre zitella, cerca di ingentilire le nuove generazioni di uomini per far sì che in futuro non ci siano più donne non sposate in circolazione. Credo che abbia fondato anche un’associazione per il libero zitellaggio e la non discriminazione delle stesse, ma son cose di cui non mi sono mai interessato.
Comunque dicevo che mia zia Maria, quest’anno, verrà finalmente a pranzo da noi per Natale. O meglio: dai miei. Mia nonna ha toccato ferro, è anziana e porta ancora con sé quel corredo di superstizioni che noi giovani d’oggi non conosciamo più: io, per precauzione, son due settimane che giro con le mani in tasca. E se debbo gesticolare lo faccio sempre con una sola, l’altra puntualmente cerca un mazzo di chiavi inesistente per ore, ore e ore. Non ho ancora capito perché mia madre l’abbia invitata. Chi l’ha mai vista? Chi la conosce? Chi deve crepare? E’ da una settimana che con i miei cugini e con Marta e Michela, le mie amate sorelline, stiamo facendo una sorta di nomination di parenti possibili deceduti. Non è simpatico, lo so, ma noi giovani dobbiamo sempre trovare un modo per divertirci e, pensando che questo Natale dovrò dire quella cosa importante ai miei, cerco sempre di fare altro e di tenermi occupato. Anche se è difficile.
Dovrebbero farci un libro, o forse esiste pure, “101 modi per dire ai tuoi che sei gay”. Sicuramente venderebbe un botto, capisco che il mondo va’ evolvendosi e certe cose non fanno più scalpore, ma i miei genitori non sono dei tipi tanto giovani dentro, su certi aspetti. Anche se non so esattamente come la pensano, credo sia una brutta idea dirlo a Natale, con tutti i parenti e la menagrama attorno ad un tavolo, ma lo devo fare: son cinque anni che me lo tengo e questa cosa ormai deve uscire fuori.
Che poi le mie sorelline già lo sanno e come spesso accade in queste occasioni, quando glielo riveli, ti dicono sempre le stessa cosa: “già lo sapevo”. E io rispondo sempre nella stessa pacata maniera: “perché non me lo dicevi prima così non mi sbattevo a cercare di dirtelo in maniera carina per non farti sconvolgere ed avere un colpo?”, il tutto senza virgole, senza respirare. Marta, quando gliel’ho detto, s’è messa a ridere, come sempre. Non l’ho mai vista triste quella ragazza. Ora ha diciotto anni ed è bella come il sole, se fossi etero e lei non fosse mia sorella, farei carte false per conquistarla. E’ bella, è dolce, ama la vita ed è semplice farla ridere. Un terno al lotto.
Michela invece ha avuto uno sguardo sgomento per qualche secondo, poi ha detto la solita frase incriminata e ha sorriso. Mi ha riferito che ha voluto fare un po’ di scena per darmi una piccola soddisfazione e poi ha aggiunto “tu sei il mio fratellone e quello che sei, o chi ti piace, a me non interessa minimamente. Tu sei colui che mi ha difeso sempre e voluto bene fin da quando sono nata, e sarai sempre quel ragazzo. E su una cosa sono contenta però: non ti dovrò dividere con nessuna donna, a parte Marta, e quindi sarai sempre il mio principe azzurro andato a male ma mi raccomando: non mi soffiare il ragazzo che ti picchio eh”, e poi mi ha abbracciato.
La dolcezza nella mia famiglia, almeno per quanto riguarda noi figli, è sempre stato un elemento importante ed imponente. Non abbiamo mai capito da chi abbiamo ereditato quei geni. Mio padre è caciarone e irascibile. Mia madre è puntigliosa e pignola. Giorgio, il nostro vicino casa single, è dolce e sempre gentile.
Un paio di dubbi ti vengono.

