martedì 31 agosto 2010

(10)



Metti che un giorno un omino che hai sempre visto venga investito proprio sotto casa tua. Metti che proprio quel giorno ti senti di essere buono con l’universo e lo porti all’ospedale. Metti che, dopo aver fatto una buona azione, quell’omino decida di sparare una balla sul grado di parentela che vi unisce e sei costretto a tenertelo. Metti che tutto l’ospedale, compresa la più alta concentrazione di infermierine sexy del pianeta, creda a quell’omino e non a te. Metti che l’unica soluzione che hai è telefonare a lavoro e inventare una scusa per non andarci. Metti che hai bisogno di pensare e un paio di canzoni ti permettono di farlo prima di arrivare al centro commerciale, perché quell’omino lo devi pure sfamare. Metti che appena arrivati lì ti ascolti un’intera conversazione di tre vecchietti che fanno a gara a chi sta più male. Metti che fai la spesa e ti trovi ad acquistare roba per un mese, sempre per colpa di quell’omino. Metti che la cassiera che stai cercando di abbordare, ti abbordi lei grazie a quel sant’uomo dell’omino. Metti che ti vengano dei dubbi sull’effettiva veridicità di tutta questa vicenda, che inizi a dubitare che sia tutto frutto del caso e magari è solo il piano di qualcuno più in alto di te. Metti che passi dal fantasma dei natali passati, per poi pensare ad un disegno celeste per poi essere sicuro che sia tutta una candid camera e vuoi proprio sapere chi è lo sfigato che stavolta hanno messo a condurre questo tipo di programma su una delle reti generaliste. Metti questo ed altro. Metti che l’omino decide di addormentarsi dopo un lauto pranzo. Metti che effettivamente quell’omino non è che puzzi così tanto, pur essendo un barbone. Metti che quella faccia lì, sei sicuro di averla già vista in qualche programma. Metti che effettivamente tutto sembra troppo strano e pilotato. Vuoi vedere che la casa è piena di videocamere e tutto questo è solo il parto di uno sceneggiatore che non aveva niente di meglio da fare?

Dario decide che è l’ora giusta per agire. Fulgenzio dorme sul divano, beato. Non sa quello che gli aspetta, non sa quello che può accadergli da un momento all’altro. Dario lo osserva, cerca di scoprire tutti i punti deboli della sua vittima, ad occhio e croce ne trova sui duecento-duecentododici. Decide di passare in rassegna le sue tasche per trovare eventuali microfoni o microcamere. La mano, abile e decisa, entra nelle tasche del cappotto del malcapitato e trova una specie di portafoglio. Anzi, è proprio un portafoglio. Pieno di carte e cartacce, con una foto del suo ospite benvestito e bencurato. I sospetti si fanno certezze, la rabbia inizia a crescere. Dario decide di calmarsi e controllare il contenuto dell’amara scoperta in disparte. Si siede al tavolo, lancia un’ultima occhiata a Fulgenzio sdraiato e ronfante e inizia a catalogare ogni piccolo pezzo di quel portafoglio, ogni scontrino, ogni foglio scritto a mano, ogni documento. Il lavoro non gli manca. Quel contenitore in pelle è pieno, pienissimo. Ogni scompartimento è ricolmo fino all’orlo. C’è tutta la vita di un uomo in un semplice e piccolo oggetto. Tutta la vita. Quella che Dario vuole scoprire dall’inizio fino a quel giorno stesso.

E’ strano come ti cambia la giornata un evento all’infuori della normale routine. E’ strano come quell’evento poi possa avere ripercussioni sia sul giorno dopo che su quello dopo ancora che sul mese successivo, o magari per tutta la vita intera. E’ strano che una festa a cui sei stato invitato per ultimo ti permetta di trovare l’amore. E’ strano che un gioco di carte a cui ti sei appassionato ti permetta di trovare l’amicizia. E’ strano che una notte di pioggia, da solo in macchina, ti permetta di superare il dolore. E’ impensabile riuscire a capire cosa passa per la testa di un altro essere umano, ma per molti basta uno sguardo, un cenno, un tocco leggero delle mani e si apre un mondo. E’ bello trovare qualcuno che non abbia neanche i tuoi stessi interessi ma che sappia fare una sola cosa: ascoltarti. E’ difficile starsi a sentire persino da soli, certe volte. E’ una giornata diversa che cambia la vita. Son le giornate tutte uguali che la rendono così com’è: è’ strana, è difficile, è problematica, è bella, è semplice, è divertente, è angosciante, è vivere.

Dario finisce di leggere. Mette tutto apposto, meticolosamente. Si sofferma su due particolari, li lascia fuori. Attende con calma che il proprio ospite si svegli, non è arrabbiato, non è deluso, è solo, forse per questa sola volta, deciso. Attende un’ora o forse più. Fulgenzio si sveglia, lo accoglie con un bicchiere di latte e menta e un sorriso. Gli chiede se può discutere di un certo argomento. Lui acconsente. Inizia a parlare.

“Fulgenzio. Non so perché ho fatto quello che ho fatto. Non so perché sentivo di dover controllare se tutto ciò che è successo oggi sia vero o frutto di un pensiero altrui. Fatto sta che ho avuto dei dubbi. Ho voluto controllare se tutto ciò non fosse solo uno stupido scherzo di qualche stupido programma di qualche stupida televisione. Ed è così. E’ tutto vero. Ma vero è un parola troppo forte e troppo distante da ciò che è accaduto oggi. Vedi, caro Fulgenzio, io non so chi tu sia o cosa tu faccia. Io ti ho sempre visto davanti al mio palazzo da non so quanto tempo. Mesi,settimane, anni? Non ho mai notato niente all’infuori della tua giacca logora e del tuo sguardo stanco. Non ho mai visto che ci osservavi tutti, non ho mai notato che scrivevi, non ho mai nemmeno una volta pensato che potessi essere così preciso, così metodico, così lucido. Tu, su quei fogli che tieni in quel portafoglio che, scusa, prima ho preso in prestito, hai preso appunti su tutti gli inquilini di questo palazzo. Hai tracciato una personalità precisa di ogni componente di questo abitato tranne che del sottoscritto. Poi ho trovato un foglio, anzi, un insieme di fogli che parlavano di una cosa che mi ha fatto rabbrividire: questa giornata! Tu hai scritto del tuo incidente, hai scritto della “balla” all’ospedale, hai scritto del centro commerciale, dei vecchi, della cassiera, per filo e per segno hai appuntato ogni minima parola, frase o situazione che si è venuta a creare. E so che non l’hai scritto oggi. E’ roba vecchia. Non so come tu abbia fatto ma tu sapevi che questa giornata sarebbe andata così. Non so se hai dei poteri, non so se sei un veggente, un indovino o il cugino del mago Otelma. Non so se domani mi sveglierò al polo Nord perché magari fai incantesimi o robe del genere. Non so se tu sei uno scrittore, magari, e tutto ciò non è altro che un tuo racconto senza capo nè coda che volevi condividere con qualcun altro magari. E quel qualcun altro si è fatto sentire poco e niente e tu un po’ ci sei rimasto male. Non so se tu sei quello che dici di essere o se solo un povero pazzo che si è inventato tutto e casualmente tutto ciò si è avverato. In questi due fogli c’è tutto quello che è successo fino ad adesso. Compresa la mia sfuriata. Non tutte le parole coincidono ma anche questo che ho appena detto, tu l’avevi previsto. Dimmi come hai fatto, dimmi chi sei, dimmi del perché son stato scelto. Ma mi raccomando: se sei un alieno mandato sulla terra per studiarci, ti preannuncio che le sonde anali non mi piacciono così tanto e ti consiglio di andare al quarto piano da Augusto, lui non disprezza quel genere di cose. Se invece sei di qualche ambiente governativo, sappi che non sono un terrorista. Sì, ho pensato un paio di volte di ammazzare qualche politico, ma siamo in Italia, cribbio, sarebbe anormale non farlo. Se invece sei solo un povero pazzo, un clochard che viene chiamato così perché “barbone” fa paura ai bambini, un reietto della società che non ti ha mai considerato e tutto ciò è solo un mio tremendo sogno, ti prego di non svegliarmi: ho sempre odiato quel tipo di finale!

Fulgenzio si alza, se l’aspettava. Si sistema il cravattino, abozza un sorrisino. Riprende il portafogli sulla tavola, se lo aggiusta nella tasca interna del cappotto, e si avvicina a Dario. Si riprende i suoi due fogli, compreso quello ancora mezzo vuoto. Prende una penna dalla tasca e la consegna al padrone di casa. Lo guarda negli occhi.

“Ognuno è padrone del suo destino, questo è quello che ci hanno sempre insegnato. Ma se quel qualcuno, un giorno o l’altro, non sa che fare, ha bisogno di qualche aiuto per continuare a camminare verso un punto preciso. Io non ho poteri, io non ho visioni. Io scrivo. E qualche volta ciò che scrivo si avvera. Mai come oggi si è avverato tutto. Un giorno scrissi che avrei lavorato al semaforo per una giornata intera e così è avvenuto, eppure non sembra niente di così eccezionale, se te lo vengo a raccontare.
Quello che è accaduto oggi mi è capitato di pensarlo e allora? Ogni giorno ci facciamo mille problemi pensando al domani e irrimediabilmente quello arriva senza che noi ce ne accorgiamo. Progettiamo un futuro ma il presente ci blocca. Piangiamo il passato ma il presente ci fortifica. Immaginiamo un alternativo presente ma la realtà ci risveglia. Quante volte hai pensato a ciò che volevi fare il giorno dopo ed è accaduto? Oppure non è accaduto niente di ciò che ti eri previsto? La vita reale è una lotteria. Pensiamo di sapere tutto e poi ci meravigliamo di fronte a cose normali. Ci meravigliamo se due persone dello stesso sesso decidono di amarsi e di adottare dei bambini, li consideriamo, dal principio, cattivi genitori. Ci meravigliamo se una persona di diverso colore dal nostro cerca di avere i nostri stessi benefici dalla vita, abbiamo bisogno sempre di qualcuno che sia sotto di noi nella scala evolutiva. E per questo sottomettiamo popoli, animali, piante, per sentici più forti. Ci meravigliamo se la Terra si ribella alle schifezze umane. E poi non ci meravigliamo dalla quantità abnorme di religioni che esistono. Forse erano meglio i tempi in cui si benedivano il Sole, la Luna e il Fuoco. Erano visibili, erano puri, non ti richiedevano soldi o quant’altro. E invece non ci meravigliamo se un barbone viene preso a calci da un ragazzino, se una donna viene stuprata perché aveva una minigonna, se l’era cercata, diranno. Non ci meravigliamo se il nostro capo ci umilia, se il nostro leader ci disprezza e se il mondo è in mano a pochi pezzi di merda. Poche cose ci stupiscono, e qualcosa che spezza la routine è una di quelle. Dario, forse siamo solo personaggi di fantasia di qualche mente superiore. O forse siamo solo semplici esseri umani. Questo è il foglio, questa è la penna. Scrivi tu il resto, scrivi tu il continuo e non si intristire se tutto ciò che scriverai non accadrà o forse sarà troppo preciso. Decidi tu se sorprenderti ogni giorno o stilare una tabella ben precisa della tua esistenza. Decidi tu. Io mi faccio un altro riposino.”

