venerdì 11 febbraio 2011

Emozione


Mi chiamo Tommaso Salvemini, lo so che oramai mi conoscete ed è inutile che mi ripresento ogni volta, ma me l'hanno ordinato di fare. E chi sono io per trasgredire gli ordini. L'ho fatto solo un paio di volte in vita mia e ancora non sono sicuro di aver fatto bene. Sono qui, a casa stavolta, che scrivo questo memoriale al pc per voi, ma soprattutto per me, almeno così dicono. Dicono che mi servirà parlare di ciò che ero, dicono che mi servirà per capire innanzitutto ciò che sono e ciò che sarò, dicono che mi servirà soprattutto per migliorare questa mia apatia perenne che mi porto dietro. E pensare che un tempo non ero così, un tempo ero un simpaticone, ma di quelli che fanno ridere davvero. Uno che c'aveva sempre la battuta pronta e che lo invitavano a tutte le feste, ma proprio a tutte. E fu a una di quelle che vidi Katia. Vi avevo promesso che ve ne parlavo no?

Lo scenario è quello solito: feste di diciottenni. Un modo come un altro di impiegare soldi che basterebbero a sfamare la propria famiglia per tre mesi. Ma i diciott'anni vengono una volta sola, si è maggiorenni solo da quel momento e si deve pur festeggiare. Invitando parenti, amici, amici degli amici, semplici conoscenti e anche qualcuno che si intrufola perchè tanto si mangia gratis. E si balla. Oh, se si balla. Si inizia con la musica tunz-tunz, quella che mai ho potuto sopportare, poi si passa ai balli di gruppo e si conclude con idiozie varie. Non mi esaltavano le feste, sinceramente, diciamo che ci andavo prevalentemente per due motivi: il cibo e le ragazze mezze svestite. Che poi manco ci parlavo, perchè mi intristivano. Alcune di loro si capiva dalla faccia che ci sarebbero state solo perchè era una serata di festa, e che al secondo bicchiere di vino avrebbero fatto tutto ciò che tu volevi ma domani, a scuola, non ti avrebbero nemmeno riconosciuto. E non sono mai stato un amante del sesso occasionale. Io ero per l'amore vero. Ah, come ero idiota da piccolo.

E quel 17 Novembre lo ricordo ancora oggi. Faceva freddo fuori, e si moriva dal caldo dentro. Se uscivo rischiavo di prendermi una polmonite, se rimanevo dentro con l'orda di ragazzini sudati rischiavo di vomitare per la puzza. Decisi per la polmonite: era una punizione più accettabile. Uscii dal locale e la guardai. Era lì, seduta su una panchina, che fumava una sigaretta con lo sguardo fisso sul vuoto. E lo sapete cosa accade in questi casi no? I palpitamenti, il cuore che sembra arrivare in gola, la salivazione eccessiva, le cose che avete sentito in duecento-trecento film melensi e romantici. Peccato che si scordino sempre un particolare, quello più importante: un'erezione disumana! Una di quelle che ti ricordi per gli anni a venire, quelle che ti fanno sembrare una bomba pronta ad esplodere e se mi permettete, cari e gentili pulzelle alla lettura, non è necessariamente un'esperienza positiva. Perchè alla lunga fa male, tanto male.

Ma non parliamo di anatomia perchè sennò dovrei stare giorni a dirvi di quanto lei fosse bella e di quanti pollastri le giravano intorno. E di come lei riuscisse a scacciarli via di malomodo in soli tre secondi. Era forte, Katia, era bionda, di media altezza, con quei capelli a caschetto che le illuminavano il viso reso splendido da quel fuorilegio di piccole lentiggini che si potevano ammirare decentemente solo da vicino. E io ci riuscii ad ammirarle, e come se ci riuscii. Lei era bella. Quella sera era venuta in jeans e maglietta, Nino D'angelo deve aver pensato a lei quando scrisse quella famosa canzone. Era normale ed era meravigliosa allo stesso istante. Il petto fioriva in un impulso di entusiasmo ogniqualvolta che respirava, i fianchi sembravano chiamarmi ad ogni sospiro, e quelle coscie, quelle coscie, erano il bollino di garanzia della donna perfetta. Lei era tutto, io ero niente, io la volevo, lei quando mi vedeva mi sorrideva, e fu così che la conquistai. Fu un mese di corteggiamente compulsivo. Ogni giorno la salutavo a scuola, la incontravo "per caso", le facevo piccoli regalini, le offrivo buoni per ore di studio gratuito col sottoscritto (eh sì, da giovani si è scemi, tanto scemi), e le dedicavo poesie, lettere e canzoni. E un giorno lei cedette. E diventammo una coppia. Una coppia che avrebbe condiviso tutto, forse troppo.

