giovedì 29 aprile 2010

Attimi intensi



Secondo racconto del concorso "Blusubianco". Il primo, quello della scorsa settimana, non è stato nemmeno pubblicato nella sezione "tutti i racconti", si vede che non aveva le credenziali per essere un racconto o perlomeno un "tutti". Per questo, invece, c'è la felicità dell'avvenuta pubblicazione a questo link, ma tanto è lo stesso racconto che pubblico tra un paio di righe, indi dove lo leggete leggete non fa niente, basta che perdiate cinque minuti della vostra vita appresso al sottoscritto. Vi ringrazio anticipatamente.

L'incipit dettato dal concorso è in corsivo, il resto è opera mia.
Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere. Io non mi faccio illusioni, però: dice tante cose. Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento e ogni partita dura un’ora o più. “Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta. “Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene. So che non posso controbattere, la adoro troppo. Ogni volta che la guardo, rivedo in lei tutta la mia vita e tutti i miei sbagli, e anche l’unica cosa buona che ho fatto: lei.
Iniziamo la partita con i due passi in verticale dei pedoni, solita mossa di ogni mercoledì. Lei sorride, anche se non faccio battute, se non parlo. Lei sorride perché è felice di essere qui e forse io sento di non meritarlo.
“Il cavallo è uscito dalla sua stalla e mangia l’alfiere in c4” dico, come ogni volta. Lei ride ancora. Anche se si aspettava questa battuta, anche se l’ho ripetuta più e più volte, lei ride. Lei la adora. Quando sorride la ricoprirei di baci, ma non posso, non qui, non adesso.
“Attenzione signor Kasparov, il pedone si mangia la torre!” mi dice, e mi risveglia da quel limbo dove ero caduto guardando il suo viso, assomiglia ancora oggi in tutto e per tutto a Chiara. Diventerà una ragazza bellissima.
“Ha perfettamente ragione, signor Karpov, mi ero assurdamente distratto” in un certo qual senso mi scuso, poi osservo il suo sguardo un po’ adirato e mi correggo “Oh, mi scusi, signorina Karpov”. Sorrido anche io, per una volta e mi accompagna con una piccola risata. Che dolce sentirla ogni settimana, che dolce attenderla per ogni giorno. Che dolce sperare che lei condivida la mia attesa.
“E con questo è scacco al re, l’alfiere superstite ha dimostrato grande coraggio, non credi?” chiede lei, piena di eccitazione per la partita quasi conclusa.
“Riconosco il coraggio e ci aggiungo anche un po’ di incoscienza, piccola mia, il tuo alfiere superstite ora è spacciato, il mio cavallo come fieno se l’è mangiato!” rispondo, con una rima inventata al momento. Senza farlo apposta. Ottengo ancora un’altra risata. Ho sempre desiderato un mondo alimentato a risate, sarebbe sicuramente un posto felice. Cosa che questo luogo non è.
“Ma non ti sei reso conto che il piccolo pedone è arrivato in fondo” mi dichiara lei, cercando anch’essa di fare la rima. Quel pedone mi ha distrutto quasi tutti i pezzi, dannazione. Se perdo questa partita mi raggiunge nelle vittorie. Non posso concederglielo. Poi vorrebbe la ricompensa, e io non posso dargliela.
“Ed eccoti di nuovo la tua regina, fanne buon uso stavolta” anche se spero il contrario. Mi ritrovo con pochi pezzi e una regina intrappolata. Lei dispone di più pedoni ma meno pezzi migliori. Devo iniziare a fare piazza pulita, costi quel che costi. “E il primo pedone è andato via, avrà avuto un impegno” dico, e noto le sue guance arrossate, si sarà imbarazzata vedendo Aldo dietro di me.
“Ti piace ancora il caro Luigi, piccola mia?” sorrido felice. Non so perché ma questa cosa mi da un enorme piacere.
“Si, però non lo vedo da un po’, puoi chiedere al signor Aldo se viene a casa da me?” e le guance si fanno di un rosso fuoco, che colpisce l’intero viso.
“Dopo la partita, ci penso io. Non ti preoccupare. Ora continuiamo la partita, stiamo per finire no?”
“Si, purtroppo” e si rabbuia. Di nuovo. Come ogni mercoledì. Come ogni settimana. Come da mesi e anni lei si intristisce perché sa che il tempo a nostra disposizione è finito, o quasi. Che dovrà attendere altri sette giorni prima di vedere me, suo padre. Che dovrà pagare lei, la mia piccola, per i miei peccati, per i miei errori. E dovrà vivere un’esistenza lontana dal sottoscritto per ancora un bel po’. Altri tre anni, dicono, e sono fuori. Fuori da questo luogo di tristezza e di solitudine. Perché siamo tanti ma siamo tutti soli. E me lo merito di vivere qui, di piangere in solitudine nella mia cella mentre penso a lei lontana da me, in un’istituto che non è fatto per lei. Sola, a 8 anni, senza un padre e una madre. Chiara, la mia bellissima Chiara, è andata via, volata verso un mondo migliore spero. Due anni fa, tra mille sofferenze, contro un nemico che non poteva sconfiggere. Io invece sono qui, da cinque anni, e attendo la fine della mia pena. Una rapina a mano armata con pistole giocattolo, niente di serio insomma. Peccato che il vigilante della banca sia morto d’infarto, quando noi siamo arrivati. Non ce l’aspettavamo, non lo sospettavamo. Ci siamo ritrovati lì, attorno a lui, a pregare per i nostri peccati. Come non abbiamo mai fatto. E forse questo mi ha salvato da una pena immensamente più grande e mi da la forza per attendere ancora un futuro migliore: il giorno in cui uscirò e andrò a vivere con la mia piccola Caterina, quel giorno le permetterò di vincere e di pareggiare le mie vittorie e così potrò dargli la ricompensa pattuita: una vita assieme. Quello che lei spera ogni giorno, da quel che sento. E che io, ora come ora, non posso dargli.
“Scusami piccola mia, ma anche quest’altro pedone è andato via. E siamo a ben quattro consecutivi, la tua armata è vicina alla fine, suppongo” mi fa una linguaccia con il faccino arrabbiato, ma dura solo un’istante poi ritorna a sorridere.
“Io lo so che tu sei più forte papà, ma una volta o l’altra ti raggiungerò, te lo prometto” e intanto le dichiaro scacco matto. E concludo la sfida.
“E io attenderò quel giorno, quale fosse il più prezioso per me. Vieni qui, piccola mia” ogni abbraccio è una lacrima, per me. Perché vorrei che durasse per una settimana intera, ma purtroppo non accade mai.
“Caterina, è ora” le dice Lucia, una ragazza del servizio civile dove la mia piccola vive. E’ da sei mesi che viene ogni volta ad accompagnarla da me e si commuove ogni settimana, aldilà degli errori commessi, qualcuno dalla mia parte penso di averlo. Cate mi lascia piano piano e stringe le mani di Lucia, forte forte. Le lacrime le scorrono, come ogni settimana. Le prendo gli scacchi e i cuscini e li infilo nella busta, gliela porgo e le do un bacio, in mezzo a quel lago di acqua salata che è la sua guancia. Mi sorride, ed è per me il miglior regalo che potessi mai avere. Le guardo entrambe andarsene dalla porta principale. Aldo, il poliziotto penitenziaro più simpatico della nazione, mi poggia una mano sulla spalla.
“Ti capisco, fratè. Ti capisco. O perlomento cerco di capirti”, è da quel “cerco” che si capisce la sua natura buona.
“Aldo, amico mio, mi fai il piacere di andarla a trovare con Luigi, in settimana? Le farebbe molto piacere” gli chiedo, come estremo favore.
“Certo che si, non ti preoccupare. Ogni tuo desiderio è un ordine, basta che non mi chiedi di evadere, sia chiaro” e mi strappa una risata. Non so come faccia ma è sempre così.
Ritorno in cella, guardo le foto della mia piccola e cerco di trattenere quelle lacrime che vogliono, insistentemente, far capolino dai miei occhi. Resisto ancora, segno una bella croce sul calendario e scrivo questo diario. Il primo giorno è passato. Ora ce ne mancano sette per un altro mercoledì.