Cinque anni che ho scoperto cosa sono senza rivelarlo ai miei che, in occasioni gioiose come questa, sperano sempre io mi presenti con una donna a casa. Mio padre ci spera da quando avevo quindici anni, e mi posso permettere di dire che io ci ho provato, lo giuro. Ma non è andata come sperava lui.
Ho avuto le mie esperienze con dolci signorine, alcune era interessanti, altre meno, così come accade con qualunque essere umano sulla faccia della terra. Ho amato, essendo riamato, una donna: Gioia.
E’ stata una storia che è durata ben poco. Avrebbe dovuto essere per sempre ma si è tramutata in un “per tot” che non ha portato a niente, io sentivo di essere totalmente assente senza capire il reale motivo di questo mio sentimento strano. Lei ha resistito fin quando ha potuto poi, quando si è resa conto che non sarebbe mai riuscita ad amare per entrambi, è andata via.
Ancora mi dispiace, mi sento come se l’avessi tradita senza realmente farlo, ma ero appena all’inizio del mio percorso di rinnovamento e lei ci si è trovata in mezzo come uno scoiattolo su un’autostrada alle tre di notte. Si sa la fine, brutta, che gli può accadere ma non se ne rende conto.
Ora di anni ne ho trenta. Ho finalmente quel fatidico tre come prima cifra e ne ho una paura fottuta. E quindi ho deciso, alleluia, di cambiare questa mia vita da ora, per sempre, iniziando a rivelare ciò che veramente sono ai miei genitori. Ed è in queste occasioni, quando penso a ciò, che la paura fottuta si fa sempre più grande, sempre più enorme. Il pranzo di Natale è l’occasione giusta, me lo ripeto da cinque mesi, anche Marta me l’ha sempre ripetuto: “Dai, buttati, tanto il peggio che può succedere è che non mangi il dolce di papà, per tua fortuna!”.
Vero. La torta Sacher di mio padre. Un’autentica tortura cinese che resiste da prima che io nascessi. E’ orrenda. E’ una cosa brutta, schifosa, e credo sia stata premiata sulla guida Michelin con cinque teschi d’oro. E’ qualcosa di inimmaginabile ed immangiabile. La panna diventa rancida appena viene toccata dalle manacce del mio anziano genitore, la crema al cioccolato vira sul salato dimenticandosi di essere un alimento dolce anche se la si riempie di zucchero, la guarnizione ricorda un recinto ricoperto di filo spinato e, per finire, quella simpatica effige di Babbo Natale mentre trascina la sua slitta è di una tristezza che ti fa odiare il santo Natale, le renne, gli angioletti, il presepe, lo zenzero, l’albero, i parenti e pure i regali che, alla fin fine, son l’unica cosa che interessano.
Questa torta, purtroppo, mio padre la propone da quando si fidanzò, tanti anni or sono, con la mia povera madre. E a lei è sempre piaciuta. E non sto scherzando. E’ l’unica al mondo che riesca a mangiarsela, non ho mai capito come faccia. Se magari fa finta di masticarla e poi la sputa nelle piante del soggiorno, ma no, sono ancora tutte vive, non può essere. E la soluzione ovvia è una sola: si amano. E tralasciando quel piccolo fattore per cui il nostro vicino di casa è molto simile caratterialmente a noi e vive lì da prima che io nascessi e non è che ci somiglio tanto a mio padre, posso sicuramente affermare che i miei genitori sono fatti l’uno per l’altra pur essendo totalmente diversi. E questo è un punto a loro favore.
La torta, comunque, va servita fredda perché così rende al meglio, cioè è solo disgustosa. Mentre se la fate anche scaldare diventa arma di distruzione di massa. Inutile dire che mia madre l’ha mangiata pure calda. Ben due porzioni. E ancora oggi parla e ride come se stesse bene, ma io so che quelle fette sono diventate un essere senziente nel suo corpo e la controllano utilizzando il suo cervello. Ed un giorno lo dimostrerò, fossi l’ultima cosa che faccio.
La prima sarebbe quella di andare a casa dei miei genitori domani, suonare il campanello, attendere che si apri la porta, osservare lo sguardo pieno di entusiasmo di mia madre, e quello di rassegnazione per una non presenza femminile di mio padre, e poi dire chiaramente ed al alta voce: “Mamma, papà, sono gay. E non me ne vergogno”. Fosse facile.