Dario rimase lì, interdetto, per decine di minuti. Non aveva capito quasi niente di ciò che era successo in quella giornata, in quelle poche ore che aveva conosciuto Fulgenzio. Decise di dormici anch’esso su. Appena ridestato, scoprì che il suo ospite se ne era andato. Al telegiornale sentì del ritrovamento del grande scrittore Francesco Savino, scomparso da mesi: aveva perso la memoria. I suoi familiari e i suoi amici erano entusiasti. Piangevano nelle dirette televisive. Un suo amico stretto pubblicò quasi instantaneamente il libro “Io sapevo che Francesco non era deceduto”. Dalla copertina si notava decisamente che il “non” era stato aggiunto a penna.
Prima Dario aveva controllato sui documenti il nome e le foto da “persona normale” ma non ci aveva fatto caso. Aveva sospettato che “Fulgenzio” fosse solo un nome di fantasia, un soprannome che gli avevano affibiato. Forse quella giornata insieme ha fatto riprendere il suo ospite, la sua mente aveva ripreso il regolare flusso e aveva rammentato chi era e cosa effettivamente faceva. Forse una giornata all’infuori della normale routine l’aveva ridestato dal suo torpore o forse stava solo scappando dalla vita da celebrità per tuffarsi nella realtà più putrida. Non l’avrebbe mai saputo. Dario prese la penna e iniziò a scrivere. Decise che la sua vita sarebbe stata un mix di sorprese e certezze. Ma non ci è dato sapere come.

lunedì 30 agosto 2010

(9)



Ognuno ha il suo posto in questo mondo malato. Ognuno ha la sua funzione, ognuno alla fin fine serve veramente a qualcosa. Anche gli ornitorinchi, anche le zanzare, anche un Presidente del consiglio italiano. Ognuno ha un ruolo, in questa società. Ma che accade se, da un giorno all’altro, qualcosa cambiasse? Cosa accadrebbe se un giorno le piante decidessero di iniziare a parlare? Ce lo vedete un baobab gigante che và dal presidente di una multinazionale e decide di effettuare uno sciopero della fotosintesi clorofiliana finchè non verranno ripiantati tutti i migliaia di ettari disboscati nelle varie foreste? Ce lo vedete un allenatore decente che decide di allenare la Juve e farla vincere? Ce lo vedete un giorno con la luna e una notte con il sole? Ce lo vedete Maurizio Costanzo in pensione? Ce la vedete un’Italia florida di laureati che trovano lavoro in un attimo? Son cose incredibili, son cose che non avverranno mai, son cose che la mente umana non riesce nemmeno ad immaginare. E per questo esiste la fantasia, ognuno ne dispone, ognuno decide se usarla per tutto il giorno, per tutta la vita o semplicemente per un secondo. E c’è una cerchia di individui che non può fare a meno di usarla in ogni attimo della propria esistenza: gli scrittori. Non sono quelli professionisti, anche quelli che non venderanno mai una copia di un romanzo(neanche se fosse quello di un altro). Uomini e donne che vivono una realtà ben precisa, ma che all’occorrenza si rifugiano altrove. Alcuni vengono chiamati pazzi, altri poeti, altri semplicemente col loro nome. Ma, alla fin fine, son solo persone.

Dario posa la spesa in macchina. Convince Fulgenzio a liberarsi del peso eccessivo nelle tasche e ripone tutto con cura nei sacchetti di plastica. Ancora non riesce a credere a ciò che ha appena visto: una bella ragazza, molto bella e molto aldifuori della sua portata, lo ha appena invitato a cena. E forse è tutto grazie a Fulgenzio, se lui non fosse stato investito lui non avrebbe mai saltato il lavoro, e non sarebbe mai andato a quell’orario al centro commerciale, e non avrebbe mai trovato una scusa per parlare con la commessa. Che fosse tutto già deciso? Che fosse tutto così sospettosamente strano? E se fosse tutta un’assurda candid camera? E se fosse tutto uno scherzo cattivo? E se fosse il fantasma dei natali passati? O Babbo Natale, magari! In effetti la barba ce l’ha e Dario è sempre stato affascinato dal Natale e dalle sue tradizioni che non c’entrano assolutamente niente con la festa religiosa. Elucubrando in disparte decide di salire in macchina. Invita l’ospite a sedersi e mette in moto. Accende la radio, ancora sospettoso, si lascia trascinare dalla musica e per un po’ se ne dimentica.



Tu vuoi vivere così
per inerzia e per comodità
per qualcosa che non riesco più a capire
e poi ami con tranquillità
come un Dio lontano
che non ha nè problemi
nè miracoli da fare
non capisci che ci ucciderà
questo nostro esistere a metà
che la casa ha i rubinetti da cambiare
eppure un tempo ridevi
e mostrandomi il cielo
mi disegnavi illusioni e possibilità
e la Cometa di Halley ferì il velo nero
che immaginiamo nasconda la felicità
tu vuoi vivere così
coi vantaggi della civiltà
e pontifichi su ciò che ci fa male
non la vedi la stupidità di una relazione
che non ha francamente neanche un asso da giocare

Non ci credi che ci ucciderà
questo nostro vivere a metà
che la stanza ha le pareti da rifare
eppure un tempo ridevi
e mostrandomi il cielo
mi disegnavi illusioni e possibilità
e la Cometa di Halley ferì il velo nero
che immaginiamo nasconda la felicità
lasciami da sola
fallo solo per un po’
lascia stare
non pensarci più
lasciami la radio accesa
lasciami cantare
e qualche cosa da mangiare
servirà
ed una notte piangesti
guardando nel cielo
mi disegnasti illusioni e possibilità
e la Cometa di Halley ferì il velo nero
che immaginiamo nasconda la felicità
eppure un tempo ridevi
e mostrandomi il cielo
mi disegnavi illusioni e possibilità
e la Cometa di Halley squarciò il velo nero
che immaginiamo nasconda la felicità
eppure un tempo ridevi
e mostrandomi il cielo
mi disegnavi illusioni e possibilità
e la Cometa di Halley squarciò il velo nero
che immaginiamo nasconda la felicità
io ti dico addio
tu mi dici ciao
io ti dico addio
tu mi dici ciao
io ti dico addio
tu mi dici ciao.


Canticchiando felice arriva a casa, Fulgenzio si è appena addormentato sul sedile quando viene risvegliato da una mano amica. Dario raccoglie le buste della spesa e si avvia verso l’ascensore. La signora Angeloni lo guarda male, osserva anche Fulgenzio e inorridisce. Fa quasi per urlare, poi si calma ed emette una sentenza decisa con voce melodiosa.
“Non mi dica che sta portando quest’essere nel nostro palazzo. Glielo proibisco!”
“Oggi è il 5, mi dica, la poste erano chiuse?” – domanda Dario, conoscendo le varie abitudini dei suoi condòmini.
“No, troppa gente. Hanno interrotto il servizio quando mancavano solo venti numeri prima del mio turno.” – risponde stizzita – “Ma ciò non le da il diritto di invitare chicchessia nel nostro palazzo!”
“Mi sembra che non ci sia alcuna regola, signora, e le ricordo che esiste una certa cosa detta “privacy” che in italiano moderno significa: farsi i fatti propri.”
“Come si permette?”
“Macchina blu! Lei è macchina blu! Alle 11, tutti i martedì!” – afferma Fulgenzio. La signora Angeloni sembra spaesata, che qualcuno l’abbia notata quando in quel fatidico giorno il suo amante del passato la viene a prendere per passare del tempo insieme, lontano dalla famiglia di lui, lontano dai brutti pensieri? Sembra proprio di sì.
“Signor Dario” – sorride gioiosamente – “il suo delizioso amico è il benvenuto in codesta dimora! Anzi, se non volete cucinare ci penso io, e salite su da me! Che cari ragazzi!” – e se ne và. Dario sembra confuso, ci riflette un attimo e sentenzia: “Avrà ricevuto un bonifico instantaneo.” – ed entrano in ascensore.
Durante il tragitto, Fulgenzio sembra fermarsi ad osservare ogni particolare di quello spazio angusto. Ogni riga, ogni scritta oscena, ogni cartello. Ripassa per tre volte sul peso massimo e sulla capienza massima, sembra calcolare qualcosa, poi ritorna sulle frasi oscene affianco al tasto del quinto piano. Le porte, intanto, si aprono di colpo. Davanti a loro si para Dalila, la pin up del terzo piano. Non si capisce cosa faccia al sesto ma nessuno dei due pare intristirsi per quella visione. La procace signorina saluta Dario, da un cenno a Fulgenzio, che decide di sistemarsi il cravattino logorato dal tempo, e se ne scende per le scale verso il proprio appartamento. L’attimo di smarrimento per i due dura un paio di minuti, poi decidono di entrare.