Nel mio ultimo anno di scuola lei era con me, e mi supportava ogni scelta facessi. Era il mio angelo, la mia gioia. Era intelligente Katia, forse troppo, a molti maschi avrebbe fatto paura, a me no. Ero contento del suo essere interessata alla realtà che ci circondava, e della sua scelta di fare l'università. Sapevo che lei valeva più di quanto pensasse. Sapevo che dovevo fare il triplo dello sforzo di un qualunque essere umano per tenerla ancòrata a me. Perchè così accade: un giorno ti svegli e ti senti impotente. Io pensavo che dovevo riempirla di regali per tenerla vicina, e mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo. Quando lavorai per l'azienda di mio padre, guadagnavo abbastanza per uscirci insieme nel fine settimana e anche in settimana, qualche volta, e mi sentivo felice. Poi persi il lavoro dato che l'azienda chiuse e iniziai a cercare altro. E si sa che seppur risparmi per dodici mesi ad un certo punto i capitali finiscono. E non sapevo come dirglielo. Ci raccontavamo tutto, io e Katia, ma di una sola cosa non riuscivo a parlarle: di soldi. Sapevo che lei era una ragazza con un'ottima famiglia alle spalle, con modeste quantità di denaro, sapevo che lei mi avrebbe sempre potuto aiutare, se fossi mai stato in difficoltà. E soprattutto sapevo quanto fosse una ragazza di poche pretese, che si pagava da sola le nostre uscite e che non aveva mai accettato che offrissi. Ma il maschio, purtroppo, si fa problemi dove non ce ne sono e io ero uno di quelli.

Avendo perso lavoro e disponibilità iniziai a cercare ovunque potessi. Ma gli impieghi più ricercati erano lontani dalla mia personalità. E fu così che entrai in quel giro dal quale oggi sono fuggito. Un giro che se ci entri in punta di piedi ti sembra il paradiso. Un giro che distrugge, però, tutto ciò a cui tieni.
Iniziai dal basso: dalle cose più semplici. La mia bravura nell'ammazzare le persone ancora non era venuta fuori. Quindi spacciavo. Davanti alle discoteche, davanti ai ritrovi abituali per ragazzi, davanti anche alle scuole. Ma avevo un mio codice: niente droga sotto i sedici anni. Lo dissi anche a chi mi trovò quel lavoro, si chiamava Gianni. Era bravo Gianni, disse che gli piacevano quelli con una loro personalità. Mi diede un bel pugno violento nello stomaco, il caro Gianni. Mi disse: vendila a chi vuoi ma voglio un minimo di 500 euri a settimana, sennò farai una brutta fine. Io glieli portai quei soldi, e anche di più. Tenendo fede al mio codice e tenendomi alla larga da luoghi troppo frequentati. Ci riuscii, con l'impegno e con la fatica, lavorando poche ore al giorno. Riuscii in poco tempo a farmi una rete di clienti abbastanza imponente. Peccato che tra di loro ci fosse anche lei: Katia.

Non so come ci entrò, e non oso nemmeno immaginare che possa essere stata colpa mia. Ma lei divenne ben presto una delle mie migliori clienti. Anche se da me non aveva mai comprato niente. Una sua amica veniva quasi sempre a rifornirsi da me, mai avrei pensato che quella roba sarebbe arrivata anche a lei. Mai avrei pensato che sarei stato io a rovinarle la vita. Mai avrei pensato che mi sarei sentito così male dopo.