(1-Continua)

giovedì 13 settembre 2012

News dalla mia camera


Questo mese sarà avaro di aggiornamenti, immagino, per molti motivi. Il primo è quello di cui scrissi qualche giorno fa: tastiera da cambiare e necessità di altri pc per scrivere qualcosa sul blog, sennò per ogni minimo post occorrerebbe troppo tempo per la battitura. Ma è difficile anche trovare il tempo per scrivere con pc d'altri, ormai.
Quindi sto scrivendo con il mio disastrato portatile con la speranza di non urlare quando la "n" si incaglierà o quando mancheranno consonanti o vocali nelle parole o quando leggerete frasi di senso non compiuto(che bello poter addossare la colpa alla tastiera). Perchè scrivo? Presto detto.
Principalmente perchè non voglio che questo mese diventi quello con meno post da quattro anni, quasi cinque, da questa parte.
Secondo motivo perchè se non scrivo la voglia di farlo non è che ultimamente mi salta addosso. E dato che il racconto del mese scorso è piaciuto così tanto ad un mio conoscente, tanto da volerne fare un corto, che forse non si riuscirà mai a realizzare ma mi piace almeno solo l'idea che possa esistere qualcosa nato dalla mia fantasia che sia tangibile. E la regola rimane sempre quella: se non si scrive non si vuole scrivere. Ma questo già si sapeva.
Per il resto mi tengo impegnato nella realtà della vita quotidiana. Sacramento al pensiero che forse il viaggio a Taranto si può, per vedere il concerto di Elio. Anche se ci vogliono 3 ore e mezza per andare e altrettante per tornare. Anche se poi torneremo a casa, distrutti, di mattina presto. Ma forse a nulla sarà dovuto questo nostro probabile sacrificio perchè il meteo segna pioggia furiosa, per domani sera, su Taranto. E il pensiero di partire per poi prendere la seconda batosta in due settimane fa male. Vedremo domani in mattinata.

Poi mi hanno accusato di essere una sottospecie di mafioso. Un tizio di quasi quarant'anni con un girovita che farebbe concorrenza con quello di Homer, ma tremendamente meno simpatico. Anzi, diciamo che è meno simpatico di Giovanardi, tanto per fare un paragone eccellente.

Il censimento fumettistico è quasi arrivato alla conclusione ma devo trovare il tempo materiale, e la voglia, di concluderlo.

Mi mancano 5 puntate al finale della quarta stagione di Fringe e continuo a pensare che fare 4 personaggi diversi pur essendo tutti uguali deve essere una faticata immane per chiunque dei protagonisti principali. Escludendo Peter che ne fa solo uno.

Forse si va' anche al Romics, prima di Lucca, ma solo per un giorno, il migliore: giovedì.

Il Dj si diverte a lavorare in Bao e si fa i bagni in piscina durante le riunioni mentre io nemmeno uno a mare o in vasca.

Varie ed eventuali che racconterò poi.

Sayonara!

domenica 9 settembre 2012

Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan



I simpatici problemi tecnici di cui parlavo in codesto post non sono ancora stati risolti, ma inserisco almeno qualcosa sul blog che mi fa male non vederlo aggiornato per così tanto tempo. Ovviamente sto parlando di una canzoncina e per l'esattezza di una di quelle del simpatico complessino che ben pochi conoscono, o fanno finta di non conoscere. Per il resto, per aumentare un po' il brodo, posso elencarvi il contenuto della mia agenda per la prossima settimana:

Venerdì: Forse vado a Taranto per gli Elii.
Sabato: Se ritorno da Taranto vado dritto dritto in clinica per ricovero.

Sì. E' molto impegnata, come ogni santissima settimana da quando è caduto quel meteorite sul pianeta Namek. Ma so che voi non ne sapete niente perchè questi assurdi telegiornali italiani comandati dalla Casta falsano le notizie. Per fortuna un comico che non sa niente di politica ci salverà.
Anche se io avrei preferito Iron-Man.