Il pranzo preparato dal padrone di casa è stato ben gradito da Fulgenzio che, spossato e sazio, si addormenta sul divano. Dario decide di lavare i piatti per non farli accumulare nel lavello e ritorna a pensare a cosa è cambiato in una sola giornata, a come è cambiato e a come tutto quello sembra oscenamente strano, quasi pilotato. C’è bisogno di controllare, c’è bisogno di sapere cosa c’è dietro. C’è bisogno prima di tutto di fare un riposino, cucinare stanca. C’è tempo per le elucubrazioni. C’è tempo…

domenica 29 agosto 2010

(8)



Metti un bambino in un negozio di dolciumi, lascialo lì per un’ora e digli che può mangiare qualsiasi cosa voglia. Poi torna in quel negozio e controlla la felicità di quel bambino. Sarà al settimo cielo. Ma qualche ora dopo, se per caso incontrerai di nuovo quel bambino, constaterai che il benessere iniziale è andato scemando molto presto. Che i crampi hanno preso il posto del gusto e del sapore, e che il dolore allo stomaco ha preso il posto dell’entusiasmo. Ogni azione, bella o buona che sia, avrà la sua conseguenza che normalmente sarà contraria allo status iniziale. Metti per esempio un calciatore in una squadra nuova. Sarà osannato dal primo minuto dai suoi tifosi. Metti che faccia due gol alla prima presenza e poi solo altri cinque in tutto il campionato. Metti che questo ragazzo, che apprezza il posto dove si trova, venga cacciato dopo nemmeno un anno per incompetenza. Metti che questo ragazzo, alla sua prima presenza altrove, segni subito un gol, alla faccia loro. Ad ogni azione corrisponde una determinata conseguenza che normalmente sarà contraria allo status iniziale. Semplicemente la vita, originariamente, era un contenitore diviso in due: da una parte le bellezze dell’esistenza, dall’altra le cose negative. Quel recipiente però, da quando è comparso l’uomo, per colpa o merito di quest’ultimo si è mischiato. E certe volte non si capisce se una cosa è giusta o sbagliata, altre volte ci si rende conto di aver fatto la scelta giusta che porterà a delle conseguenze orrende, mentre non ci rendiamo mai conto del contrario. In realtà nessuna scelta è giusta o sbagliata. Qualcuno ha già scelto per noi, ma non ce lo vuole dire per non rovinarci la sorpresa. Almeno così dicono.

Dario passeggia tra i vari scaffali di quell’enorme supermercato, ha riempito già un carrello di spesa, pronto a sfamare due eserciti. Fulgenzio, intanto, onnubilato dalla quantità di cibo messa in esposizione in quell’immenso locale, assaggia questo ed altro in disparte. Ogni tanto passa qualche commesso e cerca di darsi un tono, di non far notare i suoi furti, ma ci riesce ben poco. Dario continua la sua camminata, spunta ad ogni acquisto un tassello della sua lista, scritta amorevolmente su un foglio da block-notes. Ogni tanto dà un’occhiata al suo ospite e ritorna in osservazione degli scaffali.
Superato il reparto “animali”, davanti a loro si para una specie di edicola. Quotidiani nuovi fanno bella mostra di sé su un tavolo, e riviste di gossip invogliano lettrici e lettori attratti dalle belle figliole, sui ripiani più alti. Le copertine sono quasi esclusivamente riguardanti una specifica figliola che fa pubblicità alla serie A, ad una compagnia telefonica e al motomondiale, il tutto senza cambiare di una virgola il suo sguardo. Il resto riguarda solo i gossip ultimi di quest’estate vicina alla fine.

“Facchinetti con la Marcuzzi??? Non c’è più religione!!” – urla Dario, sconvolto e affranto – “E la prossima coppia chi è? Bruno Vespa e Belen?”
Fulgenzio lo osserva ciarlare in disparte, ma decide sia meglio continuare l’opera di saccheggio estremo. Dario, intanto, abbandona la rivista e passa ai quotidiani sportivi. Per il maschio italico quel giornale stranamente rosa è il massimo della mascolinità, anche se quel colore non è tanto amato dal comune macho. Quel quotidiano è capace di provocare più emozioni della tanto decantata ginnastica a letto con una Marcuzzi o altro. D’altronde il sesso può durare minuti, al massimo ore. Il calcio dura una vita.
Immergendosi nella lettura, così da scroccarlo il massimo possibile e non acquistarlo, Dario rimane sconvolto dalla lista di novità adottate dal ministero degli Interni per questa nuova stagione 2010/11. Novità che faranno molto discutere, in un altro Paese ovviamente, qui va tutto perfettamente bene.

Considerando che da cinque, e dico cinque, anni l’Internazionale F.C. si ritrova sistematicamente a vincere scudetti. Considerando che l’anno scorso codesta stessa squadra ha vinto anche altre due competizioni di poco conto. Considerando che il popolo ha bisogno di divertirsi un po’, e non vale che solo una delle compagini in gioco vinca sempre. Si dichiara che:

1) In quest’anno calcistico 2010/11 l’Internazionale F.C. partirà con 30 punti di penalizzazione. Così vediamo se la finiscono di vantarsi.
2) Che il giocatore Sneijder Wesley, giochi con le scarpe invertite. Ovvero la destra nel piede sinistro e viceversa, così la pianta di fare gol e assist e non ci rompe.
3) Che il sopraindicato giocatore metta all’asta la sua gentil signora. Perché ogni tanto un po’ d’amore ci vuole.
4) Che la Juventus F.C. parta con 20 punti in più, in modo da garantirle, quasi sicuramente, la permanenza nella massima serie anche nel prossimo campionato.
5) Che l’A.C.Milan sia la squadra di ogni membro, elettore, amico di elettore o parente di elettore del PDL.
6) Che ognuno delle categorie indicate sopra rifornisca le casse della società di una donazione “volontaria” di euro 2.00. Indicare come causale “acquisto di Ibrahimovic e/o arbitri”.
7) Che ognuno delle categorie suindicate accetti di essere il punching-ball dell’ultimo acquisto milanista. In modo da farlo sfogare fuori dal campo.
8) Se qualcuno ha vinto l’asta per la signora Sneijder che la porti al signor Ibra, così da farlo sfogare per bene.
9) L’inno nazionale del nuovo campionato è “Meno male che Silvio c’è”.
10) Il nuovo patto con gli italiani consiste nel far vincere a tutti gli abitanti di questo Paese il campionato in corso: semplicemente facendo diventare tutti milanisti.
11) Ogni tiro di Ambrosini, seppur a da settanta metri e uscito fuori anche di venti metri, è considerato gol.
12) Le squadre di serie A, con divise rosse e nere non sono soggette ad ammonizioni e/o espulsioni.
13) Ogni autogol delle suddette squadre suindicate sarà considerato gol normale contro l’avversaria.
14) Gli arbitri che non attueranno queste regole saranno trasferiti tutti insieme, per una gita avventurosa, a Guantanamo. Ritorno: non previsto.
15) Si cercherà di portare queste regole anche in ambito comunitario e/o internazionale. Dateci tempo di conquistare il mondo.

Sempre vostro
Il Presidente Operaio Amico dei Giovani
Silvy


Dario lascia il quotidiano lì dov’è, convinto di aver letto qualcosa di assurdo. Si gira attorno e nota solo sciarpe rosse e nere in quel negozio. “Sarà un caso”, pensa, e si allontana verso la cassa. Fulgenzio capisce che è ora di uscire e si accoda. Dario passa tutta la spesa sul carrello, nota la cassiera, perde per un’attimo conoscenza, si riprende, la riguarda, tenta di non sbavare, inizia a fare il simpatico per socializzare.
“Signorina, ha qualcosa di familiare, ma non so cosa.” – esordisce.
“La divisa perfettamente simile a quella delle altre cassiere, suppongo.” – risponde la signorina, visibilmente infastidita.
“No, è più qualcosa di fisico, di fisionomia.” – corregge il tiro.
“Nel senso che assomiglio a quella del paginone centrale di PlayBoy di Agosto, che ha appena comprato?” – prima regola: mai provarci con una se state comprando da lei qualcosa di sconveniente, ma ciò non vale nei sexy shop.
“Ehm…no…non nel senso che non ci può assomigliare, ma non posso saperlo fin quando lei non si denud…quant’è il conto?” – cambia discorso prima di svenire.
“349,85. Carta di credito o contanti?” – chiede.
“Cosa? Ma io ho comprato a malapena un carrello di roba. Ci deve essere un errore!”
“Lo chieda al suo amico. Un mio collega l’ha seguito e ha fatto una cernita di tutto ciò che si è mangiato o intascato, non è così furbo, d’altronde.”
Dario lo nota, ha la bocca piena e sembra ingrassato di venti chili. Il peso extra è dovuto agli “acquisti” nelle sue tasche.
“Uff…pago con carta di credito. Questo tipo mi sta costando più di quanto pensavo. Se pensa di fare una buona azione, signorina, ci pensi due volte. Non sempre ha un risvolto positivo!” – ammette Dario.
“Sicuro? Stavo pensando di diventare buona ed accettare un suo invito a cena!”
“Mio invito a cena? Ma io non l’ho mai invita…ci verrebbe veramente?” – chiede incredulo.
“Certo, ho un coupon per una buona azione mensile, e tra qualche giorno scade. Qual migliore occasione per usarlo con un ragazzo simpatico, idiota e così carino quando si vergogna. Oh, si è fatto di nuovo tutto rosso!” – sorride.
“La vengo a prendere domani sera alle 8!” – dice deciso.
“Ma alle 8 sto ancora lavorando.”
“Lo so, ma sognavo tanto di dirlo. Nei telefilm americani è l’orario in cui tutti mangiano, non c’ho mai capito il perché. Facciamo le 9?”
“Ore 21, qui fuori, se non è di troppo disturbo e porta quelle guanciotte rosse!”
“Ehm…certo…” – e si avviò svolazzando verso l’uscita dimenticandosi la carta di credito, il carrello e Fulgenzio. Quest’ultimo capì che era giunto il momento di guidare quello strano veicolo e inseguirlo fino all’uscita. Ovviamente facendo adeguati spuntino ed eliminando con le sue fauci quasi tutto il contenuto di quella spesa.

venerdì 27 agosto 2010

(7)



Qualsiasi cosa pensi è già decisa, questo è sicuro. Non esiste il libero arbitrìo, è un invenzione di quello lassù per farti credere che hai possibilità di scegliere la tua vita ma non è vero. Ci ha fregati. Ci ha illusi. Ci ha presi all’amo e così ci tiene. Come piccoli pesciolini che si smuovono e si sbattono a destra e sinistra, su e giù, per ritornare nell’acqua, nella libertà. Che parola difficile. Che sensazione impossibile da trovare. La libertà non esiste, non è quella scritta nei vocabolari, non è quella che si trova nelle costituzioni, non è quella che ogni individuo pensa. “La propria libertà finisce dove inizia quella di un altro”. Ma siamo troppi. Indi c’è troppa poca libertà. Non esiste la libertà. Ci sono posti in cui non esiste ancora meno. E in questo Paese siamo su quella strada, ma non è questo l’importante. La cosa più subdola è che crediamo di vivere nella piena consapevolezza che ogni scelta che facciamo ci porta su una strada differente. Ma, invece, sembra quasi di stare fermi mentre lo scenario si muove attorno, come nei videogames. Come nei videogames…

