lunedì 31 dicembre 2012

Lunedì Botte_Dalla Cina con furore

 
 

Quarant’anni e non dimostrarli.
Perché che si voglia considerare l’anno di uscita a Hong Kong o quello in cui fu proiettato per la prima volta nelle sale cinematografiche italiane, la sostanza non cambia: Dalla Cina con furore è – e resta – uno dei capisaldi del cinema di arti marziali di cui nessuno può e deve fare a meno.
Uscito nel 1972 a Hong Kong e nel 1973 in Italia, per la regia di quel famoso Lo Wei il cui nome ricorderà di certo qualcuno di nostra conoscenza, il film ha per protagonista l’attore che forse più di tutti è associato al Kung Fu: Bruce Lee.
Sulla carriera cinematografica di Bruce Lee ci sarebbe tantissimo da dire. Dai suoi primi ruoli, avuti quand’era giovanissimo, ai successi ottenuti a Hong Kong: il percorso dell’attore – che unisce all’allenamento fisico un cammino interiore e personale – è sempre stato costellato di traguardi che ne hanno fatto una star di livello internazionale.
Il suo stile di combattimento, libero da qualsiasi classificazione e aperto verso qualsiasi tecnica (comprese quelle occidentali), lo ha reso uno dei punti di riferimento per tutti gli appassionati del genere. Agilità, velocità, forza e tonicità, unite a una ferrea disciplina interiore, sono le caratteristiche principali che lo hanno sempre contraddistinto.
Dopo numerosi film e numerosi ruoli in terra americana, è nel 1971 che Bruce Lee trova la via del successo mondiale: ottiene finalmente il ruolo di protagonista in due pellicole che segnano per sempre il ruolo delle arti marziali nel cinema: Il furore della Cina colpisce ancora e, un anno più tardi, Dalla Cina con furore.
Entrambi i film rientrano a pieno diritto nel filone gongfu¸ genere ad alto tasso di arti marziali e vendetta. Ed è proprio sulla vendetta che si basa Dalla Cina con furore.


 Siamo a Shangai, anno 1910, e i rapporti tra cinesi e giapponesi non sono propriamente rosei. La città è diventata una colonia in cui i giapponesi – visti come invasori – la fanno da padrone. La storia affonda le proprie radici in due eventi, il primo storicamente documentato e il secondo che si intreccia al mito. Ma entrambi, in egual modo, rendono perfettamente l’idea di quello che era il sentimento di rivalsa e di riscatto di cui il popolo cinese sentiva il bisogno.
Il primo, quello tristemente reale, si rifà al cartello apposto all’ingresso dei parchi pubblici in cui compare la scritta “Vietato l’ingresso ai cinesi e ai cani”; il secondo, più legato al mito, riguarda la morte del maestro di arti marziali Huo Yuanjia.
Morte di cui vengono accusati i membri di una scuola di karate. Giapponesi, appunto, uomini capaci di profanare il funerale del maestro portando in “dono” un cartello con su scritto “Cinesi marionette dell’Asia”.
Facile capire, già da questi pochi frammenti di storia, come nel film la contrapposizione tra i due popoli venga osservata assumendo una posizione chiara, in cui il punto di vista si sposta completamente sulla soggettiva del popolo cinese. I karateki giapponesi non sono soltanto gli usurpatori, ma sono coloro che dissacrano uno dei momenti più importanti e dolorosi della scuola con un atto oltraggioso e gratuito.
Ma c’è un problema, almeno per loro. Un problema che si chiama Chen Jeh , il campione della scuola. Chen, interpretato da Bruce Lee, vuole rendere giustizia al torto subito con una replica che lascia adito a pochi dubbi. In una scena che è diventata leggendaria, in un combattimento con tanto di nunchaku  e che vale assolutamente la pena vedere.