Dieci baronetti come te si trovarono un giorno convocati da Bob Dylan, il quale disse loro: "Che ne dite di formare un complesso e di chiamarci Bob Dylan?". Prese la parola John, disse: "Non ti seguirò. Presto, Ringo, Paul e George, costituiamo i Beatles. Presto, Ringo, Paul e George, cantiamo Yesterday". Charlie, Bill, Ron, Keith, Mick, Mick e Brian accettaron di buon grado di suonare nei Bob Dylan: "Presto, accompagniamo il cantautore che farà molto scalpore con canzoni impegnate!". Era già il '63, John cantava Penny Lane e sei ricchissimi incapaci abbandonarono Bob Dylan, che compose per ripicca "Like a Rolling Stones". Lallallà, lallallà, lalà, Beatles e Rolling Stones, quanta felicità. Lallallà, lallallà, lalà, Beatles e Rolling Stones, quanta rivalità. Dopo questi fatti, Mick si comprò una penna bic. "Evvedi che successo che stanno riscuotendo questi Beatles! Evvedi che vado a farmi una puntura e scrivo Lady Jane". Lallallà, lallallà, lalà, Beatles e Rolling Stones, quanta felicità. Lallallà, lallallà, lalà, Beatles e Rolling Stones, grandi rivali. Ticket to Ride, Jumpin'Jack Flash, From Me to You, Satisfaction, poi un giorno pam, e let it be non più.

giovedì 6 settembre 2012

Il miglior concerto di sempre


Capita che un giorno ti svegli e notando il sole che splende nel cielo sai perfettamente che quella sarà una giornata da ricordare. Che gli uccellini cinguettano ad ogni tuo passo e la giornata fresca ti fà capire che sì, quella sera assisterai ad un concerto imperdibile e straordinario. E così è stato.
La location è la stessa del meraviglioso spettacolo di Daniele Silvestri e Pino Marino dell'anno precedente, le nuvole in cielo sono scomparse, fa fresco, forse oserei dire anche freddo ma sono un tipo che nell'autunno e soprattutto nell'inverno ci sguazza con felicità. Alle 20 e 40, solo dieci minuti sulla tabella di marcia, il simpatico complessino è sul palco. Elio è in formissima, Rocco è semplicemente splendido, Faso assaggia la sua solita Peroni e la riposa a terra, accanto agli strumenti, Cesareo saluta il pubblico, enormemente nutrito di Fave, e dalle file posteriori tre ragazze ed un ragazzo danno vita ad uno striscione umano con la dicitura "We Love Pollo", in memoria del concerto di Roma di un paio di mesi fa.
La serata è splendida.
Iniziano con una cover di "I want to break free" per onorare il compleanno di Freddy Mercury e poi ci attendono 3 ore e mezza, tre ore e mezza (lo ripeto perchè è sconvolgente), di canzoni e risate a tutto spiano. Il concerto del secolo. Una scaletta fatta apposta per le fave e per soddisfare anche quelli che conoscono non tutta la discografia del gruppo. E soprattutto la grande sorpresa: "Elio". La prima canzone. Quella che trasformò Stefano Belisari in quello che è adesso, in quello che è sempre stato. Un'emozione incredibile essere riuscito a sentirla, con la consapevolezza, detta da lui stesso, che non l'avrebbero mai più rifatta dal vivo.

Momenti indimenticabili:

-) "Born to be abramo" con la presenza sul palco del sottoscritto. Volevo tenermela per ultima notizia, ma è stata un'esperienza troppo eccitante che dovevo per forza dirlo prima di scoppiare. Non ho fatto molto, lo dico a chi peraltro sta già cercando video che lo testimoniano, ma anche solo poter dire in sottofondo, a tempo, "Elio...elio...e...e...e...elio e le storie tese" è stato bellissimo.

-) Il cappuccino preconcerto con le fave. Una venuta dalla Sardegna e tre di Napoli e dintorni. L'avevo letto sul sito di "Marok": "non ho mai incontrato una Fava che sia un tipo normale", aveva ragione. Tantissime risate, ma proprio tante, tra gente che non si era mai vista prima. Questo è il bello di avere una passione in comune.