Dario si intrufola nel negozio d’elettronica. E’ quello che fa ogni volta che entra in un centro commerciale. Fulgenzio lo segue, guarda quel mondo sconosciuto con paura. Troppe luce, troppi suoni, troppa gente. Ma continua a guardare tra lo stupìto e il meravigliato. Intando Dario controlla le ultime uscite. Si fa un giro felice nel reparto portatili, controlla tutti i modelli messi in vendita successivamente dopo il suo e ovviamente più economici e migliori. Controlla tutte le console che hanno svenduto dal mese successivo alla data in cui acquistò la sua. Controlla i lettori di ebook e li guada schifato. Sì, cinquecento libri in un piccolo raccoglitore elettronico. Ma dov’è la carta? Dov’è il piacere nel girare le pagine? Dove sono le ore a sistemare le librerie? “Chi non legge non capisce” dice ai suoi amici abitualmente, nei loro pomeriggi spensierati. E loro sempre a sopportarlo sulle sue disquisizioni. Intanto continua a gironzolare per gli scaffali. Si ferma sempre davanti alle macchine da caffè, sogna un futuro in una casa in campagna, con un cane, due gatti, una moglie super-accessoriata, e due bambini così belli da avere il dubbio di non essere effettivamente loro padre. Le macchine da caffè gli fanno quest’effetto. Fulgenzio lo osserva senza parlare. Come lui osserva lo scaffale senza proferire verbo. Il commesso guarda la strana coppia, sorride e se ne va a dire chissà cosa alla bella cassiera. Successivamente, quando si avviano verso l’uscita, Dario nota lo sguardo stupìto della ragazza avvenente, si gira. Le mima un “ti chiamo io”, la sorprende, si rigira e se ne và divertito. Prossima destinazione: Supermercato.

Passeggiando per i vari “viali” che percorrono il “Multibox” si possono incontrare qualsiasi tipo di personaggi: vecchi e giovinotti che non hanno posto dove trascorrere le giornate. Manager che decidono di provare l’esotico facendo un giro al messicano o ingozzandosi di kebab. Casalinghe disperate che svengono davanti ai prezzi da capogiro di un semplice reggiseno di marca. Fidanzati paonazzi quando scoprono che il profumo che la propria ragazza si è fatta regalare, costa un patrimonio. Piccoli amori che nascono e muoiono in un giro al McDonald’s. Un’intera vita in una città nella città. Un’intera vita in un mondo costantemente a 20-25 gradi. Un mondo meraviglioso, per alcuni, orrendo per altri. Un mondo come un altro. Con i suoi perché e i suoi ma.

“Mai passato da queste parti?” – chiede Dario ottendendo un semplice “no” con l’indice.
“Questa è la civiltà moderna. Se senti da qualche parte, dalla tv o da qualsiasi altro mezzo che il mondo si incontra in discoteca, in borsa, al cinema, in piazza o ai grandi raduni si sbagliano. E’ qui che avviene la vera vità. Tutti i tipi di persone li incontri qui. Forse solo le stazioni sono ancora “meglio” di questi luoghi. Mai stato in una grande stazione?” – stavolta la risposta è un “sì” col capo.
“Lo sospettavo! Entriamo, dài. Compro un paio di cose e si và a casa. Per un po’ sarai mio ospite, cerco di trattarti almeno bene.”

I due si avviano verso il Supermercato, dall’altoparlante la musica sale.



Però, (cosa vuol dire però)
Mi sveglio col piede sinistro
Quello giusto

Forse Già lo sai
che a volte la follia
Sembra l'unica via
Per la felicità

C'era una volta un ragazzo
chiamato pazzo
e diceva sto meglio in un pozzo
che su un piedistallo

Oggi indosso
la giacca dell'anno scorso
che così mi riconosco
ed esco

Dopo i fiori piantati
quelli raccolti
quelli regalati
quelli appassiti

Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
lascio che le cose
mi portino altrove
non importa dove
non importa dove

Io, un tempo era semplice
ma ho sprecato tutta l'energia
per il ritorno

Lascio le parole non dette
e prendo tutta la cosmogonia
e la butto via
e mi ci butto anch'io

Sotto le coperte
che ci sono le bombe
è come un brutto sogno
che diventa realtà

Ho deciso
di perdermi nel mondo
anche se sprofondo

Applico alla vita
i puntini di sospensione
Che nell'incosciente
non c'è negazione
un ultimo sguardo commosso all'arredamento
e chi si è visto, s'è visto

Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni

Lascio che le cose
mi portino altrove
altrove
altrove

Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni

Svincolarsi dalle convinzioni
dalle pose e dalle posizioni

lunedì 23 agosto 2010

(6)



Una macchina è solo un veicolo, non è una ragione di vita, ma per alcuni è così. C’è gente che per l’ultimo modello di una determinata marca, impazziscono e son disposti a vendere casa o quant’altro per averla. Alcuni giocano in borsa, perdono, e girano con vetture assurde. Altri le comprano come una compensazione per particolari abilità che non hanno, e forse, per ciò, credo che Rocco Siffredi abbia un’utilitaria. Alcuni ci vivono, e non è bello. In quel caso la macchina rappresenta l’unica soluzione al problema della notte all’adiaccio, altri invece la prendono solo per quel che è: un mezzo per uscire e fare prima per arrivare ad una determinata destinazione, che sia una casa, che sia al lavoro, che sia all’ospedale, che sia solo per fare la spesa. L’importante è usarla con cautela, alla lunga potrebbe assuefare anche il più contrario tra gli ambientalisti, d’altronde la bicicletta porta fatica, gli autobus ecologici son più rari dei 500 euro in mano vostra e la metropolitana è piena di maniaci. Oh, che ve lo dico affare, mi ci avete incontrato molte volte.

Dario pensa e ripensa, vorrebbe intavolare una discussione che non passi solo sull’argomento “appena ti riprendi sloggi”, oppure “sei sicuro di non aver alcun parente che ti possa accudire”, fino ad arrivera al “ehi bello, io il mio l’ho fatto ora smamma!”. La vita è una vera schifezza, pensa, ma a risolvere ogni problema c’è un luogo dove l’impossibile diventa possibile, dove l’inenarrabile diventa narrabile, dove il futuro diventa presente, dove si scrocca sempre un po’ d’aria condizionata: il centro commerciale.

Appena entrati, una vocina simpatica sparata ad alto volume dall’altoparlante, accoglie i visitatori. Un messaggio che ripete, per tutta la giornata, ogni 25 minuti esatti, intervallato da musica per giovani e qualche nostalgico cantante antico, e molto probabilmente defunto, per i meno giovani.
“Il “Multibox” è un centro commerciale all’avanguardia. Ha 364 negozi, divisi tra un buon cinquanta per cento di abbigliamento, un ottimo trenta per cento di ristorazione, un quindici per cento di elettronica, un enorme spazio per la spesa di tutti i giorni e ben una libreria, minuscola, perché leggere stanca gli occhi, sia chiaro. Il “Multibox” è il posto ideale dove portare i vostri nonni o genitori a passare l’estate, con la sua apertura dalle 7 del mattino alle 24 di sera, offre confort, comodità, relax e tante attività per chi non ha sufficiente contante da passarsi una vacanza sul Monte Bianco, o almeno all’angolo di mare più vicino. Indi per voi pezzenti, questo è il massimo di ferie che potete permettervi, indi passatele con noi comprando e spendendo. E’ l’unico modo per far passare questa stagione senza struggervi in casa oziando e mangiando come maiali, sulla poltrona, unti di cannottiera mentre guardare un qualunque trofeo calcistico che le televisioni vi propinano. Grazie per averci scelto. Buona giornata.”

Appena entrati si notano gruppi di anziani che doppiano il messaggio come si fa la domenica in chiesa con le parole del prete: sempre le stesse, sempre le solite. Così conosciute che molti sperano, un giorno, di essere interrogati e di dirle al suo posto durante la funzione. Finito il messaggio si sono formati capannelli di vecchietti che discutono di questo ed altro in un maniera che definire grottesca è dir poco. Si parte da un qualsiasi discorso, che sia la politica, il meteo, la televisione, il cinema, i giovani e le loro manie e si finisce sempre, inevitabilmente, a parlare di malattie. E lì parte una gara che non lascia fuori nessuno, ognuno prova a far zittire tutti gli altri raccontando i propri dolori, i propri umori, e le proprie aspettative di vita. Un fan club di adoratori dei medicinali come non si vedono da nessuna parte. Con molto entusiasmo della farmacia del centro commerciale. Ecco un piccolo esempio di conversazione standard:

“Eh, Gustavo, hai visto ieri là, quel temporale che han fatto vedere su al Nord eh, una città quasi rasa al suolo eh.”
“Certo che l’ho visto Ettore, tutti lampi e tuoni e lampi e tuoni. E noi qui a morire di caldo, va’ che vita.”
“Ma non lo so, ragazzi, non è che sarei tanto felice di non vedere il sole neanche d’estate eh, è così bello qui, mare, sole, belle ragazze.” – finisce la frase con un tocco di tosse di 473 secondi ininterrotti.
“Eh, c’ha ragione Carmelo, alla fin fine qui si sta bene eh, che si riempino di reumatismi quelli di sopra!”
“Ah, non te li consiglio quelli. Mi fan un male cane quando arriva Novembre che non ti dico.” – primo allarme.
“Eh si, e poi mio nipote, non so come faccia, se ne va in giro con i pantaloni strappati e le maniche corte a Gennaio! Ma che roba si buttano in corpi sti’ ragazzi?”
“La marijuana! Ne ho sentito parlare, quelli se la iniettano sulle dita o nelle vene. E poi inizi a guardare il mondo diversamente tipo che vedi una e ti sembra bella ma in realtà è tua madre.”
“Carmè, non so come fai, ma conosci sempre il mondo giovanile meglio di chiunque altro. Io ancora non ho capito che cosa è internet. E ne parlano sempre. Un solo argomento c’hanno.”
“Ettore, io l’ho visto ma per ora non ti posso dare una notizia certa. Appena so qualcosa in più ti faccio sapere. Son sicuro però che a stare sempre davanti al computer si suda parecchio. Mio nipote Giacomo, quello di quattordici anni, sta sempre lì, quasi completamente nudo e suda, ma tanto. E lo sguardo è sempre fisso. Chissà che roba è, magari alla fin fine è solo una droga nuova.”
“Eh, le nuove generazioni, solo tecnologia e muoiono presto, invece guarda noi! Ottantanni e pieni di brio. Ieri ho visto Cossiga in tv, poro Cristo, non meritava quella fine.”
“Che ci vuoi fare. Ad una certa età, la vecchiaia si fa sentire. Ieri ho sentito un tremore alla gamba destra per tutta la giornata.”
“Eh, io ieri notte non respiravo proprio, mi son dovuto attaccare all’ossigeno per riuscire a riposare. E dormo poco eh, solo qualche oretta e poi mi sveglio tutto stanco e non ce la faccio a camminare, quindi devo riattaccarmi alla bombola e sperare bene.”
“E sapessi che io son tre giorni che vivo con sto mal di testa che il medico dice che non può farci niente. Sempre così succede, tu li cerchi e quando ci sono, quelle poche volte, manco na diagnosi giusta ti fanno.”
“Non me lo dire, l’altroieri c’avevo un dolore all’inguine che non mi dava pace e niente, non mi ha visitato completamente, ha detto che non era niente.”
“Non è mai niente e poi facciamo la fine di quel brav’uomo di Cossiga. Riposi in pace. Almeno lui ora ha finito di soffrire. Noi invece siamo sempre qui a sputare sangue.”
“Non me ne parlare, ah, se potessi tornare indietro. Invece che internetto starei a correre dietro alle belle pulzelle. I giovani non capiscono niente.”
“Io manco quello potrei fare, dopo l’operazione laggiù è da due anni che niente funziona.”
“Gustavo, va a finire che vinci sempre tu però, così non vale.” – e si allontanano claudicanti con le mani raccolte dietro il bacino.

Dario guarda quel mondo pieno di luci. Osserva la paura di Fulgenzio di fronte a quella novità tanto dispendiosa e preoccupante e si inoltra dentro al centro commerciale. Negli altoparlanti una musica melodiosa li accompagna.


Cittadini lavoratori alle ore
diciotto il nostro
beneamato segretario sarà con noi
Ma che fortuna grazie alla luna
capofortuna stasera è con noi
ha una gran testa come uomo e una bestia
sembra immortale ma è come noi
lui è stato sempre puro come l'alito di chi
non beve e non fuma lava i denti tutti i di
profuma di roba francese e sulla camicia ha un foulard di chiffon
regala sorrisi distesi ai suoi elettori ai bambini bon bon
ma che fortuna capofortuna
guarda stasera con noi la tv
classe di ferro ha fatto la guerra
è tanto bello che sembra Gesù
lui è stato sempre puro come l'alito di chi
non beve e non fuma lava i denti tutti i di
profuma di roba francese e sulla camicia ha un foulard di chiffon
regala sorrisi distesi ai suoi elettori ai bambini bon bon
non teme ne estate ne inverno se andrà all'inferno ci andrà col gilet
dimentica i tuoi problemi imbarca i tuoi remi lui pensa per te
inaugura mostre e congressi autostrade e cessi ferrovie e metrò
sorride ai presenti commosso se punta sul rosso sa che vincerà
se gioca a tressette è campione se fuma un cannone si sente un pascià
reprime rivolte e sommosse e cura la tosse alle cinque col te
sostiene già tesi avanzate e tutta l'estate la passa in tournèe

giovedì 19 agosto 2010

(5)



Vivi la tua vita da un’infinità di tempo e ancora non la capisci. Non sai prevedere certi eventi, ti sconvolgi di fronte alle novità, ti abitui alla routine, annoiandoti, ma quando la perdi, ti manca e cerchi di ritrovarla. Basta un giorno solo che gira in un altro verso e sei sperduto. “Andiamo a mare” ti dicono. E tu accetti. Ma quel giorno lì lo trovi strano, troppo diverso, insopportabile quasi. “Andiamo una settimana fuori” e dopo due giorni ti abitui ad altri ritmi, quasi come se quella fosse una nuova routine, poi la riperdi e ti devi abituare a quella vecchia. Gira sempre così. Vecchio, nuovo, nuovo, vecchio, vecchio. E fare le stesse cose diventa quasi una liberazione, in certi giorni. Poi succede che conosci un tipo, questo si fa investire e tu non solo diventi il buon sammaritano accompagnandolo al pronto soccorso, no, tu decidi che è l’ora giusta per ambire alla beatificazione prendendolo come ospite nella propria dimora. L’angioletto sulla spalla destra ti dice “Bravo, sei il migliore, la persona più buona che esista”. Il diavoletto sulla spalla sinistra è inorridito e medita il suicidio. Un altro infermo da aiutare, si potrebbe dire.

Dario guarda la sala d’aspetto quasi impaziente, in una mezza giornata è riuscito a dare un piccolo cambiamento alla sua vita che non si sarebbe mai aspettato. Ora attende l’arrivo del suo assistito, di un certo Fulgenzio, un povero ragazzo(?), signore(?), vecchio(?), che dalla vita ha ricevuto poco. “E’ una buona azione”, continua a sussurrare l’angioletto dando il colpo di grazia all’omino rosso col forcone, “non te ne pentirai”, aggiunge.

“Sarà...” – risponde – “In questa storia ci ho guadagnato solo una cosa: ora parlo da solo!” – Ogni aspetto positivo è ben accetto. Anche se non è estremamente entusiasmante.
“Signor Dominici, ecco il suo pacco regalo tutto per lei, il signor Fulgenzio Dominici in tutto il suo splendore!”
“Non è mio fratello, glielo ripeto un’altra volta sola, a costo di scriverglielo direttamente sulla fronte con la punta di un ago” – un po’ di rabbia accumulata sembra uscire. L’ometto col forcone ha come una scarica di energia in più.
“Ehm…mi scusi, mi sono evidentemente sbagliato. Prego, il signor Fulgenzio ha solo bisogno di riposo, gli abbiamo gessato la mano per non rischiare traumi futuri. Lo tratti bene e gli stia accanto. Se non si fa questo tra fratell…” – la parola gli si strozza in gola alla vista dello sguardo assassino di Dario. Indietreggia lentamente e si infila in una qualsiasi sala, senza badare al cartello. Dopo aver messo una porta tra lui e quel debosciato tipo che abbandona fratelli, si rende conto che è in corso una bella radiografia in quella sala, indi una scarica di radiazioni, prima di pranzo, non può che fare bene.

Dario, intanto, guarda Fulgenzio su quella sedia a rotelle che, a sua volta, sorregge lo sguardo. Rimangono in quella posizione per due minuti intensi. Poi uno dei due si decide a parlare.
“Perché hai detto che siamo parenti?” – gli chiede Dario, convinto che una domanda secca può ricevere una risposta altrettanto onesta.
“…” – apre la bocca ma non fuoriesce nulla. Nemmeno una singola parola. Solo fiato, solo respiro.
“A questa non vuoi rispondere, capito, te ne farò un’altra ancora più semplice: che si fa ora?”
“…” – come prima. Identico e preciso.
“Ho capito va’, un buon pranzo son sicuro ti ridarà la parola. Vieni con me e vediamo come uscire da questa situazione”. – E si dirigono entrambi verso la macchina all’esterno dell’ospedale. Fulgenzio trova qualche difficoltà a districarsi con la guida della sedia a rotelle, Dario lo nota e seppur incitato a lasciarlo stare dal suo diavoletto personale, decide di dargli una mano e inoltre di farlo entrare in macchina prendendolo quasi completamente di peso. Un colpo troppo grande per l’omino rosso, che decede tra atroci sofferenze. La beatificazione è stata già superata, prossimo step: santità.

Un infermiere si riprende la sedia a rotelle, Dario mette in moto, esce in retromarcia, sacramenta perché nessuno si ferma per lasciarlo passare e parte, in direzione ignota.
Accende la radio, perlomeno è un oggetto parlante, sempre meglio di quell’uomo sul sedile del passeggero. Gira un paio di stazioni e poi trova qualcosa che vale la pena ascoltare. Canta delicatamente, e si lascia andare.



I sentimenti non hanno età,
non hanno sesso, nè volontà.

Non c'è l'amore senza il tradimento,

non c'è una storia che resista al tempo.


I sentimenti non hanno lingua,

non hanno scarpe, non hanno stringa.

La libertà è una giustificazione,
cambiare donna la tua soluzione.

L'amore vola come un aquilone

e la passione spossa la ragione.

Tre anni insieme sono un lungo viaggio,
guardarti in faccia, non c'è più coraggio.


Per l'insistenza non c'è la cura.
Tu non sei niente, tu non sei pura.

Nessuno ha riso, nessuno ha pianto,
non c'è la colla per il vaso infranto.


Due vele in collisione,

un battito di ali,

un'onda, una stagione,

imparare a camminare.

Un'anfora di sale,

un cielo per volare,

due gocce di rugiada,

un ombrello che fuori piove,
piove,
piove, piove.

I sentimenti non hanno senso,

cade la piuma, crolla l'universo.

Inseguire la scia fino in alto mare,
i sentimenti fanno naufragare.

E innamorarsi è una pura follia,

specialmente adesso che non sei mio,

ma i sentimenti non danno scampo

e non sono colla per il vaso infranto, infranto.


Due vele in collisione,
un battito di ali,

un'onda, una stagione,

imparare a camminare.
Un'anfora di sale,

un cielo per volare,

due gocce di rugiada,

un ombrello che fuori piove,
piove,
piove, piove.

I sentimenti sono grano,

sono il pane quotidiano,
sono che mille volte ho pianto

a cercare colla per il vaso infranto, infranto.


Due vele in collisione,

un battito di ali,

un'onda, una stagione,

imparare a camminare.