mercoledì 28 aprile 2010

L'amore e il sapore



C’era una volta, in un mondo lontano uno yogurt. (Non è un inizio solito per una favola ma fatemici arrivare al dunque). Comunque, dicevo, c’era una volta in un mondo lontano uno yogurt pervertito. Uno di quelli che si esaltava così tanto del suo gusto tanto da considerarsi uno stallone. Diceva cose come “fai l’amore con il sapore”, e robe del genere. Un montato ma senza panna(questa è per palati fini). Lo yogurt che chiameremo dolcemente Muller come il difensore della Juve degli anni 90, camminava spensierato, vantandosi, nei dolci territori del BancoFrigo, ma un giorno, chissà perché, decise di uscire fuori da quel mondo gelido e pieno di alimenti. Disse: “Io non son come gli altri formaggi, non mi ritengo un latte scaduto. Io me ne esco proprio oggi, voglio visitar il mondo perduto”. E così fece. Grandi pianti ci furono dal settore delle sottilette, che lo volevano così bene, ma gli altri yogurt apprezzarono questa uscita di scena e aumentarono i prezzi immantinente.
Muller uscì e conobbe un mondo nuovo.
“Ma quanta gente c’è qui fuori, non me n’ero mai accorto. Sprizzo gioia da tutti i pori, come il sole quando è sorto!” – esclamò pieno di meraviglia. Con un sorriso stampato sul cartoncino, continuò a camminar per ore e ore, finchè non incontrò un celebre signore e da lì la sua vita cambiò.
“Mi scusi l’ardore, ma io non mento, è mica un famoso scrittore, quello di Novecento?” – chiese colmo di gioia e felicità.
“Certo che sono io, e tu come ti chiami, piccolo...scatolino?” – rispose senza pensarci due volte, anche se dalla faccia altrui era sconvolto.
“Io mi chiamo Muller sono importante, nel BancoFrigo son il più imponente.” – si vantò appena ne ebbe l’occasione – “Io ti vidi tante volte nel tempo passato, ma solo lo yogurt della Marcuzzi tu hai comprato, almeno hai risolto quel problema delicato?” – chiese, senza vergogna.
“Non so cosa vuoi da me, piccolo essere, ma certo non ti parlo della mia vita privata. Ma se tu avessi la soluzione al mio problema, ti mangerei, gratis, da mattina a sera!” – iniziò l’uomo capelluto – “Voglio pubblicizzare la mia scuola, ma non trovo il modo, mi suggerisci un sistema, ti scongiuro?”.
Muller ci penso per un’ora ed un’ora ancora. Rimane, fermo nella sua posizione ad elaborare una qualsivoglia risposta. Le ore passavano ma lui rimaneva imperterrito a pensare. Lo scrittore lo guardava senza muoversi di un passo. Ad un tratto, l’urlo di gioia.
“Eureka, ho risolto, ho la soluzione: basta organizzare un concorso per giovani scrittori. Ce ne son a frotte in questa nazione, accorreranno anche da fuori!” – esclamò sorridendo beato.
“Ma tu sei un genio, ci sei riuscito. E perdigiunta prima di scadere, mi sembra che se non ti metto in frigo, perderai la tua cremosità innata!” – disse lo scrittore esaltato.
“Ah, sei entrato già nella parte, io e te, te e io, e andiamo forte. Ma serve qualcuno che si sopporti quelle bocche sciolte. Hai un nome in mente, mio collega? O chiamo qualcuno io, che ce ne frega!”
“Una persona casa ce l’ho, tanto quanti racconti arriveranno? Cento, duecento, massimo. Faremo una pubblicità soft con radio, tv, internet e stazioni. Di sicuro non parteciperanno a milioni. Vedi che mi fai fare? Ora parlo in rima, colpa tua piccola scatolina!” – e rise di gusto.
“Mi fa piacere che hai preso dal sottoscritto, mi sento onorato, ecco l’ho detto. Il concorso sarà un successo, me lo sento. Anche se andrà sicuramente a rilento.” – disse, convinto di ciò che diceva.
I due se ne andarono mano nella mano, il che era un po’ strano dato che Muller non ne aveva. Decisero di recarsi a casa dello scrittore e lì far l’amore col sapore, peccato che il nostro amico era già rancido, sarà per questo che il concorso è risultato un po’ disorganizzato? La morale della storia siete riusciti a coglierla? E’ semplice, quasi scontata. Bisogna non fidarsi mai di uno yogurt vicino alla scadenza, anche se cento ne pensa, non è mai sicuro che c’abbia ragione. Ma questo, vi prego, non ditelo allo scrittore.

lunedì 26 aprile 2010

A.a.a. - Francis Bacon cercasi



Avete presente quando uno sceneggiatore affermato, alla domanda: "Quale consiglio daresti a un esordiente che vorrebbe fare il tuo lavoro?" risponde: "Quello di visitare anche diverse mostre!"???.
Magari lì per lì qualcuno potrebbe pensare "Va bè, ma che me frega di vedere le mostre? Io voglio diventare sceneggiatore!". Lo confesso: qualche volta l'ho pensato anche io.
Ebbene, circa un mese fa sono stato smentito. In compagnia del buon Bedoz ho visitato una mostra in cui erano esposte alcune illustrazioni a matita di Francis Bacon. I pezzi erano pochi, alcuni migliori altri decisamente meno.
Ma, tra tutti, la mia attenzione si è posata su un'illustrazione che mi ha colpito profondamente. Era il viso di un uomo che mi ha subito fatto venire in mente le illustrazioni dei racconti di Lovecraft, quelle dove vengono rappresentate le divinità (come Cthulhu e Nyarlathotep, solo per dirne un paio) presenti nelle storie.
Con l'aiuto del buon Bedoz, e l'ispirazione avuta da quell'illustrazione, ho subito immaginato un uomo dalla testa di seppia e dal corpo umano, dall'aspetto simpatico e cordiale (e anche un pò ruffiano) che si aggira indisturbato sulla Terra per compiere chissà quale missione.
A questo punto, però, arriva il problema. Quel giorno, alla mostra, non ho fotografato l'illustrazione, convinto che l'avrei ritrovata su internet. Sul web, però, non ho trovato nulla. La mostra ha chiuso, e io sono rimasto senza immagine di riferimento per poter spiegare a un ipotetico disegnatore (neanche tanto ipotetico, visto che l'idea di Cthulhu borghese l'ho già usata nel famoso progetto per la scuola di cui vi parlavo tempo fa) cos'ho in testa.
Ebbene, tutto questo pippone per fare un semplice appello: qualcuno di voi conosce siti in cui si trovano le illustrazioni a matita di Francis Bacon? Qualcuno di voi sa se esistono cataloghi o libri in cui sono presenti le illustrazioni a matita di Francis Bacon?
Mi sarebbe di grande aiuto ritrovare quell'illustrazione, e ho deciso di giocare la carta web e di chiedere l'aiuto dei malcapitati che passano da qui per tornare a dormire sonni tranquilli (e far dormire serenamente anche i disegnatori).
Grazie a tutti in anticipo!!! Se qualcuno dovesse sapere qualcosa, farà felice un aspirante sceneggiatore! :D

Un posto lontano


Un contest letterario è iniziato codesta settimana su questo sito. La scuola Holden di Alessandro Baricco(l'amore del Diggi) e la Muller hanno indetto questo innovativo concorso per tutti gli aspiranti scrittori che sono in questa italica nazione. E io che faccio? Sto a guardare? Eccerto che no! Prima ne parlo con l'amico co-admin e poi mi butto a capofitto nella redazione del primo "capitolo" di questo contest. Ma come funziona?
In poche parole: ogni settimana c'è un incipit di poche righe, bisogna continuare seguendo l' "idea" tracciata. Massimo diecimila caratteri. Un racconto a settimana, un incipit diverso ogni settimana. Il tempo per inviarlo è da mercoledì a domenica e poi si potranno vedere i racconti sul sito e commentarli. Peccato che, però, forse non si aspettavano una così grande risposta di pubblico e la pubblicazione degli scritti è molto a rilento. Si va, sicuramente, verso il migliaio di racconti inviati. E sarà, sicuramente, sempre "peggio" ogni settimana. E comunque io ho partecipato, con un po' di titubanza iniziale(poca fantasia) e con un buon, a mio modesto parere, risultato finale(per una volta son quasi felice di ciò che ho scritto). Ma se è piaciuto o meno si vedrà, intanto lo posto sul Bloggo e spero che farà così anche il mio co-admin.

In corsivo l'incipit di questa prima settimana. Il titolo era "Sentirsi", il sottotitolo mio è "Un posto lontano".