-) Le mie canzoni preferite, anche quelle che non avevo mai sentito dal vivo, come se la scaletta fosse stata un solo grande omaggio al sottoscritto: "Bis", "Il vitello", "Servi della gleba", "Gimmi I.", "L'astronauta pasticcione", "Alfieri", "Cara ti amo", il medley con tutte le sigle di Mai dire gol intervallate con le cover di Parla con me, "Il congresso delle parti molli", "Oratorium", "Baffo Natale", e la chiusura fenomenale: "Sphalman" ma nella versione lenta, con solo piano di Rocco, e la voce di Elio, mentre gli altri della band scendevano a salutare il pubblico. Eccezionali.

-) La mia pulzella, sempre pronta a starmi vicino in ogni avventura mi voglia lanciare. E quel suo modo di guardarmi quando sono felice e rido che mi piace ogni giorno che passa.

-) Il soundcheck con le altre fave e i consigli che davamo ad Elio, che ci insultava scherzosamente e ci indicava come i colpevoli quando l'acustica peggiorava. Quante risate!

-) Il viaggio del ritorno, vissuto nel mutismo per le troppe emozioni della serata.

-) Il backstage con tutto il gruppo, se qualcuno mi domandasse di che cosa abbiamo parlato, non me lo ricorderei neanche sotto ipnosi. So solo che ho fatto miliardi di foto ma per sfortuna, adesso, la videocamera è a casa della mia pulzella. Di sicuro ho parlato del Bloggo, quindi se commentano Elio o Rocco, qui sotto, sappiate che solo veramente loro.

-) L'intervista per Radio Prima Rete al termine del concerto dove sia io che Giuseppe, la Fava sarda, eravamo veramente su di giri e abbiamo regalato momenti divertenti e di altissimo spettacolo.

-) Varie ed eventuali che adesso non rammento anche se la scorta di adrenalina credo sia quasi giunta al termine.

Posso solo dire che è stato il concerto più bello della mia intera vita. Non oso pensare a risultato migliore per 19 euri spesi. Ma più che altro non oso pensare ad emozioni più grandi oltre quelle di aver incontrato il mio gruppo preferito, aver stretto loro la mano, aver discusso con loro, fatto foto e persino cantato assieme. Ah, e ovviamente ci ho ricavato il mio quarto abbraccio a Rocco Tanica, che non fa mai male.
Alla prossima. Speriamo sia sempre più vicina e sempre più bello, anche se ormai ho i miei dubbi dopo quello che ho visto ieri.


VERSIONE ALTERNATIVA

Capita che un giorno ti svegli e sai che quella è la giornata che vuoi sia perfetta ma non lo sarà mai. Che il caffellatte che ti stavi preparando è da buttare perchè una mosca ci è annegata dentro e che chiunque ti parli, in quell'oscura mattinata, ti darà sempre la stessa cosa: stasera piove, toglici le speranze.
Ed eppure il sole è bello alto in cielo, anche se ogni oretta si riannuvola e butta già una discreta quantità d'acqua. Ma il concerto si farà, basta essere positivi.
E poi la giornata è speciale: io e la mia pulzella ci siamo decisi di prenderci un giorno di riposo generale e di dedicarci a noi, quindi pranzo al ristorante, primo pomeriggio di relax guardando Fringe e di corsa a Casertavecchia per il soundcheck.
E tutto va' per il meglio. Il pranzo si fa, piove fuori ma è meglio alle 14 che alla sera no? Quando ritorniamo a casa sua il tempo si migliora, spunta il sole, prendo la macchina con entusiasmo e gaudio: niente e nessuno potrà fermare il concerto.
Arriviamo sul Borgo alle 18 e 20. Inizia a piovere. Ci incontriamo con Giuseppe, fava sarda conosciuta qualche settimana prima su Facebook, e con Faith, Valeria e Silva, fave napoletane, in un bar e osserviamo come la pioggia scende copiosa fino alle 19 e 30. In quel mentre decidiamo di andare su, nei pressi del Teatro, per capire la situazione e per vedere sto benedetto soundcheck, sono Fava da poco, vorrei almeno avere la soddisfazione di seguirlo, per una volta.
Conosciamo altri gruppetti di Fave, e alle 20 e 15 i due speaker di Radio Prima Rete presenti alla manifestazione comunicano a Giuseppe che il concerto è annullato.
Io sorrido pensando fosse uno scherzo, una burla.
E invece no. E' annullato. Non c'è il tempo materiale per montare strumenti, fare i controlli, il soundcheck e per il concerto in se per se.
Annullato. Non rinviato, come accaduto a due concerti su due del Complessino a Settembre, ma eliminato. Lì per lì non capisco, poi piano piano, con conferme da parte dello staff di Elio mi rendo conto che è vero. Il concerto non c'è, riavrò i miei soldi indietro ma avrei preferito se li tenessero e mi facessero assistere allo spettacolo.