Un'anfora di sale,

un cielo per volare,

due gocce di rugiada,

un ombrello che fuori piove,
piove,
piove, piove.

martedì 17 agosto 2010

(4)



Certi giorni capisci che è più facile convincere l’infermiera di turno che tu sei il figlio di Barack Obama che assicurarle di non aver niente a che fare con un barbone mezzo ammazzato. E sottostare al suo sguardo che è un misto tra la pietà e la rabbia, più una forte dose di odio. E non c’è niente che si possa fare, però hai scoperto quanto è bello il mondo: in dieci minuti puoi trovare un fratello, anche se sei figlio unico, anche se tuo padre ha scoperto di essere sterile, anche se l’ha scoperto molto prima di averti avuto, ora hai un fratello. E due occhi per piangere.

La corsia del pronto soccorso è molto molto larga. Sulla sinistra si trova la sala d’aspetto, Dario non è così contento che l’abbiano fatto passare, dato che ha un parente in ospedale, soprattutto perché quello non è suo fratello. Ma è difficile crederlo. Dopo dieci minuti in cui si è informato, adeguatamente, su tutti i flirt estivi importanti ovvero sulle corna di Belen con Borriello, sulle corna di Corona con Belen, sulle corna di Borriello con Corona, decide che è giunta l’ora di andare al bar e comprarsi un giornale diverso, uno sportivo, per pensare ad altro. In prima pagina il messaggio è già chiaro, una bella ricetta anti-crisi voluta da Blatter, il capo della Fifa, propone di eliminare i pareggi nelle prime fasi dei mondiali. Al novantesimo, subito i rigori. Dario è sconvolto, pensa che qualcuno abbia esagerato con gli alcolici, magari tra i giornalisti, ma poi continua a leggere e scopre le amare verità.

“Joseph Blatter, capo indiscusso della Fifa da millenni, decide di adottare regole diverse per il prossimo Mondiale che, come tutti sapranno, si svolgerà in Brasile nel 2014. Il presidente illustrissimo ha deciso di valutare alcune proposte che gli sono giunte dalla sua persona. Eccole qui raggruppate in un elenco che definire meraviglioso è dir poco.

1) Eliminare i pareggi nella prima fase. O con rigori al novantesimo o con codeste modalità:
a) Eliminazione di massa per le due squadre coinvolte. Lasciare vivo il solo allenatore come monito per le partite successive. Poi festeggiare l’evento con un banchetto con la carne abbandonata nel campo.
b) Indire concorso di pettinatura migliore tra i giocatori. A colui che vince sarà assegnato il gol della vittoria. Almeno ora avranno un motivo per gelatinarsi.
c) Lasciare scegliere al pubblico chi vince con una bella scazzottata stile Bud Spencer.
d) Lanciare la monetina direttamente negli occhi dei due portieri e poi tirare i rigori. Così acquistano ancora più pathos considerando che in porta ci sono due mezzi ciechi.
e) Indire concorso di miss maglietta bagnata con fidanzate dei calciatori, facendo pagare piccolo extra di 5 euri al pubblico. Previsione guadagni: stratosferici.
f) Collegare una bomba nei pantaloncini di un giocatore scelto dal caso. Se il risultato al 90° è di pareggio, il giocatore esplode portandosi dietro tutti quelli che sono nelle sue vicinanze.
2) La squadra di trasferta deve presentarsi in tutù, pena l’esclusione dalla partita. Iniziare facendo due piroette come saluto alla squadra di casa e poi lasciarsi andare in un developè d’antologia. Un ottimo modo per avvicinare ancora di più le donne al calcio.
3) Raggruppare dentro ad uno stanzino tutti gli allenatori non vincenti(indi 31 su 32) e lasciarli senza cibo per dieci giorni, come punizione per non aver vinto il Mondiale. Chi sopravvive, mangiando o meno i propri coinquilini, può tornare a casa.
4) Regalare a tutti le suonerie, meravigliose, di Wladimiro Tallini compresa la superlativa “Lippi Vergogna” e usarle come colonna sonora ufficiale di tutte le manifestazioni Fifa. Altro che Waka Waka.
5) Ripetere la partita se è stata, secondo l’illustrissimo Presidente, brutta e senza emozioni. Anche più di due volte si può ripetere e sempre con gli stessi giocatori. E’ ammesso ogni tipo di doping.

Ufficio stampa del Meraviglioso
Joseph Blatter


Manca un giorno che non ti informi del mondo e sembra quasi che sia impazzito, e che soprattutto è andato avanti senza di te. Senza nemmeno chiamarti, senza farti sapere niente, così, va avanti e tu non ci puoi fare niente. Nemmeno uno squillo, niente. E ti domandi quale sia il tuo reale apporto alla società, forse la propria presenza è solo un numero, niente di eccezione, e non esistere non cambierà le cose, il mondo continuerà ad andare avanti. La gente si amerà, si conoscerà, si innamorerà, si odierà, si ucciderà come se niente fosse. Senza nemmeno accorgersi della mancanza. E’ sempre così.

Dario è seduto, legge, un po’ spiegazza il giornale, pensa a come sarebbe la Terra senza di lui. Non vede miglioramenti ne peggioramenti, un po’ si intristisce. Arriva un camice bianco pronto a rincuorarlo. Aspetto giovanile, capelli brizzolati, barba appena incolta, sguardo vispo, sicuramente affascinante più di George Clooney.

“Signor Dominici, gli esami sono andati bene. Una costola incrinata, una microfrattura al polso sinistro e tutto apposto. Suo fratello sta quasi una meraviglia”.
“Non è mio fratello!”
“Lo so, lo so! Non voglio entrare in mere questioni familiari, ma se lo riprenda a casa, so come succede in questi casi: due fratelli hanno un’attività, l’attività va male, uno dei due riesce a risollevarsi e l’altro viene buttato in mezzo ad una strada e disconosciuto dal primo. Son le miserie della vita. Faccia una buona azione!”
“Ma non è mio fratello!”
“Eh si, eh si! Non voglio entrare in tristi questioni di fratellanza, ma se lo riprenda, e faccia sta gentilezza verso un povero inerme. Lo so come succede in questi casi, due fratelli si innamorano della stessa ragazza, quello subdolo, cattivo e orrendo, riesce a rubarla al fratello che, distrutto d’amore, decide di vivere per strada di stenti e privazioni. Son le tristezze dell’esistenza umana. Faccia sta buona azione.”
“Dottor…”
“Dottor Daug Ros”.
“Dottor Ros, io le dico, sinceramente, guardi il labbiale: Costui non è mio fratello, non è mio cugino, non lo conosco. E’ un povero Cristo che vive nel marciapiede davanti casa mia. Lo vedo solo ed esclusivamente davanti ad un semaforo. Io non ho fratelli, come posso gentilmente spiegarglielo, le fò un disegnino?”
“Ho capito, mi scusi, ma ho capito. Lei ha tutto il diritto di dire ciò che ha detto. D’altronde si sa, questa è la semplice storia di due fratelli: un pastore e un contadino, dove l’invidia del contadino lo porterà all’uccisione del pastore. Son le vergogne della vita. Lei viva la sua, sbologneremo il malcapitato in una struttura dove morirà perché la sua famiglia l’ha abbandonato! Vada, è libero”.

Dario rimane ad osservare quel dottore. E’ altamente bello, immagina quanto riesca ad acchiappare tra infermiere e dottoresse. E’ sposato, ha una fede che si vedrebbe anche da sette chilometri di distanza. E’ intelligente ma soprattutto è un ottimo attore. E’ riuscito in poco tempo a fargli emergere un senso di colpa smisurato. Sicuramente ha studiato teatro. Non si capacita di come sia riuscito a fargli dire quelle poche parole che sta per dire.

“Me lo prendo io!”

Ora si che il mondo si è accorto di te.

sabato 14 agosto 2010

(3)



Quando ti svegli la mattina alla fin fine lo sai come andrà la giornata. Lo senti. Alcuni lo chiamano sesto senso, altri terzo occhio, altri ancora pensano che sia un’abilità che ognuno ha ma che pochi usano, d’altronde molti affermano che usiamo a malapena il cinque per cento del nostro cervello. L’altro novantacinque a qualcosa dovrà pur servire. Molti potranno pensare che sia una parte del nostra materia grigia riservata alle cosiddette “attività speciali”: la telepatia, la telecinesi, il teletrasporto, il telepiù. Ma sbagliano. Una buona fetta di quella roba contenuta nel nostro cranio è un contenitore, un semplice contenitore di tutti i film porno stipati durante l’adolescenza, come se fossero racchiusi tutti in un moderno hard disk. Da aprire in caso di necessità. Prima di andare a dormire, durante la carestia più estrema o magari solo per puro sollazzo. Si apre la porta e via, si entra in un mondo che già si conosce ma che ad ogni visione è ancora più bello. E il rilassamento regna sovrano.
Comunque Dario, quella mattina, aveva un certo sentore di qualcosa di strano. Quel “senso di ragno” che ognuno ha ma che nessuno, se non si viene colpiti da un ragno geneticamente modificato, può attivare gli aveva dato una leggera scossa. In un attimo, poi, capì che quella sensazione era giusta.

Un barbone, o come cavolo lo si vuole chiamare, buttato sotto da un qualsiasi elemento guidante di una città qualsiasi. In un secondo. Un attimo lo vedi, l’attimo dopo giace a terra. Non c’è una pozza di sangue, non c’è nessuna vistosa frattura visibile, non c’è niente. Ma il guidatore idiota non lo sa, e fugge. Un altro attimo dopo la gente si accalca, una poveretto è a terra, inizia il teatrino. Ominidi che si improvvisano dottori chiedendo in che punto il dolore sia più forte, signore attempate che quasi svengono alla vista di quel derelitto giacente al suolo, uomini che riescono solo a pronunciare le fatidiche parole “lasciatelo respirare”, e altri che telefonano prima ai familiari per tranquillizzarli sulle loro condizioni e poi decidono, per un eccesso di umana pietà, di chiamare un’ambulanza. E’ la natura umana di fronte ad un evento improvviso, sconvolgente, non previsto. Ognuno in quel frangente occupa un ruolo, Dario si sentiva il buon samaritano.

“Lo accompagno io all’ospedale” – sussurrò quasi, con un filo sottile di voce. Per la folla fu come se fosse salito su un grattacielo con un megafono collegato a dodici impianti stereo e avesse annunciato a gran voce che il regno dei cieli era pronto e li avrebbe accolti tutti, senza discriminazioni. Cori entusiasti di liberarsi di quel peso si udirono in un attimo o poco più. La marmaglia si aprì come acque davanti a Mosè, alcuni presero il povero malcapitato e lo posizionarono sul sedile del passeggero nella macchina di Dario. Il mondo tornò alla normalità. Ma non per tutti.