La sua camicia è una macchia bianca sul letto. Lei la ignora: infila nel cassetto la biancheria pulita, mette la borsa nuova sul ripiano più alto dell’armadio, apre la finestra e cambia aria alla stanza. Va a sedersi davanti allo specchio. E’ bella, oggi; sembra quasi che il trucco di ieri sera le sia rimasto addosso. Ora può girarsi, raggiungere il letto. Prima sfiora il colletto e accarezza le maniche, poi se la preme sul naso, sulla bocca. Sorride: che stupida. Va all’armadio e cerca una stampella libera. Si sforza di non guardare il telefono anche se è lì, sul comodino. Passa oltre con lo sguardo. Rufi la osserva con la sua aria sonnacchiosa, lei ricambia l’occhiata con tenerezza, lui risponde con un miagolio sommesso e con l’inizio di un nuovo sogno. Stella mette la camicia al suo posto e si siede sul letto. Di nuovo osserva il telefono, allunga una mano per raggiungerlo ma il caso ci mette del suo: il campanello suona. Con un saltello Stella è di nuovo in piedi, raggiunge l’ingresso della casa in cinque passi, quasi come se camminasse sull’aria, apre la porta dimenticandosi di guardare prima nello spioncino. Errore grave.
Lui è qui, davanti a lei, e questo non se l’aspettava. Stella, spaventata, cerca di richiudere la porta prima che lui riesca ad entrare ma è una speranza vana. In due secondi lui è in casa, con quel mezzo sorriso che Stella gli ha visto in faccia tante volte, e con quegli occhi che avrebbe voluto dimenticare. Urla. Subito. Senza pensarci su.
“Piccola, dobbiamo parlare io e te. Dobbiamo parlare.” – E parte con un primo schiaffo, in pieno volto. Il segno compare un attimo dopo. Stella è già a terra.
“Non puoi venire qui tu! Non puoi venire! C’è un’ordinanza del tribunale, non puoi vedermi. Non puoi sentirmi, non puoi nemmeno respirarmi, vattene! Vattene!” – Cerca di impaurirlo ma sa che è difficile. Accetta il secondo schiaffo con naturalezza, non si smuove di un millimetro, ha già vissuto quest’esperienza.
“Io faccio quello che mi pare, mi sembra strano che ancora non l’hai capito. E ora faccio quello che da tempo volevo fare.” – Le salta addosso. Senza pensarci un attimo inizia a toglierle i vestiti di dosso, lei cerca di divincolarsi ma è troppo forte, lui continua a parlarle. – “Ti ho seguito ieri sera, ti piace fare nuove amicizie eh? E quel simpatico Marco quando lo chiami? Ti piace? Vuoi dare anche a lui il dolore che dai sempre a me, eh? Forse dovrei chiamarlo ora, magari se ti vede così sarebbe più tentato a conoscerti. Dai, dammi il numero che ci divertiamo insieme!” – Stella non vuole piangere ma lo fa, senza quasi rendersene conto: una lacrima le scende per tutta la guancia sinistra, fino al baratro finale del viso. Cerca di sopportare la violenza senza urla, senza strepiti, semplicemente facendo finta di essere da tutt’altra parte. E un po’ ci riesce.

Stella è in montagna, nella sua seconda casa, ereditata dai suoi genitori anni prima. Aspetta le sue amiche per iniziare un week-end di solo divertimento tra chiacchiere, giochi e escursioni. Ha aspettato tanto che arrivasse quella pausa e non vede l’ora di spettegolare in compagnia, magari dando i voti alle prestazioni amorose che ha avuto in quel periodo. Un passatempo diventato abitudine da quando Lia, la sua migliore amica, conobbe un cantante famoso e divenne, per una notte, la sua groupie. Da quel momento ogni rapporto, ogni conoscenza, ogni uomo doveva essere votato e doveva passare al vaglio delle altre ragazze. C’era sempre chi si opponeva, all’inizio, ma poi veniva anch’essa attirata dal gioco. Stella era una di quelle. Aveva sempre tenuto una certa privacy sulle sue storie d’amore, e raccontare dei particolari privati la faceva arrossire non poco.
“Ma quando Lia parte in quarta non c’è niente da fare” – sentenziò da sola, davanti al camino. Nel silenzio della sua baita.
D’un tratto il tempo peggiora. Una violenta nevicata fa preoccupare non poco Stella che si attacca al cellulare immediatamente. Chiama le ragazze e scopre che hanno trovato rifugio in un albergo, sulla strada. Si sente distintamente la voce di Lia che giudica il posto “un concorso di bellezza al maschile tra giovani montanari”. Stella ride, le altre si scusano e giurano che il giorno successivo arriveranno da lei, sempre se riusciranno a staccare Lia dalla “fauna locale”. Ora è sola però, e forse non le farà così male. Una serata in montagna, davanti al camino, con Rufi accovacciato sulle sue gambe, forse le serviva. Un po’ di pensieri deliziosi le conciliano il sonno, la poltrona è stranamente comodissima e le palpebre si chiudono da sole.

E’ tornata. E’ di nuovo nel suo salotto. Con lui addosso, incattivito e stanco dalla sua operosità. E’ riuscito ad entrare in lei e ora sbuffa ad ogni sussulto. Stella non si muove e si prende un altro sonoro schiaffo. Non collabora, non partecipa. Lui le si avvinghia contro sperando di baciarla, lei si scosta e con un altro colpo ritorna dove si era rifugiata.

Sentir bussare alle tre di notte non è fattibile, secondo Stella. Si era svegliata di soprassalto e non era riuscita più a prendere sonno. Aveva deciso che l’avrebbe aperta quella maledetta porta e così fà. Davanti a lei: il nulla. Sotto di lei: un uomo svenuto.
Un bel ragazzo, non c’è che dire. Un bel ragazzo svenuto sotto la propria casa, visibilmente infreddolito, Stella non avrebbe mai sospettato di trovarselo. Lo porta davanti al camino per cercare di farlo svegliare e di far riprendere, decentemente, la circolazione del sangue. Decide che, per una buona causa, si possono togliere vestiti ad un uomo non cosciente. D’altronde erano bagnati, d’altronde è una buona azione. Gli toglie le scarpe, gli strappa via i calzini, con forza. Gli toglie la maglietta e il pantalone. Ad un certo punto, però, la timidezza prende il sopravvento e lo ricopre dalla cintola in giù con una coperta. Si gira e decide di andare a prendere un bicchiere d’acqua quando una voce la ferma.
“Se questo è il paradiso, giuro che non voglio più tornare indietro.” – Stella ride. Si rigira e scopre che l’uomo svenuto ha anche un bellissimo sorriso. – “Spero che mi perdoni l’ardire, ma mia madre ha sempre detto che se una donna mi spoglia significa che c’è interesse e dato che penso che lei non abbia abiti maschili, posso avere la gentilezza di riscaldarmi con il suo corpo?” – Sfrontato, gentile e simpatico ma decisamente sicurissimo di sé. Stella un attimo dopo è tra le sue braccie e ci passerà la notte intera.

E’ ritornata ancora. Lui non c’è più. Ha esaurito la sua potenza maschile e se ne è scappato. Rufi è accanto a Stella e miagola più forte che può. Lei non ha forza necessaria per muoversi o parlare. Il gatto piange fino allo sfinimento, la porta di casa si apre. E’ il signor Nestore, un omino buono che Stella ha sempre paragonato a suo padre, sia per la gentilezza che per l’avvenenza. Si sconvolge appena la vede, si lancia sul telefono e chiama l’ambulanza, la polizia o qualcun altro. Ora Stella si sente al sicuro, e può scivolare ancora nel suo sogno.

Il mattino dopo le amiche si presentarono alle 9 precise davanti alla baita di Stella. Il campanello suonava e nessuno le apriva. Dovettero mettersi d’impegno urlando e bussando con forza prima che un uomo con una coperta addosso che gli copriva i suoi spazi intimi, le venisse ad aprire. Lia rimase a bocca aperta. Le altre guardarono Stella e i suoi capelli arruffati e iniziarono a sorridere. Stella raccontò per filo e per segno i particolari di quella notte piena di amore. Il ragazzo assistette imbarazzato dall’altra parte del salone, con gli occhi di Lia che scrutavano ogni centimetro quadrato della sua pelle. La vacanza proseguì come era stata decisa. Stella non rivide mai più Samuel, ma lo amò follemente quella sera e conservò, per lui, un angolo del suo cuore.