 

In un certo senso, è proprio lui a dare inizio alla spirale di violenza che si scatena subito dopo. I karateki, punti sul vivo, rispondono con  una rappresaglia in cui a rimetterci sono gli allievi della scuola, quei fratelli – come lui stesso li definisce – per cui Chen aveva combattuto. Sotto questo punto di vista, la figura di Chen è tratteggiata con caratteristiche che lo collocano su una pericolosa linea di confine. Non esiste una distinzione netta: il personaggio interpretato da Bruce Lee è un eroe che sì è dalla parte dei buoni, ma che cerca la vendetta con metodi non sempre eticamente corretti. Le sue scelte sembrano essere dettate più dall’istinto che dal raziocinio, comportamento che lo porterà a diventare un fuggiasco ricercato non solo dai proprio amici ma anche dalla polizia.
Ma poco importa. Chen rappresenta lo spirito della vendetta, finalmente la riscossa nei confronti dei mille soprusi subiti dal popolo cinese. La violenza è la risposta più diretta – e in un certo senso genuina – a chi punta a sconfiggere l’avversario mediante sotterfugi e inganni. Perché come si scopre circa a metà del film, a uccidere il Maestro Huo Yuanjia sono stati proprio i membri della scuola rivale. E perché, in un certo senso, quando Chen prende a calci e distrugge il cartello con su scritto “vietato l’ingresso ai cinesi ai cani”, in realtà è un intero popolo che lo sta distruggendo con lui.
I combattimenti rendono perfettamente il senso di questo scontro ideologico. Dal primo e già citato combattimento con il nunchaku alla sfida contro la katana del Maestro Suzuki, passando per la lotta tra gli allievi nella scuola di arti marziali allo scontro con il campione russo Petrov. La spettacolarizzazione della lotta, cui Bruce Lee ha sempre tenuto, viene esaltata non solo dagli scontri che vedono coinvolti il protagonista, ma anche in quelli corali che assumono i toni di vere e proprie coreografie.
La scena finale, in cui Chen si consegna alla giustizia tra la folla che lo acclama come eroe, è una sintesi perfetta di quello che rappresenta il personaggio di Lee. Il riscatto del protagonista, che si sacrifica per i propri fratelli e per la donna che ama, avviene con una coerenza perfetta rispetto a quanto mostrato finora: Chen non subisce passivamente, ma si consegna alle forze dell’ordine lanciandosi in un calcio a mezz’aria su cui si concentra l’ultima zoomata del film. La pellicola finisce  così, senza mostrarci l’eroe “sconfitto”. Perché il Furore della Cina non è stato battuto, e forse in un certo senso non si è mai consegnato alla polizia. E’ sempre rimasto lì, a mezz’aria, proteso in un calcio che travolge tutto come una furia.





E ora la domanda cruciale? Long Wei avrebbe potuto interpretare il ruolo di Chen?
Ovviamente sì. Perché lo stile di combattimento di Bruce Lee – e quindi dei suoi personaggi – è libero, basato sulla velocità e sull’agilità. Proprio come quello di Long Wei.
Perché Chen è assetato di vendetta, e fa del suo meglio per aiutare i più deboli. Proprio come Long Wei.
Forse Long Wei non arriverebbe ai metodi drastici di Chen, ma si tratta puramente di una questione di forma. Nella sostanza, i due si assomigliano. E anche parecchio.
 

Dalla Cina con furore
Di: Lo Wei
Con: Bruce Lee, Nora Miao, James Tien, Maria Yi, Robert Baker, Riki Hashimoto.
106 minuti.
Hong Kong, 1972
 

Appuntamento con Lunedì Botte tra una settimana sul blog di Stefano per la recensione di Hero!
 

5 commenti:

Leonilde ha detto...

Questa bella recensione mi fa quasi venire voglia di vedere il film!

DjJurgen ha detto...

Ti ringrazio, in effetti il film merita davvero... recuperalo, se ne hai occasione!

Leonilde ha detto...

In effetti è un film che difficilmente si ha occasione di vedere... Ad esempio non lo passano mai in tv, chissà perchè... E nessuno propone mai 'Dai, vediamoci dalla Cina con furore!' ...

DjJurgen ha detto...

Be', dipende anche dalla compagnia giusta, in effetti. Non tutti sono sempre propensi a "tuffarsi" in film del genere, forse reputandolo semplicisticamente un film "di arti marziali" e basta... in realtà, come ho cercato di spiegare con la mia modestissima recensione, i temi affrontati sono molteplici e c'è spazio anche per il sentimento (che, come si sa, non guasta mai)! Sono contento di averti invogliata a guardare il film, magari potrai essere proprio tu quella che, nella tua compagnia di amici, ne proporrà la visione! ;)

Leonilde ha detto...

Mi armerò di coraggio e lo proporrò! Secondo me però se avessero scelto un altro titolo sarebbe stato più attraente come film! Per esempio potevano intitolarlo: "Dov'è Chen?" oppure "Che fine ha fatto Chen?" oppure "I lampioni di Shanghai". Suonano meglio!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...