“Sono solo pochi chilometri, tieni duro, non ti preoccupare.” – disse, senza ottenere la benchè minima risposta. Dario non sapeva assolutamente cosa dire, che fare, come guadagnarsi la fiducia di un uomo a cui, secondo lui, la vita ha tolto tutto. Non le insegnano a scuola queste cose, non le insegnano all’università, non le insegnano a lavoro, a meno che non si decida di intraprendere una strada verso la psicologia. E molte volte è inutile anch’essa. Il barbone rantola e biascica parole senza senso, il guidatore pensa a qualsiasi cosa lo possa far sentire meglio. Decide allora di ripescare parte del suo hard disk mentale, si posiziona davanti al dvd onirico e cerca un rilassamento che non arriva e che è meglio non far arrivare mentre si guida.
“Si rischia di buttare barboni sotto”, pensa Dario, “e poi la giornata viene irrimediabilmente compromessa”. Telefonare al lavoro per avvertire che si fa tardi è cosa buona e giusta ma cosa dire? “Capo, mi scusi, ma stamattina ho deciso di anticipare la mia buona azione quotidiana e sto accompagnano un povero clochard puzzolente all’ospedale, sì, l’hanno colpito con una vettura e l’attentatore è pure scappato”. Sembra la trama di un film depressivo, non ci crederà mai nessuno. Si potrebbe buttarla sulla consuetudine tipo “Capo, qui c’è troppo traffico, credo che arriverò tra un’ora o più”, peccato che l’ufficio sia solo a dieci chilometri da qui. Oppure sul fantascientifico “Capo, sento una vibrazione negativa che mi costringe a non uscire di casa almeno per un’altra ora, appena riesco ad eliminarla, le prometto che arriverò seduta stante presso di lei e la sua azienda”. Perfetta. Una scusa perfetta. Per ambire al licenziamento.

Intanto, pensando pensando, l’ospedale è a due passi. Il vecchio, età compresa dai trenta agli ottantamila, continua il suo discorso col nulla e Dario, di par suo, decide che è meglio che continui, significa che è ancora vivo. Spara, quasi senza volerlo, un normalissimo “Come ti chiami”, una di quelle frasi usate o alle elementari per fare amicizia o nel resto della vita per conoscere tipe, la risposta comunque, non la si ottiene. Il pronto soccorso è sulla destra, il piano è semplice: niente manovre eccezionali da fare, scaricare il vecchio in cinque minuti, firmare un paio di carte, augurare buona vita e una pronta guarigione al derelitto, stringere un paio di mani ai dottori, guardare qualche deretano di deliziose infermieri, ritornare in macchina e andare via, verso l’infinito ed oltre. Piano semplice. Attuazione semplice.

Dario esce dalla macchina, chiama gli infermieri, non osserva le loro natiche, arriva una dottoressa, voto otto più, farfuglia qualcosa ma purtroppo lui è imbambolato sulla beltate disumana della suddetta. Riesce solo a recepire le parole “è un suo parente o amico?”, la risposta è “No, no. Trovato per strada”. Lo sguardo della gentile laureata in medicina è sul preoccupato-spaventato, Dario corregge il tiro: “No, non sono uno che raccatta barboni. E’ stato investito, l’ho raccolto, e l’ho portato qui dopo aver notato che non aveva niente di rotto”, e sfoggia il suo miglior sorriso, molto simile al suo peggior sorriso. La dottoressa sorride anche lei, impartisce due ordini agli infermieri, saluta e dimentica per un attimo il povero Dario e di nuovo quel senso di ragno si fa sentire, una specie di ronzio che non accenna a diminuire di intensità ma che, anzi, si fa sempre più forte nella testa.

“Mi chiamo Fulgenzio, e lui è mio fratello” – afferma il barbone.

“Fulgenzio”, pensa Dario, “e’ ovvio che con un nome così uno si ritrova a vivere per strada”. Poi rimugina su un altro po’.

“Fratello!!!”

Il senso di ragno batte all’impazzata.

sabato 7 agosto 2010

(2)



Il momento in cui vedi la luce del sole è quello in cui ti rendi conto che l’hai fatto: sei uscito di casa e sei ormai in quella giungla metropolitana che è la città. Con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Il fatto di aver tutto a portata di mano, che si parli di svaghi o di necessità è qualcosa a cui ogni uomo ambische ma forse i primi, compreso ciò, son solo dei vizi, mentre i secondi si vedono tutti. Lo smog, per esempio, tutti lo odiano ma chiunque ci convive, alla fin fine. Solo sporadiche persone riescono a sfuggire alle comodità della vita cittadina per tuffarsi nella verde campagna, e quelle stesse persone convengono che consumare migliaia di euro in carburante non è poi una bella idea, che poi quel carburante diventa smog, e lo smog è ciò dal quale stavano fuggendo, indi inizieranno ad abbandonare le proprie auto in un punto qualsiasi per non farsi considerare degli incoerenti agli occhi degli ambientalisti. Quest’ultimi non son tanto gentili come vogliono far credere, hanno più paletti loro che Dracula nel cuore. Non puoi inseguire i cacciatori di balene se usi la benzina nelle navi, non puoi proporre petizioni contro l’abbattimento della foresta se usi dei quaderni normali di carta, e soprattutto per loro riciclare non significa necessariamente rovistare nell’immondizia altrui e mettere da parte gli alimenti e gli oggetti ancora non completamente deperiti, cosa che fanno alcuni barboni che Dario, ogni giorno, vede sempre sotto casa. C’è ne sono tre. Ognuno con i suoi difetti che li rendono caratteristici. C’è “Carro”, cinquanta e passa anni, celibe, abbastanza ben curato, canterino per vocazione. Tutta la giornata lo trovi a cantare, il suo turno è dalle 9 e mezza fino alle 20. La domenica si ferma prima, alle 15, per rispetto verso chi vuole farsi un riposino pomeridiano. Canta solo i testi di Albano Carrisi: la mattina è tempo di grandi successi, il pomeriggio è fatto di duetti e la sera si chiude con i nuovi dischi, quelli che solo i veri fan ascoltano, o forse quelli che si compra solo Albano medesimo. Il che ha fatto pensare, non poche volte, che quel povero signore sul marciapiede sia veramente Albano, distrutto dopo i centododici divorzi e i quattordici figli da mantenere, altro che “Felicità”, d’altronde se passi da Romina Power alla Lecciso, dovresti già capire che stai candendo verso il baratro.
Poi c’è un omino, basso, pelato, un po’ cicciottello. Guarda il mondo sempre con occhi sognanti. Adora parlare dei film di Massimo Boldi, è uno dei suoi idoli, cita alla perfezione scene e battute da perfetto Vanziniano. Quando imita la tachicardia del Boldi nazionale, la gente lo riempie di monetine. Alcuni gliele lanciano direttamente in testa, saranno dei De Sichiani invidiosi dell’enorme successo del comico milanese. E poi scrive poesie, che vende al modico prezzo di un euro l’una. Sono componimenti struggenti, fatti di parole e sole, colore e dolore. Alcune forse troppo difficili da decifrare, tanto che sono pregni di meraviglia e maestria. Dario una volta ne prese due, ancora non è riuscito a capire cosa intendessero dire, intanto li ha appesi con una calamita alla porta del frigorifero. Ogni tanto li rilegge, si ricorda le parole a memoria. La prima si intitola “Mercato ortofrutticolo”:
Fuga d’India,
giallo al vento,
sudore immane,
Fini imbecille.

L’altra, ancora più eccelsa, è una dichiarazione d’amore dal titolo, semplice, “Ventiquatt’ore”:
Attimi reali di sogno,
momenti veri di irrealtà,
secondi unici di meraviglia,
tutto in una giornata con te:
Silvio…

Dario ignora a chi sia dedicata codesta poesia, ma la trova ugualmente eccezionale. Trasuda amore, rispetto e gioia dice. E non solo quello, aggiunge.
Il terzo clochard, per dirla alla francese con un termine quasi poetico e pensare che non sia un barbone puzzolente e attentatore delle narici altrui oltre che un povero disagianto troppo spesso messo ai margini della società solo perché ha avuto la sfiga di avere una vita triste e insoddisfacente oltre che sfortunata, si chiama Fulgenzio. E’ lì, sotto quel palazzo, a quel semaforo per quasi tutta la giornata da due anni. Non ha mai mancato un giorno, non è mai andato in ferie, non è mai stato in malattia, è sempre lì, a quell’incrocio, da seicento e passa giorni. E ogni mattina Dario lo guarda, un po’ impaurito un po’ commosso un po’ per abitudine. Quasi che la vista di quell’uomo, al mattino, fosse per lui una consuetudine da rispettare perché il mondo continui per la sua strada. Una strada orrendamente piena di semafori, di insulti, e di rimproveri. Dove niente sembra mai andare per il meglio. Dove chiunque abbia un po’ di buon senso o di pietà, regala un euro o meno ad un povero Cristo, e poi continua la sua esistenza dimenticandosi di quell’accaduto, bello o brutto che sia.
Dario va’ verso la macchina, il suo pensiero è solo quello di non fare tardi al lavoro, la trova al solito posto, nessuno ha preso l’abitudine di spostargliela la notte. Entra, inserisce la retromarcia, esce dal parcheggio. Osserva la strada e si incanala al semaforo, vede la camminata insesorabile di Fulgenzio nella sua direzione, la vede e inizia a ricercare monetine nei vari scomparti di quella Fiat Punto blu del “antasei”, rialza lo sguardo, è ormai vicino, riabbassa lo sguardo, trova un 50 centesimi incollato al pavimento, stacca il residuo di chewing-gum masticata, cerca gli occhi del barbone, lo vede, ode una frenata maldestra, non lo vede più.

venerdì 6 agosto 2010

(1)