Si sveglia indolenzita, la stanza non è quella di casa sua, ne è sicura. L’uomo affianco al suo letto ha un viso conosciuto ma non riesce ancora a metterlo a fuoco. E’ il signor Nestore che le parla soavemente, dolcemente, in modo calmo e deciso. Sorride appena vede che lei apre gli occhi, le tiene la mano, come se veramente fosse sua figlia. Stella si sorprende di quanta somiglianza abbia quell’uomo con suo padre, come aveva sempre sospettato. Il dottore arriva un attimo dopo accompagnato da un poliziotto. Le parole sono confuse, forse dovute a qualche anestesia che ha subito. Ma il concetto è chiaro: il suo ex ragazzo, Claudio, è stato arrestato dopo quello che ha fatto. “E’ stato il suo ultimo reato, gli aspettano vent’anni di carcere ora.” - sentenzia il poliziotto, abbozzando una specie di sorriso.
“E c’è un’altra buona notizia, signorina. Il suo bambino non ha subito traumi, non si preoccupi.” – Quelle parole la sollevano da ogni angoscia. E’ felice, o almeno prova, per lui, ad esserlo. Il piccolo che porta con se è un ricordo di una notte in montagna, con un uomo gentile e prezioso. E lei vuole tenerlo quel ricordo, e non solo, da sola per adesso. Magari un giorno rintraccerà Samuel e gli dirà tutto, ma senza obblighi e senza paure. Ha una vita dentro di se, e dovrà nascere in un mondo felice, con una madre felice. Stella chiude gli occhi, stavolta non va da nessuna parte, solo in un dolce sonno senza sogni.

martedì 20 aprile 2010

Liga bua (Ricerche Febbraio)



Iniziamo così, con un calambour degno del miglior Oreste Lionello, questo post dedicato alle ricerche del mese più corto del calendario: Febbraio. Ma non per questo povero di ricerche incredibili, innominabili, indecenti. L'angolo dell'hard acquista sempre più spazio, e il pensiero comune che questo sia un blog per maniaci aumenta sempre più. Oh amanti degli sgrittori, oh amanti delle ninfomani, oh amanti delle ricerche assurde, questo è il post che fa per voi. Buon divertimento.

(Tra parentesi è indicato il numero delle ricerche, nel caso in cui siano maggiori di una)

(La foto si riferisce ad un disegno di un artista che si dovrebbe chiamare Bua, quanto sono in tema!)

diggisesso(11+4): Finalmente dopo mesi ho capito cosa cercavate. Allora, il sito porno è quello con una sola g. Non dimenticatelo. Non venite qui sperando di trovare bocce e sederi. Non siamo mica alla Pupa e il Secchione.

"ceco da un occhio" : Non so perchè, ma mi piace. E' così poetica come frase. E' per tutti gli amanti dei corsari.

acqua minerale vitasnella + puzza uova marce: Non oso pensare che tipo d'acqua minerale acquisti, amico mio. E' una versione speciale? Solo per amanti del Carnevale?
il patrono delle figure di merda: Credo che, se esiste, diventa di sicuro il mio santo protettore.

djjurgen e luttazzi4ever: Questa gente mi preoccupa, ogni giorno di più. Quali sono i motivi della ricerca? Quali sono i motivi che spingono a cercare questi due individui? C'entreranno gli alieni? Li scopriremo nella prossima puntata di Mistero!

camminare in avanti: Anche i gamberi ci leggono, e vogliono imparare a sconfiggere la loro natura.
come scoprire la bisessualità maschile quali sono gli indizi: Allora, semplice semplice. Vicino al poster della Ferilli ha quello di Raul Bova. Non cambia canale davanti al balletto maschile. E' fan di Ricky Martin e soprattutto gli piace Belen, ma gli piace di più Fabrizio Corona! Statene alla larga.

idee su un giallo un posto dove può accadere un omicidio: Oh, se i "colleghi" scrittori che possono rubarmi il lavoro sono come questo tizio, sono salvo! Capisco ricercare spunti da internet, ma chiedere a Google di fare tutto il lavoro è eccessivo.

ho sognato di uccidere due persone e avevo il cuore ha undici battiti: Badate bene, l'omicidio si è già avuto davanti ai vostri occhi. "ha undici battiti". Sono morti lo Zanichelli e il Garzanti. In un microsecondo.
nico e penny si fidanzano? : Lo voglio sapere! Vi prego!!!

no mi hai detto con chi ti troverai oggi fare analizi gramaticale: I geni sono tanti, e io amo questo tizio. No, lui non solo vuole che il motore di ricerca lo aiuti nei compiti. No. Lui vuole anche metterlo alla prova, se riesce a capire che significa "analizi gramaticale" meriterà di aiutarlo. Un genio.
trucchi per prendere le banane ad amidar: A me prendere le banane non è mai piaciuto, mi preoccupo a priori.

mondo di patty:la puntata successiva a: pensieri e parole : Noooooo, patty noooooo, vi prego. Abbiate pietà di questo blog. Ricercate Sandra Milo ma Patty no!!!
savino francesco chieti scalo: Francè, io mi preoccuperei. Mica c'hai qualche debito non pagato? Perchè credo stiano arrivando due tizi armati di roncole a casa tua.
avere una rosa nello stomaco simbologia: Mangiato troppi peperoni.

E ora, per i malati ed i maniaci e i Gigi Sabani: l'angolo dell'Hard!

ninfomani su msn : ovviamente aspettano te.

festa delle ninfomani : San Ninfomane non so quando è, però se mi dite dove la fanno, un giro me lo faccio volentieri. Solo per fare qualche foto eh!

cleb ninfomani : Ah, l'italiano quando c'è di mezzo la topa viene sempre dimenticato.

ninfomani all'opera: E qui c'è una domanda fondamentale. Opera inteso come luogo, magari durante l'Aida di Verdi, o inteso come "lavoro". Ai posteri l'ardua sentenza.

ninfomani in Abruzzo: Almeno lui le cerca in un posto specifico.

ninfomani si nasce o si diventa: Beh, ci saranno sicuramente delle ninfomani naturali ma per tutte le altre c'è il corso intensivo "I Want to be like Belen who makes sex in public with the monster Corona". Due settimane di corso con i nostri preparatori e si, anche tu sarai una ninfomane!

www.il club delle maiale. it : Un sito per fare i propri porci comodi. Ah ah ah. No, vi prego, non cambiate blog dopo questa battuta.

E ora, l'angolo del pervertito. Questo individuo o ha 8 anni o ha la mente di un bambino di 8 anni. Abbiatene paura. Vietato l'ingresso dei cardiopatici e delle squinzie suscettibili. Questo l'è malato.

una donna che si abbassa i pantalono e si fa vedere la farfallina: Prima parte.

porcherie il maschio ci mette la mano nella farfallina : E seconda parte! Mi fa piacere che abbia inserito il termine "porcherie". E' un genio. Io lo adoro. Io lo vorrei come co-admin, altro che Dj Jurgen. Lui si che con poche parole riesce a far capire veramente ciò che vuole! Lunga vita al ricercatore folle!

venerdì 16 aprile 2010

Momenti di fissazione - Boris

Sono uscito dalla dipendenza di Lost.
E questa è cosa buona.
Ma sono entrato in un'altra dipendenza.
Quella da Boris.
E questa è cosa buona e giusta.
















Si ringraziano infinitamente, per il suggerimento, il Maestro Alex Crippa e il co-autore de "Il gattino Virgola", Umberto.

Se qualcuno non sapesse di cosa sto parlando, si consiglia di cliccare QUI.

E, per pura cronaca, da oggi ho un nuovo idolo. E il suo nome è Francesco Pannofino.
Tanto per far capire di cosa è capace quell'uomo:

giovedì 15 aprile 2010

Settimo Giorno - Nero



Mi chiamo Allison Thorne. Ho trentadue anni. Ho un marito, Alan che mi ama più della sua stessa vita. Ho un figlio, Chase, che non so dove sia. Sarebbe meglio dire “avevo un figlio”, ormai non ce l’ho più. Una luce bianca purissima l’ha “rapito”, inglobato, dissolto. Non so dove sia, non so se stia ancora bene, non so se mi pensa ancora o meno. Da sette giorni viviamo un incubo: è scomparso il sole, e da quel momento questo mondo non è stato più lo stesso. Nessuno può morire, tutti i bambini al di sotto dei sedici anni sono scomparsi, svaniti. Siamo soli. Siamo solo noi adulti ormai. Che ci battagliamo e ci divertiamo a farci del male perché tanto non abbiamo più niente da perdere. Il mondo, così come lo conoscevamo, è vicino alla fine, ne sono sicuro. E’ tutto un disegno divino. Lui disse che non ci sarebbe mai più stato un altro diluvio a distruggere la Terra, e ha mantenuto la promessa. Non gli sono serviti quaranta giorni e quaranta notti di pioggia, che avrebbero fatto comodo in molte zone del nostro amato pianeta, ma sette giorni di nulla. E ha lasciato a noi il compito di distruggerci a vicenda.

Buio. Lacrime. Buio.