E quindi tutto è da buttare. La location, suggestiva ma all'aperto, l'idea di una tre ore di concerto, me sul palco che canta "Born to be Abramo" e altre minchiate scritte con l'immaginazione di un fan deluso più che dal suo gruppo o dalla direzione della manifestazione, dal caso, dal destino, dalla sfiga. Che ci ha preso benissimo stavolta.
E cosa rimane di una serata brutta? Rimangono i momenti indimenticabili scritti sopra, alcuni veri, alcuni modificabili quali:

-) Il cappuccino preconcerto con le fave. Una venuta dalla Sardegna e tre di Napoli e dintorni. L'avevo letto sul sito di "Marok": "non ho mai incontrato una Fava che sia un tipo normale", aveva ragione. Tantissime risate, ma proprio tante, tra gente che non si era mai vista prima. Questo è il bello di avere una passione in comune.


-) La mia pulzella, sempre pronta a starmi vicino in ogni avventura mi voglia lanciare. E quel suo modo di guardarmi quando sono triste e rimango muto, mi piace ogni giorno che passa.


-) Il viaggio del ritorno, vissuto nel mutismo per la troppa tristezza della serata. Ma questo è più un momento da cancellare


-) L'intervista per Radio Prima Rete, quando abbiamo fatto finta di essere al termine del concerto dove sia io che Giuseppe, la Fava sarda, eravamo veramente su di giri e abbiamo regalato momenti divertenti e di altissimo spettacolo. Se riuscissi ad avere la registrazione la posterei volentieri.


Intervista. Quello che sembra quasi piangere sono io.
E niente più.
La prossima data più vicina è Taranto. Settimana prossima, venerdì, ingresso gratuito. Tre ore e 15 di andata ed altrettante di ritorno. Prima che andasse in Francia mio fratello forse ci avremmo pensato e l'avremmo fatta 'sta pazzia.
Ora non so. Con una macchina a gpl ci vuole poco per arrivare, in termini economici, un po' di più in quelli di tempo. La voglia c'è. L'unica cosa che preoccupa è il ritorno ad orari troppo strampalati.
Forse ci vado, forse no.

Intanto mi godo un concerto immaginario tenutosi ieri sera nella mia testa. Per Taranto ho 7 giorni per decidere. Ed ho paura ha dire "sì".

martedì 4 settembre 2012

Problemi tecnici


Il Blog andrà in onda in forma ridotta fino a venerdì, dovrebbe essere così, per esigenze di perfezionamento della variabile impazzita che è ormai diventato il mio portatile. Traduzione: mi manca la lettera "N", e ho dei problemi sia con la "B" che con la "M" che con la "A" che con il caps lock e per non fare la fine di un Directioner qualunque che non conosce la grammatica e ritrovarmi a scrivere post come "E' stto davvero ello fre quest vacza sul lgo!!!111!1!!!2 metto in pausa il blog ed eventuali aggiornamenti saranno fatti da casa della mia pulzella se riesco a rubarle il portatile mentre è immersa in un qualsiasi programma osceno di Realtime o di Cielo.
Quindi, miei cari dodici fan, il Blog è socchiuso e vi da appuntamento, se tutto va bene e la tastiera nuova arriva in breve tempo, verso il fine settimana.
Se tutto non va bene sentirete lacrime di dolore per il sottoscritto che non può scrivere baggianate ma solo leggerle. E' questo è IL MALE!