La giornata inizia sempre in maniera diversa: che ogni mattina la strada urla il suo dolore e la sua rabbia in maniera diversa, e non si sa mai quale insulto si può ricevere da dietro il primo finestrino della giornata. Perchè il primo finestrino non si scorda mai, e questo Fulgenzio lo sa bene. Colleziona paziente le offese degli automobilisti a cui chiede ogni giorno qualche euro per vivere, perchè esercitare la memoria è sempre un buon passatempo da coltivare all'ombra dei semafori. E perchè, a farci caso, il repertorio di insulti e improperi poteva essere considerato un indice attendibile di campionamento del genere umano. Sempre le stesse parolacce, sempre gli stessi insulti, sempre le stesse offese. Mai nulla di davvero originale. Il concetto di umanità ridotta a un branco di pecore tanto inneggiato tra i suoi amici barboni si manifestava in tutta la sua magnificenza proprio davanti a un cerchio rosso sospeso a mezz'aria.
Fulgenzio non riusciva a capire, lui che dalla vita non aveva mai avuto niente sperava che chi avesse qualcosa potesse trovare un altro tipo di approccio verso il resto dell'umanità. Ma a quanto pare non era così, e l'unica idea davvero valida tra tutte quelle che gli stavano lambiccando il cervello mentre chiedeva qualche spicciolo a un automobilista in giacca e cravatta dentro una Yaris blu era che lui della vita non avesse capito un cazzo.
Non era tanto per la sua vita da clochard ai margini della città, o per il suo lavoro al semaforo davanti al supermercato, o per gli insulti che puntualmente riceveva. Tutto questo non gli pesava, a volte lo faceva sentire quasi bene. Ma era più per una sorta di inadeguatezza davanti a un mondo che non riusciva proprio ad accettarlo. Perchè c'era gente che della vita aveva capito tutto, e dal mondo aveva ottenuto molto. E c'era gente che della vita non aveva capito un cazzo come lui, ma che dal mondo aveva comunque ricevuto qualcosa.
Fulgenzio non capiva come collocarsi in quella curva gaussiana in cui non riusciva a trovare posto nemmeno ai due estremi. Per lui, ex statistico e matematico, era importante catalogare ogni cosa all'interno di una qualche statistica che desse un senso di appartenenza al mondo. Gli bastava guardare un attimo le persone, che subito era riuscito a inserirle in qualche casella di una tabella a doppia entrata.
Dalla sua postazione, Fulgenzio poteva esercitarsi in questo suo passatempo senza nessun problema, contando su un ampio campione della popolazione. Oltre tutti gli automobilisti, c'erano gli abitanti del palazzo posto al lato del semaforo. C'era la madre di famiglia destinata a sfamare suo marito e i suoi cinque promettenti teppisti di strada, situata in una piccola cella in basso a sinistra della tabella. C'era la ragazza tutte curve, quella che Fulgenzio aveva più volte rivisto nelle sue fantasie a luci rosse, collocate in una cella a due piazze con un letto matrimoniale solo per loro. C'era la signora che aveva perso il marito e che si vedeva di nascosto con un uono che tutte le sere, quando si faceva buio, la passava a prendere senza farsi vedere. Per lei una cella oscurata, di quelle che nascondono segreti inconfessabili. C'era l'amministratore del palazzo, un uomo che, nonostante le apparenze, quando ripassava con la macchina gli dava sempre un euro per tirare avanti la giornata. Per lui cella laterale della tabella, perchè pulirsi la coscienza dando un euro all'accattone del semaforo e prepararsi una via di fuga se la vita dovesse mettersi male sono uno una conseguenza dell'altro.
E poi c'era il ragazzo che usciva tutte le mattine per andare a lavoro. Tipo tranquillo, impossibile da catalogare. Un pò come lui, pensava a volte Fulgenzio. Solo che, non si sapeva bene per quale motivo, non riusciva a provare simpatia o interesse verso il ragazzo. In verità non sapeva dire bene perchè, era più una sensazione che colpiva il suo istinto e lo portava a escludere quell'uomo dal giro delle persone che avrebbe voluto conoscere.
Ma quella mattina destino e istinto avevano deciso di seguire due percorsi totalmente differenti, e far incontrare due esistenze che in un giorno qualunque si sarebbero ignorate senza pensarci due volte.

martedì 3 agosto 2010

Incipit



Ogni storia, ogni grande storia, ha un eroe, un grande eroe. Supportato da uno scudiero, un amico, un conoscente, anche un mulo parlante o un astronauta in certi casi, comunque deve avere qualcuno su cui contare sempre. Per condire, poi, la grande storia ci vuole uno scopo, che ne so, liberare una principessa, sconfiggere il cattivo di turno, salvare il mondo, e cose così. Poi, ovviamente, ci vuole il sentimento, una storia d’amore importante, quella che fa palpitare i cuoricini degli spettatori o dei lettori. Poi, ovviamente, a seconda dei casi ci si inserisce un po’ d’amore fisico o meno. Nei cartoni animati maggiormente si vedono solo baci, gli sceneggiatori adorano lo scambiarsi batteri, mentre nei film d’azione c’è sicuramente una scena di ammore completo interotta solo, e dico solo, quando i due hanno già concluso preliminari, coccole, sigaretta e si sono pur rivestiti. E quindi, visto che ci siamo, arriviamo ai film porno dove le scene d’amore la fanno da padrone. E diciamo che la trama non è che sia sto granchè. Comunque, ricapitolando, ci vuole un eroe, un amico, un cattivo, uno scopo, una storia d’amore e visto che ci siamo anche delle gag che faranno ridere qualsiasi tipo di pubblico. Ovvero come accade nei cartoni animati ci saranno gag sia per i piccini che per i grandicelli, un modo per accontentare il vasto pubblico che affronta la visione di un’idea altrui. E noi chi siamo per essere da meno? I figli della serva? I servi della gleba a testa alta? Indi ci accodiamo anche noi nella sicurezza della trama risaputa, anche se cercheremo di non farvi annoiare, promesso!


La giornata inizia sempre allo stesso identico modo: sveglia, bagno, colazione, bagno, lavaggio faccia, bagno(durante la notte i liquidi in eccesso vengono a galla), vestizione e uscita. Sempre allo stesso modo. Ma ogni giorno, alla fin fine, differenzia dall’altro per molti particolari. Ad iniziare dalla data sul calendario, ovviamente. E Dario questo lo sa bene. Ha deciso di comprarsi, tempo fa, quei calendari a strappo giornaliero, quelli che trovava sempre nelle storie di “Topolino” e tanta invidia gli provocavano quando osservava il suo, appeso al muro della sua cameretta, quello bimestrale, che cambiavi pagina soltanto cinque volte e poi lo buttavi. Invece così è tutta un’altra vita: ti svegli, vai in bagno e poi strappi. Olè. Il gioco è fatto. Purtroppo, per lui, è la particolarità di quell’ammasso di carta che un po’ lo sconvolge: è tipicamente religioso. Ogni giorno contiene passi della Bibbia o altri aneddoti pescati da chissà dove e chissà come. Ogni giorno contiene parole come “pentiti”, “perdona”, “purificati”, “correggiti”, “regno dei cieli”, “peccatore”(quasi sempre riferito a chi legge), “dona”(riferito a chi legge verso chi ha ideato quel calendario) e così via. La frase odierna era “Pentiti dei tuoi peccati, prima che sia troppo tardi. La strada per il Signore è ancora aperta a chi dona tutti i suoi averi”. Fa venire una voglia atroce di regalare soldi, non dite?


Comunque uscire di casa, per Dario, è sempre una bella esperienza, non sai mai chi puoi incontrare. Puoi vedere Dalila, l’affascinante e attraente pin up del terzo piano, che in realtà fa la commessa ma ormai quel pensiero del paginone centrale di Playboy con la sua figura, difficilmente si potrà eliminare dalla testa. C’è la vedova Angeloni, sempre gentile nei primi giorni del mese per una settimana esatta, poi la pensione si riduce all’osso e inizia ad odiare tutti gli inquilini ma soprattutto gli ospiti di questi ultimi. Per le ragioni solite di ogni condominio: fanno chiasso, perdono tempo, rubano, sporcano, non si lavano indi puzzano, sono brutti, e la generazione successiva alla propria è sempre un complesso di debosciati. La soluzione, almeno per la Angeloni, è presentargli qualsiasi amico solo dal 2 al 9 di ogni mese e la frittata è evitata. C’è la gioiosa famiglia Bazzi composta da padre, madre, e cinque bei pargoli. Un regalo dal cielo per il marito, che desiderava da sempre una piccola squadra di calcetto, un dolore immenso per la moglie, costretta a sopportarsi cinque piccole belve sempre affamate, urlanti e disperate. E’ facile vederla ogni volta in ascensore, reduce dalla terza o quarta spesa giornaliera. I pargoli sono fuoriusciti da due pàrti differenti, se vi può interessare: per come si sono divisi l’uscita, fate voi!
Infine, almeno per ora, c’è l’amministratore di condominio. Una leggenda. Questo individuo si narra conosca per filo e per segno ogni inquilino dello stabile, ne conosce l’effettiva quantità di acqua e luce utilizzati in una singola giornata e inoltre, afferma di indovinare esattamente a che ora ogni singolo condomine utilizza l’ascensore e anche per quanti secondi. L’amministratore, nome sconosciuto ai più anche se alcuni affermano si chiamasse Lapo, Luca, Leo, Larrondo o cose simili, non si nota, non si vede, non lo si conosce. Quando deve ritirare la quota mensile infila nelle cassette della posta un bigliettino e prepara una sorta di cassetta delle offerte nello sgabuzzino al secondo piano. Con tanto di lucine simil-chiesa a contornare il tutto. Ogni lucina ha il cognome di un condomine. Dopo aver “donato” la quota condomiale, bisogna accendere il piccolo lumino. Lo sgabuzzino è uno spazio angusto con un minuscolo tavolo come minima decorazione. Alcuni affermano che l’amministratore in quello spazio ci viva, e si nasconda nel muro quando i condomini portano la busta con le offerte. Altri credono che non esista e che qualcuno si rubi i soldi, ogni mese, con questo trucco. Altri ancora affermano di averlo visto, di averci parlato, e di aver convenuto che fosse una meravigliosa persona. Altri ancora dicono che sia deceduto da venti anni e che lo spirito aleggi ancora nel condominio desideroso di soldi. Comunque ogni palazzo ha la sua leggenda, è questo che ripete sempre Dario prima di andare a lavoro, non si sa per qual motivo.

Ma la strada per il lavoro, lunga o vicina che sia, è sempre irta di pericoli e si possono, alfin, fare fatali incontri. E’ quello che accadde quel dì. D’altronde ogni eroe ha bisogno di uno scudiero no?