Piango ininterrottamente da ieri. Non so come e quando mi sono addormentata, stremata e senza forze. Mi sono ritrovata stamattina con una coperta addosso, Alan è sempre stato così premuroso. Sono felice di poter passare gli ultimi istanti della mia vita con lui. Ne sono sicura, ci stiamo avviando ad una conclusione e ciò non può che rendermi felice. Chase non c’è più, e questo è un problema ben più grave del Sole per me. Mi sento violata. Mi hanno tolto la miglior parte di me e non ho una soluzione a questo problema. Intanto la gente è impazzita. Si sentono spari e urla ad ogni istante. Alan ha deciso di sbarrare le porte prima che qualche pazzo maniaco si introduca in casa e decida di usarci per i suoi giochini perversi. Io, personalmente, non avrei la forza di oppormi. Sono psicologicamente e fisicamente devastata. Alan mi guarda e mi dice “ti amo”. E’ proprio ciò di cui avevo bisogno. Lo abbraccio. Poi il resto verrà da se.

Buio. Luce. Amore.


Sono state le due ore più belle di questa settimana. Io e Alan ci siamo amati, come non accadeva da tempo ormai. I nostri corpi hanno ballato la danza della passione, mista alla paura con uno sguardo a quel futuro che sembra non esserci. Mi è sembrato di ritornare alla luna di miele. Quando Chase era piccolo e si divertiva con gli animatori e gli altri bambini durante la crociera, e io e Alan potevamo donarci amore e ricevere amore. Perché di quello avevamo bisogno.
E di questo abbiamo avuto bisogno. Due ore dedicate solo a noi. Due ore in cui niente e nessuno potevano fermarci. Mi hanno rischiarato una giornata, una settimana, una vita quasi. E ora mi sento felice. Ma per quanto durerà?

Luce. Luce. Luce.

Da fuori, da dietro le assi di legno, si vede della luce purissima, bianca, quasi come quella di ieri. Urlo ad Alan di aiutarmi ad uscire. Lo convinco dopo un po’, non vorrebbe farmi uscire, ma se quel bagliore può riportarmi Chase, io devo esserci quando ritornerà. Perché dovrà sapere che sua madre è sempre stata ad attenderlo e non può vivere senza di lui. Lo spettacolo è pauroso e meraviglioso.
Il sole. E’ ritornato. E’ qui. Ed è bellissimo.
La luce che emana l’avevo quasi dimenticata, così come il calore, e rimango stupita a guardare, per quel poco che posso prima di far cadere lo sguardo. D’un tratto rido e cado a terra. Continuo a ridere pensando che tutto sia finito. Alan esce e mi abbraccia, è sconvolto e sorride anche lui. Ci lasciamo andare sul prato davanti casa. Tra risate e quella felicità che sembrava essere scappata via, con la luce, ma che era ritornata poco prima, tra le tenebre. Peccato che sia durata così poco.

Luce. Calore. Luce.

Siamo ritornati dentro. Sia io che Alan, sia tutto il vicinato o quel che ne rimaneva. Sono sicura di aver visto gente sconosciuta rientrare nelle case dei Stone e dei Carlston. Ma ormai tutto ciò non è importante. Il momento che avevamo tanto aspettato si sta rivelando fatale. Il sole c’è, è al suo posto ma è enormemente più grande. Sembra si stia avvicinando alla Terra pronto a fare un sol boccone di tutto il nostro pianeta. Non so perché sia scomparso per sette giorni, non so perché ora sia ritornato così minaccioso, ma so che oramai non c’è nulla da fare. L’effetto della sua mancanza è pur finito. Ho sentito urla provenire dalle case vicine. Grida di paura. Frasi come “E’ morto, è morto. Non è possibile”. La nostra vita eterna è terminata. Ci prepariamo alla fine. Queste saranno le mie ultime frasi su questo diario, che è stato un compagno fedele in questi giorni. Io e Alan abbiamo deciso di aspettare la fine in cantina, abbiamo già trasferito il letto giù, attenderemo la conclusione della nostra vita, della nostra storia, abbracciati, vicini, uniti più che mai. L’amore ci aiuterà a sopportare qualsiasi cosa, e saremo ben consci di andarcene insieme, come abbiamo sempre desiderato. Rimango sempre più convinta che sia stato tutta una punizione divina. Sette giorni per creare il mondo. Sette giorni per distruggerlo. Spero che, nella nuova stesura, ci sia ancora spazio per l’amore. Sia quello di una madre per i propri bambini, sia quello di due ragazzi che, scoprendosi man mano, decidano di intraprendere un lungo viaggio assieme. Buona notte mondo. Con il buio sei stato sconvolto, con la luce sarai distrutto.

Luce. Calore. Fine.


Mi chiamo Chase Carter. Ho dodici anni. Vengo dal Pianeta Terra anche se non esiste più. Due anni fa è stato distrutto dalla propria stella, il Sole, che lo irradiava e gli donava vita. E’ accaduto dopo una settimana di buio intenso, e ancora oggi non sappiamo spiegarci come sia successo. Io sono stato salvato. Da abitanti di una galassia lontana che ci hanno concesso di vivere con loro, nel loro enorme pianeta, Skaar. Non solo io sono stato salvato. Tutti i ragazzi al di sotto dei sedici anni sono stati, come dire, reclutati. Gli abitanti di questo pianeta sapevano della fine a cui andava incontro tutta la popolazione terrestre, ma non potevano aiutare tutti. Hanno deciso di salvare solo noi, i “cuccioli d’uomo”, così ci chiamano. E ora viviamo qui, nel loro mondo, tutti assieme, in pace e fratellanza. Siamo tanti e aumenteremo sempre più. La loro tecnologia è avanzatissima, così hanno scoperto l’esistenza di un pianeta abitato, e della sua fine. Ognuno di noi ha accettato l’idea di non poter più rivedere i propri genitori. Anche io. Ma mi mancheranno, tanto, per sempre. Ogni notte sogno di vedere i loro volti nelle stelle di questo strano cielo, fatto di luce viola e di riflessi arancioni. Ogni giorno mi auguro che non abbiano sofferto. Ma è una speranza vana. La Terra non esiste più. Skaar ora è la nostra casa. Un pianeta senza guerre, cattiveria, tristezza e povertà. Forse è il paradiso, forse è ciò a cui noi terrestri non saremmo giunti mai. Troppo occupati a guardare il nostro orto e ad odiare chi aveva più di noi. Questo è ciò che ci siamo meritati, vorrei dire. Ma non lo penso. La fine del mio pianeta d’origine è stata orrenda, spero un giorno di poterci ritornare o di poter trovare una nuova Terra. Mamma, papà, ci rivedremo. Non vi dimenticate di me.

lunedì 12 aprile 2010

Sesto Giorno - Luce



Il mondo sta per finire oppure forse è già terminato e non ce ne siamo accorti. Finalmente ho capito tutto di quella sera infausta. Ho capito del perché quel gruppo di persone, comprese le mie amiche, abbiano deciso di spararsi, cercando di passare a miglior vita ma senza risultato. Forse lo sapevano, o forse no. Non si può più morire. La gente sembra essersene resa conto. E ne trae giovamento e felicità. In tv sono aumentati i reality, come se niente fosse i produttori inventano format giorno dopo giorno. Per loro la vita va avanti, anche senza sole, anche se la gente non muore. Hanno creato dei programmi assurdi. Le prove che passano ora i concorrenti prevedono ustioni, decapitazioni, mutilazioni e quant’altro. Tutti vogliono partecipare, la maggior parte per ricercare quel buio che abbiamo sempre evitato in ogni istante della nostra vita, e che ora ci sembra meraviglioso. Ma non devo pensare a questo. Io voglio vivere. Quest’esistenza mi sta bene se la condivido con mio marito e mio figlio. Io voglio ricevere amore, anche se questi saranno giorni bui, io voglio donare amore anche se questi saranno i nostri ultimi giorni su questa Terra ormai allo sbando. Anche se ho paura, se ormai tutti se la prendono con tutti. Anche se la pazzia dilagante sta per arrivare anche qui, nella nostra piccola città. Anche se mio figlio non capisce il perché di tutta questa violenza e di tutta questa cattiveria. Anche se io non capisco cosa ci sta succedendo, io voglio amore. E’ l’ultima cosa che ci rimane.

Buio. Angoscia. Luce.

Ho acceso il televisore sperando in qualche notizia buona che sembra non arrivare mai. Ormai passiamo quasi tutta la giornata attendendo una soluzione alla miriade di problemi e stranezze che ormai questa situazione porta con se. Ma le speranze diminuiscono di giorno in giorno, di ora in ora e io mi sto rassegnando. Il mondo è finito o almeno sta avviandosi verso la sua conclusione. Il sole doveva scaldarci per altri cinque miliardi di anni ma è scomparso, il freddo gelido sta per arrivare, dal primo giorno ad oggi le temperature sono visibilmente calate. Non c’è pace per i cosidetti esperti. Gli scienziati avevano espresso ogni parere possibile, ogni immaginabile soluzione ma niente. Alcuni avevano ipotizzato una cappa che ci proibisse di venire irradiati dalla sua luce, ma che ci consentisse di riceverne il calore, purtroppo anche quest’ipotesi sta svanendo. Non c’è pace e lieto fine per tutti noi. Notizie sconvolgenti arrivano da ogni luogo, in ogni istante. E noi siamo qui, ad attendere un segnale, un qualcosa che ci cambi questa vita che è, oramai, eterna e ci fa così paura.