Un giorno tornai a casa, la nostra casa. Sì, perchè nel frattempo ero riuscito a farmi un appartamento, piccolo e modesto, con lei. Era la nostra culla d'amore. Così la chiamavamo. Era il nostro nido di lussuria, così lo chiamavamo. Era la nostra tomba, così lo vidi poi. Un giorno, come vi ho già detto, tornai a casa e la trovai a terra, esanime. Chiamai l'ambulanza e venni a sapere che si faceva, tanto, tantissimo. La salvarono, per miracolo, ma la nostra vita da quel momento non fu più la stessa. Parlai con lei, le promisi che sarei cambiato, lei sapeva del mio lavoro, e lei mi promise che ne sarebbe uscita. Mentivamo entrambi. Io ero entusiasta della quantità di denaro che riuscivo a racimolare, lei era ormai sopraffatta dalla voglia di eroina. E iniziò a rifornirsi altrove. Bruciò i soldi della sua famiglia, bruciò la sua iscrizione all'università, bruciò la nostra storia perchè iniziò a trombarsi Gianni, il caro Gianni, per avere le sue dosi. E lui ci stava, mica fesso. Se la sbatteva ogni giorno e con molto gusto. Pur avendo perso un po' di peso, Katia era pure sempre una bella ragazza. E io soffrivo, in disparte. Perchè capii come andava la storia tra loro due, capii che ormai lei l'avevo persa, capii che non potevo farci assolutamente niente. E stare zitto a guardare il mio amore che moriva con lei.

E dall'alto mi arrivò un messaggio. Non dal cielo, chi c'è lassù sicuramente non mi ha mai considerato, intendo dall'alto in un altro senso. Un tipo che si faceva chiamare Sandro mi chiamò. Mi fece i complimenti per i miei introiti e mi chiese quando effettivamente dessi al caro Gianni ogni fine settimana. Gli diedi il mio resoconto mensile documentato, d'altronde ero pur sempre un ragioniere e non ero un coglione. Con alcune foto di quando gli davo i soldi, fatte da un mio collega. Lui mi propose una cosa che ancora oggi mi fa rabbrividire. E io accettai. Senza esitare.

Credo che avete capito di cosa si trattasse. Fu la mia mia prima volta. Fu difficile? Assolutamente no. Entrai in casa sua dopo che aveva appena finito di ri-trombarsi la mia ragazza, la donna che volevo sposare. Lei saltò dal letto ma cadde un istante dopo, era già strafatta. Biascicava parole del tipo "tu non c'entri, la colpa è mia, scusami" e robe del genere. Non ero lì per lei, o forse nel cuore mio sapevo che era solo per lei, ma decisi di far tacere la voce della mia coscienza. Dissi al caro Gianni che questo accade a chi pensa di fregare chi sta più in alto di lui. Lo colpii due volte sulla gamba destra e due sulla sinistra. Poi chiamai l'ambulanza da un telefono pubblico sotto casa sua. Si salvò, perchè così doveva accadere. Ma doveva imparare la lezione. Perdendoci le gambe, ovviamente. Non so che fine ha fatto, mi dissero solo che si era "ritirato", qualunque cosa volesse significare. Katia fu portata, di nuovo, in ospedale. Si curò, questa volta veramente. Non la vidi più dopo quella volta. Andò in comunità, ne uscì pulite e meravigliosa come era prima. E ora vive la sua felice vita non so dove e non so con chi. Almeno spero sia felice. Me lo auguro. Almeno lei. Per Katia tutto è iniziato e per Katia volevo che finisse, ma così non fu. Da lì iniziò la mia scalata e la mia caduta. Ma di ciò vi parlerò un'altra volta. Abbiate pazienza. Altri nove passi e finalmente sarò più libero. Attendeteli come si attende una cara persona che non si vede da troppo, troppo tempo.

3 commenti:

Cristina Insinga ha detto...

La storia continua e si fa sempre più avvincente! ;) 6 molto bravo, davvero! Bel racconto! Mi incuriosisce sempre di più!

luttazzi4ever ha detto...

Troppo troppo gentile! :)

Unknown ha detto...

Ha ragione Karma non vedo l'ora di leggere il seguito, ora che ho conosciuto Katia. Ciao

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