!!!!!!!!!!nnnbbbbmmmmaaaa.

Quest'ultima parta è stata una liberazione dallo status di perenne difficoltà in cui vivo per scrivere frasi di senso compiuto. Ma ci avete fatto caso di quanto è importante la "n" nel nostro alfabeto? E' da una settimana che ci penso. Dovremmo dare più spazio alla J o alla K o alla Y, perchè metterle lo stesso in tastiera e non usarle? Che spreco. Monti tasserà le lettere troppo poco consumate, poi voglio vedere che lo userete in ogni contesto.
Dalla regia mi fanno presente che la "k" è la più usata dai gggiovani d'oggi. Ben più della "c" che si è ormai presa qualche anno di ferie. Dimmi che pulsanti premi e ti dirò chi sei.

Sayonara!

domenica 2 settembre 2012

Epilogo


(Ultima parte di questo racconto a tema ferroviario che ho iniziato qualche settimana fa e che ora vedrà la sua conclusione. Se l'avete letto tutto a puntate non posso che ringraziarvi per la costanza. Se invece aspettavate la conclusione per leggerlo tutto d'un fiato, non posso che scusarmi per l'attesa. Se invece non ve ne frega altamente, non posso che ringraziarvi per la sincerità. Questa ultima parte è stata battuta con estrema difficoltà dal sottoscritto data la perdita della cara "N" dalla tastiera e il quasi addio di molti altri pulsanti. Dopo questo racconto avrò bisogno di una tastiera per portatile nuova, ve lo dico per invogliarvi alla lettura almeno vi prendo per disperazione. Per il resto: da domani si ritorna postare boiate. Non me ne vogliate a male)