Luce. Dolore. Chiarore.

Ci siamo addormentati in salotto. Io e Alan ranicchiati sul divano. Sono andata a controllare Chase ma non c’era in tutta la casa. La porta era socchiusa e sono uscita in giardino. Un attimo dopo ho chiuso gli occhi. Un enorme bagliore mi ha colpito di sorpresa. Come se un faro gigantesco fosse stato puntato su tutto l’universo. Come se il sole stesse per sorgere e io lo vedessi ad occhi nudi, sostenendo lo sguardo. E così sembrava.
Non ero l’unica ad essere uscita di casa, non ero l’unica che stava cercando il proprio bambino, il proprio figlio, il proprio nipote, tutto il vicinato era in strada. Tutti urlavano un nome diverso. Un insieme di Robert, Sam, Junior, Eleonor, Rachel e molti altri. Tutti nello stesso istante. Il suono che ne usciva era quasi tragico. La luce non se ne andava. Ci siamo spostati verso la vallata per cercare di scorgere meglio ciò che stava accadendo. E lì la mia già precaria sanità mentale ha conosciuto la sua fine.

Luce. Abbagliante luce.

Tutti i bambini del paese erano lì. Anche i piccoli, quelli appena nati. Non so come ci fossero arrivati ma erano lì. Quelli più grandi li tenevano in braccio. C’era anche Chase tra di loro, l’ho trovato in un attimo. L’ho chiamato, mi ha sorriso ma si è subito rigirato. La luce che proveniva dal cielo li avvolse tutti in un solo istante. L’attimo dopo non c’erano più. Tutti scomparsi, spariti, volatilizzati. Non so come sono tornata a casa, non so come sto scrivendo queste parole. Non so neanche perché ormai lo faccio. Ho visto mio figlio scomparire davanti ai miei occhi, rapito o inghiottito da una luce bianchissima e purissima ma crudele. Ho sperato fosse la fine di tutti i miei dolori ma mi ero sbagliata. Ho cercato, insieme a tutte le altre mamme, per ore e ore il mio piccolo e anche tutti gli altri. Il risultato era ovvio ma dovevamo farlo. Ci abbiamo messo sudore e lacrime nella ricerca. La luce bianca è venuta, se li è presi e se ne è andata. Ho sentito poco fa che chiuderanno le trasmissioni in ogni luogo, in ogni dove. La tv non esiste, la rete è collassata, le centrali elettriche sono alla frutta. La luce bianca è andata ovunque, il mondo è shockato da quello che sta accadendo, tutti i bambini sono scomparsi. Non esiste un essere umano inferiore ai sedici anni su questa terra. Siamo pronti alla fine.

Acqua. Dolore. Buio.

Le lacrime mi bagnano il viso e arrivano su questo pezzo di carta. Non ho più la forza di andare avanti. Ma un altro giorno è davanti a me. E quasi non ho più paura. Ciò che più amavo mi è stato tolto. Mi rimane Alan che si è stretto a me come più non poteva fare. Siamo rassegnati, sconfitti, distrutti ma siamo ancora qui. Attendiamo solo la fine. Quando arriverà?

venerdì 9 aprile 2010

Quinto Giorno - Oblio



Mi sono svegliata di nuovo intontita. Sta diventando un fattore normale da qualche giorno, da quando il sole ha smesso di riscaldarci. Di ieri sera ricordo poche cose tra quelle che sono accadute. Ricordo solo che ho bevuto tanto, forse troppo. Chase stamattina mi guardava piangente, si è bloccato a fissarmi negli occhi e poi è scappato in camera sua. Volevo seguirlo ma le gambe non mi reggevano. Alan lo vedo con quel suo sguardo accusatorio che tanto faceva piacere a mia madre. Ora ricomincerà con un’altra delle sue arringhe nei miei confronti. L’ho sempre detto che il migliore della sua famiglia era suo fratello Henry: alto, simpatico, e sempre incline alla bella vita. Non so dove sia in questo momento ma sono sicuro che se la stia spassando alla faccia nostra e di tutti gli abitanti della terra. Alan mi guarda ancora, come vorrei lanciargli quella bottiglia di scotch in testa e ridere mentre il sangue gli ricopre tutta la faccia. Sarebbe una visione paradisiaca.

Silenzio. Freddo. Buio.

Il caro maritino mi parla in modo gentile. Vorrebbe sapere da me il motivo che mi ha spinto ad attaccare quell’uomo ieri sera. Se lo sapessi glielo direi ma non ne sono in grado. Che bisogno c’è di dirgli che quell’essere è lo stesso di due giorni fa? Lo stesso che ho visto ammazzare un custode in un cimitero e incitare altre venti persone al suicidio. Che bisogno c’è? Tanto so che non mi crederà. Che non capirà che la persona che ha davanti è quella a cui ha promesso di aiutare sempre, nella salute e nella malattia, nella ricchezza e nella povertà. Non quella da accusare sempre di pazzia o perdite momentanee della ragione. Gli urlo in faccia che sono sua moglie, che deve sostenermi qualsiasi cosa io faccia. Se mi ama dovrebbe credermi, gli dico. Lui, di tutta risposta, mi stringe forte al suo petto. Io cedo in un pianto doloroso e ristoratore. Non piangevo così forse da anni. Da quando Seth morì, forse. Da quando Seth morì, ed io mi persi.

Pianto. Silenzio. Caldo.

Ho detto tutto quello che pensavo ad Alan. Mi ha guardata senza giudicarmi e mi ha parlato con delicatezza. E’ l’uomo per me, l’ho sempre detto. Ho riletto le parti iniziali di questa giornata. Non posso credere che tutto ciò sia scaturito dalla mia penna e dalla mia persona. Ho paura di ciò che sto diventando per colpa di questa crisi. Ho sperato che mio marito venisse ricoperto di sangue, ho immaginato di sposare suo fratello Henry, un buonanulla che ha fatto un’unica sola cosa positiva nella sua vita: Chase. E fù solo un caso.
Ho riacceso la televisione per controllare le ultime notizie. I capi di stato sono nel completo panico. Quell’omino bassino italiano per una volta lo vedo impotente di fronte alla situazione, la prospettiva della fine del mondo rovina i piani di tutti i politici, fine dei furti e della bella vita. Un disastro. Intanto il nostro presidente, invece, ci mostra ancora la sua faccia rassicurante. Peccato che la speranza se ne sia andata e sia svanendo ogni secondo che passa. Un servizio mandato in onda da qualsiasi canale, poi, dà il colpo di grazia.

Stupore. Dolore. Freddo.

Troupe televisive linciate in pubblico per i vari Paesi. Gente crocifissa in piazza, suicidi di massa davanti a Città del Vaticano, dove hanno creato un cancello gigantesco per non permettere a nessuno di entrare. Il mondo sta collassando. Dovunque la gente desidera una sola cosa: la morte. Meglio il nero perpetuo senza pensieri che un’esistenza in un mondo buio. Ho paura. Una paura mai provata in ventisette anni di vita. E sono sicura che non la proverò mai più.
L’ondata di pazzia collettiva sembra non aver ancora colpito la mia città. Inizio a sperare che ciò che ho visto due giorni fa, sia stato solo un brutto sogno dovuto allo stress. Il pensiero che possa accadere qualcosa del genere anche ai miei affetti più cari mi distrugge. Alan osserva lo schermo senza esprimere parola. Si riavvicina al pc e mi chiama. Nei suoi occhi vedo un vero e proprio terrore, causato da ciò che riflette dallo schermo.
Mi avvicino e noto un filmato amatoriale. Tre ragazzi giocano alla roulette russa. Il primo spara ma il colpo non parte. Il secondo fa lo stesso e ci rimane stecchito. Gli altri due urlano di entusiasmo, se la sono scampata. Ma il video non finisce. Il cameramen ritorna sul ragazzo a terra, col sangue che gli cola dalla testa, questo riapre gli occhi. Si rialza e parla, come se niente fosse successo. Gli altri urlano: “E’ ritornato! E’ ritornato! Non si può più morire, questo è il paradiso!”. Suonano alla porta. Vado sconvolta ad aprire. E’ la signora Mulligan, quasi completamente carbonizzata.

Panico. Paura. Freddo.

“Vuole dei biscotti?”, mi dice, “Li ho appena sfornati”. Questo non è il paradiso. Siamo già all’inferno e nessuno ci può più salvare.

mercoledì 7 aprile 2010

Quarto giorno - Fuoco



Ieri sera sono crollata. Davanti a quel cimitero, dopo l’esplosione, dopo ciò che ho visto, sono crollata. E Alan mi ha riportato a casa. E’ riuscito a convincere Chase a stare un po’ con la signora Mulligan, una nostra vicina tanto gentile. Mi ha ritrovato piangente, in preda ad una specie di delirio. Non so se sia vero ma posso facilmente dire che sia fattibile. Ero sconvolta. Stamattina, appena sveglia, dopo una bella colazione son riuscita a rivelare a mio marito cosa fosse successo. Mi ha guardato con gli occhi sgranati, e annuiva ad ogni mia nuova rivelazione. Avevo il sospetto che non mi avesse creduto, ma è stato brutto far diventare quell’impressione realtà.

Fuoco. Luce intensa. Fuoco.

Fuori bruciano ancora le due case saltate in aria la sera prima. Alan mi prende le mani e, con tutta la calma del mondo, mi dice che tutto quello che gli ho raccontanto non è mai accaduto. Che sono state Joanna e Kate a chiamarlo e a dirgli dove ero, che tutta quella gente in tunica bianca ha fatto ritorno nelle proprie case dieci minuti dopo che io me ne fossi andata. Che mi sono sognata tutto, che forse sono tanto stanca e non sopporto questa situazione, come molta altra gente. Mio marito mi ha guardata come si osserva un malato mentale, mi parlava piano e delicatamente per farmi sentire al sicuro. Ho sbottato. Ho urlato. Ho fatto paura a Chase e di questo me ne vergogno. Ma sentirmi dire dall’uomo della mia vita che mi sono inventata tutto, è stato troppo. Non l’ho guardato in faccia per una mattinata intera. Mentre le fiamme ancora divampavano per la città.

Buio. Rumore. Luce.
Mi ero addormentata dopo pranzo. Ho sentito una sirena fortissima che mi ha risvegliato. Sono corsa subito alla finestra e ho notato che gli incendi erano arrivati anche davanti a noi. Ho cercato Chase per tutta casa ma niente. Sono scesa in cantina, in quella specie di rifugio che il padre di Alan costruì ma non c’era nessuno. Mancava anche mio marito, di questo sono certa, indi dovevano per forza stare assieme. Sono uscita fuori di casa dopo aver fatto le scale a due a due col cuore in gola. Non mi aspettavo quello spettacolo. La casa della signora Mulligan era definitivamente crollata su se stessa. Si sentivano le sue urla riecheggiare per tutto il quartiere. La cosa più sconvolgente era che suo marito Eric aveva una specie di torcia in mano e bruciava ogni cosa si trovasse a tiro. Ci son voluti cinque uomini per riuscire a fermarlo. Aveva appiccato lui l’incendio alla sua casa, diceva che era l’unico modo per vedere il sole, tra le fiamme. E non era l’unico ad aver pensato ciò. Nella città si moltiplicavano gli incendi, mi aspettavo ormai di vedere di tutto, ci avvicinavamo verso la fine del mondo, ormai ne ero sicura. Gli abitanti di questo pianeta stavano tutti impazzendo man mano. Quando all’improvviso mi resi conto che forse, anche io, lo ero già. Vidi il “santone” del giorno prima. Quello che aveva freddato con due colpi di pistola il guardiano del cimitero. Lo vidi felice, ridere davanti alle fiamme. Non so perché ne come gli saltai addosso, riuscii a sferrargli due pugni in pieno viso, prima che qualcuno mi staccò da lui. Ma, così facendo, mi spaventai ancora di più.
Non aveva mai smesso di ridere.
Fuoco. Calore. Dolore. Buio.

martedì 6 aprile 2010

Terzo Giorno - Oscurità



Le notizie della sera prima mi hanno sconvolto. E non solo me. Il mondo sta cambiando, lo si capisce ogni minuto che passa. Il grido d’aiuto che ho letto ieri sulla mia mail è qualcosa che sta accadendo in ogni Paese, in ogni luogo. Gruppi di ragazzi, convinti che questi siano gli ultimi giorni sulla terra, si stanno divertendo a spese dei più deboli. Ormai i telegiornali parlano solo dell’ondata di pazzia che ha colpito ogni abitante di questo mondo in declino. Io sono qui. Davanti a questo pc. Ancora con la speranza che tutto ciò finisca e si risolva come una bolla di sapone. Ma niente. Il sole non sorge. La Luna è scomparsa. Niente è visibile in cielo. Le luci della città cercano di sopperire a questa mancanza ma ci fanno sprofondare ancora di più nel panico. Abbiamo timore che qualcosa di più grande stia per arrivare. E nessuno ci può salvare.

Luce, ed ad un tratto buio.

La città è completamente oscura, ora. Le luci sono completamente saltate. Se guardo fuori dalla finestra non riesco a osservare più in là dell’asfalto davanti casa. I bambini hanno paura. Si odono pianti fuoriuscire da tutte le case. Io continuo a scrivere a penna, su un block notes, sperando un giorno di rileggere queste cose e magari riderci su. Anche se non mi sento così ottimista. Alan è sceso in cantina per recuperare tutte le candele che mia madre ci ha regalato in anni e anni di matrimonio. Ho sempre pensato fossero un regalo inutile, non sapevo quanto mi sbagliavo.
Per la casa, ora, c’è un aroma contrastante tra le varie candele appostate sui mobili e sui comodini. Chase, alla vista di quella varietà di colori e profumi, si calma. Era ora. Mi fa male non riuscire a spiegargli cosa sta succedendo. Dovrebbe uscire, giocare, divertirsi e magari imparare. Invece è chiuso con me in casa e si domanda se arriverà, anche lui, a domani.

Buio. Luce.

E’ ritornata la corrente. Abbiamo spento le candele ma ho continuato a scrivere a mano. Ho scoperto che è molto più rilassante vedere l’inchiostro che da vita ai propri pensieri. Ho guardato fuori dalla finestra e ho visto persone in strada. La cosa strana è che erano in fila per due, vestite nello stesso identico modo, con una lunga tunica bianca, e si dirigevano verso un punto imprecisato. Nonostante le urla di Alan, li ho seguiti a debita distanza. Lui è rimasto a casa con Chase. A maledirmi, credo. Nel gruppo noto un po’di facce conosciute. Gente che salutavo la mattina quando andavo all’asilo, muratori che mi facevano il filo e mi riempivano di complimenti quando passavo davanti ai loro cantieri e anche un paio di mie amiche. Johanna e Kate. Non so cosa ci facciano lì in mezzo ma sono intenzionata a scoprirlo.

Luce intensa, luce debole.

Il “pulmino dell’orrido” è arrivato alla stazione centrale: il cimitero. Ho letto che, ogni qualvolta si diceva che eravamo arrivati alla fine del mondo, parte della popolazione cercava conforto nelle pratiche funerarie. Ci si avvicinava ancora di più alla religione, oppure ne inventavano una loro. Insomma cercavano un modo per espiare i propri peccati e non farsi trovare impreparati agli occhi di Dio, o chi per lui. Personalmente, dopo un’infanzia da credente, ho abbandonato la fede o è lei che ha abbandonato me. Non l’ho mai capito.
Il gruppetto, comunque, è fermo davanti al cancello. Il custode arriva in fretta e furia a spiegare che non si può entrare. Il “capo” o almeno quello che penso essere il più importante lì in mezzo, non ci pensa due volte ed estrae una pistola. Preme due volte il grilletto e per il povero custode non c’è niente da fare. Entrano tutti, io rimango inorridita: le mie due amiche complici di un omicidio. Non ci credo e faccio fatica a tenere gli occhi aperti.
Luce. Luce. Luce!

Un boato ci fa sussultare tutti. Sembra un’esplosione o qualcosa di peggio. E’ come se fossero state fatte saltare dieci automobili contemporaneamente. Il cielo è illuminato come se fosse ritornato il sole. Il “capo” del gruppetto sembra tutt’altro che sorpreso. Alza le mani al cielo e dice qualcosa tipo “E’ giunto il momento”. Tutti estraggono una pistola dalla propria tunica. Se la puntano alla tempia, tutti. Le mie amiche sono lì in mezzo, vorrei muovermi ma non ci riesco. Il rumore degli spari viene coperto dalla sirena dei pompieri. Cado a terra piangendo. Un altro giorno è passato.

domenica 4 aprile 2010

30 Denari - The Jackal


Questi sì che sono dei geni. Auguri a tutti i credenti, e se trovate codesto video blasfemo, chiedete a Babbo Pasquale un po' di senso dell'umorismo.

venerdì 2 aprile 2010

Punto di fuga. L'angelo guardiano. Virgola, Punto. Punto e a cane.