Alla fine è stata solo una giornata come un'altra. Forse ho conosciuto la ragazza della mia vita, quella che poi sarebbe diventata la donna, la moglie, e chissà che altro. Ma non sono mai stato un tipo da etichette. A me interessava solo che lei fosse...Lei.
Quella a cui dovevo un bacio sulla fronte casomai fossi rientrato tardi da lavoro, quella a cui avrei stretto la mano durante il concepimento dei nostri figli, quella a cui avrei donato qualche attimo di pace portando i nostri bambini al cinema mentre lei avrebbe potuto dedicare tempo a se stessa, quella a cui avrei dato conforto nei momenti tristi, coraggio negli attimi bui, amore in ogni secondo insieme.
O forse lei sarebbe diventata un'ex moglie odiosa, un muro che avrebbe distrutto i miei progetti sostituendoli con i suoi, un errore sulla mia strada.
L'unica sicurezza in questa storia è che lei sia su un treno ed io su di un altro.
Ho seguito il suo consiglio: ho evitato di ingarbugliarmi in una storia che mi avrebbe solo fatto soffrire. O almeno è questo che voglio pensare. D'altronde nelle mie precedenti storie non mi sono fatto scrupoli nell'inseguire, in tutti i sensi, qualcuna che era già impegnata, ma questa volta è diverso.
Lei ha un marito, che è un problema da poco se ci si pensa bene. Tanti matrimoni finiscono in un lampo, basti pensare a tutti quelli di Britney Spears e di Gullit. E se fosse solo per il sacramento in se per se forse ci avrei tentato prima di scappare via così.
Ma è per un'altra lei, una bambina stavolta. Sua figlia. Anzi: la loro figlia. Un "discorso" in cui io non posso intromettermi. Perchè lui, il marito di Samantha, sarà sempre il padre della loro figlia. E per lui avrà sempre una porta aperta se è una ragazza di buon cuore. E in quel poco che ho potuto constatare sono sicuro di sì.
Quindi io sarei poi "l'altro".
L'altro "papà", un titolo che non mi appartiene. L'altro "uomo della mamma" e forse il "motivo" per cui mamma e papà non stanno più insieme.
Questo nel caso migliore.
Nell'ipotesi peggiore farei un viaggio a vuoto, lei capirebbe che non può lasciare l'uomo che ha sposato e mi darebbe il benservito cercando di dimenticare i momenti vissuti insieme. Sì, meglio così. Meglio abbandonarsi adesso, dopo una bella giornata sulla stessa lunghezza d'emozioni, e poi ognuno per la sua strada. Lei ritornerà da loro, ricomincerà ad amare suo marito e continuerà una storia lunga anni ricordando con piacere questo giorno. Ed io ritornerò a Napoli, a quella riunione di compagni di classe, giusto in tempo per la cena come se nulla di questo fosse successo. E magari troverò qualche altra ragazza, su qualche altro treno, pulman o aereo per cui perdere la testa, il tempo necessario del viaggio, il tempo necessario per innamorarmi di un sorriso, un'andatura ondeggiante, delle forme da pin-up anni 50. O magari da domani sarò una persona migliore e mi innamorerò in modo normale, come fanno tutti i ragazzi della mia età. Troverò l'amore in una serata in discoteca, obbligato dai miei amici, e incontrerò una splendida ragazza nella mia stessa situazione. O magari ad un concerto, in teatro, al ristorante o la cameriera al pub sottocasa. Chissà. Di sicuro non Lei e nessun'altra come lei. Gli amori non nascono su di un treno, su una nave, su un aereo. Gli amori vivono sulla terraferma. Tutto il resto è aria, acqua, rotaia. E non è mai solida come si potrebbe credere, neanche nel migliore dei casi.
Molti uomini approcciano le proprie conquiste parlando delle stelle. Corpi celesti scesi sulla terra per donare loro amore, indicargli la retta via o magari essere solo inseriti nel viso delle donne al posto degli occhi. Non ho mai ascoltato nessun uomo declamare alla propria donna apprezzamenti su come il suo corpo sia come un immenso prato verde. Mai. Forse perchè siamo troppo impegnati a guardare in alto che ci dimentichiamo su che cosa camminiamo. Che è la terra l'unico posto in cui vivremo, ed è la terra l'unico luogo dove troveremo l'amore.

E' questo quello che mi ripeto insistentemente, mentre ritorno dai miei pensieri. Mai come questa volta ero sicuro di essere in un altro luogo, su di un treno che mi riportava a casa, ma in realtà sono a Bologna, in stazione e il suo treno non è ancora partito. Mentre corro come un pazzo verso il suo binario, la vedo: è affacciata da una carrozza, forse stava aspettando il mio arrivo. Urlo il suo nome come se fosse l'unica parola che conosco. Lei risponde.
"Samantha!", ribatto facendo voltare ogni persona presente in stazione.
"Andrea!", allunga il braccio come a volermi prendere al volo, anche se siamo molto distanti.
"Samantha!", intanto il treno inizia a muoversi lentamente.
"Andrea!", è un po' ripetitiva, in effetti.
"Samantha, ricordati di me. Non dimenticarmi. Ricordati di questo giorno, di queste ore, di questo amore che poteva nascere. Non dimenticarmi, come io non mi dimenticherò mai di te".
"Ti ricorderò sempre, ma questo non è un addio. Sai dove trovarmi.", il treno intanto prende una marcia sostenuta facendomi correre a velocità raddoppiata.
"Questo è un addio, Samantha. Ti ho amata, per un attimo, ma ti ho amata. Non dimenticarmi", urlo fermandomi senza più fiato in corpo. Lei risponde ma il vento si porta via le parole, confermando la mia tesi: solo sulla terra ferma si vivono gli amori. L'aria, l'acqua, il vento, le rotaie sono tutti passeggeri. La terra è l'unica cosa che sempre rimane. L'amore è l'unica cosa che vogliamo trovare.

(13 - Fine)