Ormai lo sapete, sto guardando Lost.
Ho iniziato un pò di tempo fa, dando il via a una maratona che mi vede impegnato notte e giorno (più notte che giorno) a fare i conti con Lost, solo Lost, nient'altro che Lost.
Ma non è questo il motivo per cui sto scrivendo. Scrivo per dirvi che, dato che in tanti si fanno i fighi sui loro progetti e io no, oggi ho deciso di fare anche io il figo.
Ci sono diverse cose in ballo. Il primo progetto è per la scuola, quindi sarà un progetto non remunerativo. Il secondo è un progetto con la mia socia nonchè grandissima amica Cate, che si spera sarà remunerativo. Il terzo è un progetto top-secret. Talmente top-secret che ve ne parlerò un pò più giù. Sappiate sin da ora che non si tratta di un progetto semplicemente remunerativo. No, sarà un progetto di quelli che mi (ci) faranno diventare miliardario.
Ma andiamo con ordine.
Il progetto per la scuola è una sorta di esame di fine anno, in cui venti storielline slegatemaallostessotempocollegate sono state distribuite ai miei amici disegnatori di terzo. Il risultato sarà un albetto di quaranta pagine in cui alla fine, dopo essermi divertito con un pò di cross-over di generi narrativi, cerco di convincere gli abitanti dell'universo che non è poi così bello nascere sulla Terra. (Da qui potrebbe partire tutto un pistolotto sugli ultimi risultati politici, ma vi risparmio la mia dose di dolore quotidiano). Progetto non remunerativo, ma se non altro mi sto divertendo un sacco!
Veniamo al secondo progetto, quello il cui futuro editoriale è nelle mani della Provvidenza. Al mio fianco in quest'impresa, come già accennato, c'è Cate. Che poi, a dirla tutta, la verità è un'altra. Non è lei a stare al mio fianco, sono io a stare al suo. Perchè il progetto in questione è una storia il cui soggetto primordiale è stato concepito da lei, e su cui io mi sono divertito a mescolare un pò di carte e a cambiare ambientazioni (con grande incazzatura della Cate, naturalmente). I disegni di Cate sono favolosi, e potete trovare alcune anticipazioni QUI e QUI.
Il tema è il Voodoo, la storia è ambientata ad Haiti. E' una storia horror, in cui viene inserito uno sguardo su quello che era quest'isola caraibica prima che la catastrofe dell'11 gennaio la rendesse così tristemente popolare al mondo.
E' la storia di un ritorno, la storia di legami di sangue, legami voodoo, legami alle tradizioni e a una terra il cui richiamo è troppo forte per non essere ascoltato.
E' una storia, e secondo me è una bella storia. Ma, a quanto pare, agli editor la parola mia e della Cate non basta! :D (Oddio, forse quella della Cate sì! :D )
E veniamo al pezzo forte del catalogo. Il progetto che renderà me e il mio socio stra-ultra-arci-miliardari. Il socio in questione è Umberto, compagno di lezione del secondo. Il progetto, invece, riguarda uno dei personaggi televisivi più amati-discussi-chiacchierati del momento. Il gattino Virgola.
Per tutti coloro che non conoscessero il gattino Virgola (anche se dubito sinceramente ce ne sia qualcuno), allego un video omaggio in cui poter ammirare il nostro protagonista in tutta la sua bellezza. Virgola, a dirla tutta, è uno dei personaggi della scuderia "Jamba", che sforna suonerie per telefonini con (più o meno) simpatici animali che invitano a rispondere alle chiamate.
Ebbene, dopo mesi di apparizioni mediatiche del nostro protagonista, io e Umberto possiamo finalmente svelare il mistero: il gattino Virgola sta per diventare il personaggio di una serie a fumetti.
Io e Umberto abbiamo deciso di non mostrare il Virgola mediatico che tutti conoscono, bensì il Virgola "quotidiano", quello del dietro le quinte che nessuno conosce. Sarà così che scopriremo la sua vera natura: cinico, bastardo, disincantato, pronto a uccidere il topo di "Non ti lascio sola, bella topolona" pur di ritornare in tv. Dopo la sua prima - e ultima - apparizione televisiva, infatti, nuovi personaggi si sono susseguiti sui telefonini degli italiani. Ma Virgola non ci sta, lui deve assolutamente tornare sulla cresta dell'onda. Seguito dal suo fedele agente televisivo, il cane Punto (da qui il detto "Punto e a cane"), Virgola cercherà con ogni mezzo di tornare al successo e riprendersi la fetta di fans che ormai lo sta abbandonando. Spietato con il suo agente Punto, che maltratta e umilia, Virgola cerca sempre di ottenere quello che desidera. Diventa l'amante della moglie di Punto (celebri le sue frasi durante i rapporti con lei: "ahh...sì, dai, fammi un puntino...hai proprio una faccia da puntinara"), prende in ostaggio un insegnante di sceneggiatura che durante le sue lezioni aveva avuto il coraggio di dire che nei dialoghi a fumetti la "virgola" non si usa mai, rapisce gli aspiranti personaggi dei telefonini e li tortura sottoponendoli alla visione forzata di pubblicità di croccantini per gatti.
Insomma, la storia sarà una miscela esplosiva di thriller, giallo, avventura, sesso, fantascienza, fantademenza e chi più ne ha più ne metta. Il tutto condito da un personaggio che ormai è entrato a far parte dell'immaginario collettivo di tutti gli italiani.
Ed è proprio per questo che io e Umberto siamo stra-sicurissimi di diventare ricchi sfondati. E un giorno, quando qualcuno ci chiederà com'è nata l'idea dei fumetti del gatto Virgola, non diremo a nessuno che ci è venuta in un momento di distrazione durante una lezione di sceneggiatura sui dialoghi. Anzi, cercheremo di far capire con tutti i mezzi a nostra dispozione quanto dietro questo progetto ci sia stato un attentissimo lavoro e un impegnativissimo lavoro di ricerca e studio dei generi, sottogeneri, dialoghi, tempi di narrazione, statistiche pubblicitarie, marketing e serietà professionale.
Perchè in fondo è così che si fa durante le interviste, no? Un pò come durante i post in cui ci si fa i fighi per i propri progetti. Si parla di almeno tre progetti, due dei quali veri. E uno rigorosamente falso. Giusto per confondere le acque e sembrare ancora più fighi. Per tenersi stretti i propri lettori, lasciandoli sempre col dubbio: "Ma quale sarà mai quello falso???".
Per ora la risposta non posso darla.
Ma restate sintonizzati, e avrete tutte le risposte che cercate.
Punto.
e a cane.

Baustelle - Le Rane



Una delle tracce del nuovo cd dei Baustelle presentata in esclusiva mondiale su questo blog con un paio di clic da Youtube! Che scoop. Che potenza. Che entusiasmo. Questo video serve per farvi capire che il Blog non è chiuso. E che ritorniamo a postare in pianta stabile. E, personalmente, finirò la saga dei "Giorni" a breve. Buon ascolto.

Mentre scoprivamo il sesso
ignari di ciò che sarebbe poi successo
dopo la maturità
eccoci che attraversiamo i girasoli
bucanieri nati
andiamo via dalla realtà
dalle case popolari

che fine hai fatto
ti sei sistemato
che prezzo hai pagato
che effetto ti fa
vivi ancora in provincia
ci pensi ogni tanto alle rane?
l'ultima volta ti ho visto cambiato
bevevi un amaro al bancone del bar
perchè il tempo ci sfugge
ma il segno del tempo rimane

nelle notti estive e nere
solo lucciole a guidarci nell'oscurità
un'era fa
la crudele pesca delle rane
in uno stagno usato per l'irrigazione
io e te
fratello mio
con gli ami e la torcia

che fine hai fatto
ti sei sistemato
che prezzo hai pagato
che effetto ti fa
vivi ancora in provincia
ci pensi ogni tanto alle rane?
l'ultima volta ti ho visto cambiato
bevevi un amaro al bancone del bar
perchè il tempo ci sfugge
ma il segno del tempo rimane

ma voglio immortalarti e ricordarti così
coi sandali e il coraggio di Yanez
e porterò morendo quella gioia corsara con me

io nel frattempo me ne sono andato
se vuoi ti ho tradito
che effetto mi fa
la piscina di un agriturismo
ha coperto le rane
l'ultima volta che ti ho salutato
poi sono scappato nel cesso del bar
ed ho pianto sul tempo che fugge
e su ciò che rimane