giovedì 28 giugno 2012

Strade alternate


(La storia che segue è la seconda parte del racconto qui presente ma si divide in due storie alternate, come se la strada intrapresa dalla protagonista si dipanasse in due vie completamente differenti, ma con alcuni punti in comune. Ovviamente proseguirò la storia in questi due diversi modi. Buona lettura)

Il mattino dopo Rachele non era per niente radiosa, come ormai succedeva da molto tempo a questa parte, e gli avvenimenti della sera precedente avevano solo ulteriormente rovinato la situazione. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno con cui condividere i suoi dubbi, le sue incertezze, i suoi dolori. Subito il dito scorse nella rubrica del cellulare un nome che non chiamava da tempo, senza pensarci troppo cliccò il pulsante verde, dall'altro capo una voce rispose.
Era lui.
Vivo, all'apparenza. Assonnato, di sicuro. Ma era lui.
"Papà?"
"Rachele! Dove sei, piccola mia dove sei?"
"Sono in città, papà. Sono disperata. Ho assolutamente bisogno di te."
"Il bambino?
"No. Lui sta bene. Sono io che sto...come fai a sapere del bambino?", chiese, un po' spaventata.
"So tutto piccola mia, Giacomo me ne ha parlato prima di andare."
"Andare dove? Come fai a sapere di lui? Dov'è adesso, quando ho bisogno di lui più di ogni altra cosa al mondo?"
"E'...non avrei dovuto dirtelo. E' lontano. Ma tornerà."
"Dov'è?", la sua voce aumentò di volume.
"Non posso dirterlo. L'ho promesso."
"Papà, sono tua figlia. Sono sola. Sono disperata. Devo sapere dov'è e come fare per raggiungerlo.", singhiozzava ormai.
"Non puoi raggiungerlo. Non potrai almeno per i prossimi tre mesi. Poi tornerà. E scusami, ma ora ti vengo a prendere e ti riporto a casa.
"Papà?", il telefono si staccò. Quella telefonata le aveva solo messo in testa dubbi ancora più grandi. Non sapeva che fare in quel preciso istante. Si maledì per non aver mai voluto avere un benchè minimo aiuto dalla sua famiglia in passato, o dai suoi amici, quelli che ormai ha perso fuggendo dal paese. E alimentando le male lingue del luogo. Ora doveva fare una scelta, una sola semplice scelta: chiamare il suo capo ed accettare quel lavoro. O maledirlo. Lui e il suo dannato manager, quello che le aveva proposto l'affare, quello di cui non sapeva nemmeno il nome di battesimo.

Passò mezz'ora stringendo il telefono nella mano destra. Ci provò dieci volte a chiamare, ma staccò sempre un attimo prima che la chiamata partisse. Si convinse che in vita avrebbe potuto perdere tutto ma mai la dignità. E poi suo padre stava arrivando da lei per salvarla, così come faceva da piccola quando, dopo un brutto sogno, lui entrava nella sua stanza, la prendeva in braccio e la cullava facendola sentire finalmente protetta.

Aveva tanto bisogno di quell'abbraccio.
"Papà...quando arrivi?", disse, mentre abbracciava il cuscino e si trascinava in un lungo oblio senza sogni.

(2-Continua)

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Il mattino dopo Rachele non era per niente radiosa, come ormai succedeva da molto tempo a questa parte, e gli avvenimenti della sera precedente avevano solo ulteriormente rovinato la situazione. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno con cui condividere i suoi dubbi, le sue incertezze, i suoi dolori. Subito il dito scorse nella rubrica del cellulare un nome che non chiamava da tempo, senza pensarci troppo cliccò il pulsante verde, ma staccò immediatamente la chiamata. Non era ancora giunto il momento di ricongiungersi ai suoi, non dopo quello che era accaduto con Giacomo, non dopo che tutto il suo paese d'origine aveva iniziato a millantare notizie e atroci bugie, sulla sua scomparsa. Rachele si sentiva sola, in quel preciso istante, come se tutta la sua vita non fosse stata nient'altro che un viaggio senza accompagnatori. Guardò il suo appartamento, fissò i muri, le incrostazioni sul soffitto e le gocce che cadevano da esso. E capì che era giunto il momento di cambiare. La sua dignità stava morendo man mano, ormai non c'era più speranza di ricominciare. L'unico modo era quello di distruggersi l'anima.
E così fece. Chiamò il manager senza far trasparire alcuna minima emozione. Lui rispose entusiasta, con l'aria di chi sapeva perfettamente che alla fin fine avrebbe accettato la sua proposta. L'appuntamento sarebbe stato per il giorno dopo, ore 10 e 30, nell'ufficio del direttore.

"Dieci e trenta? Non è un po' troppo tardi?"
"Cara mia, solo i disperati si svegliano alle 7, o addirittura prima. Lei non fa più parte di quella categoria. Lei ora è parte dell'elitè", le annunciò, diventando quasi gentile per la prima volta da quando l'aveva conosciuto.
"Allora ci vediamo domani. Sarò da voi puntuale."
"Non si preoccupi, ci sarà una macchina sotto la sua dimora alle dieci, all'interno troverà una ricca colazione per lei e per il suo bambino...", in quel momento Rachele aveva persino dimenticato di avere una vita dentro di se, "deve essere in forma, noi vogliamo solo il meglio per le nostre collaboratrici. Ora la saluto che torno in riunione. A domani".
"A domani", mentre attaccava la conversazione comprese che il tono della chiamata era molto cambiato dalla giornata precedente, e che il ragazzo era diventato estremamente gentile. Aveva pure usato il "lei". Si sentiva quasi onorata, in quell'istante, di essere cresciuta di grado. Onorata. E si ritrovò a sorridere. Qualche minuto dopo si alzò dal letto con decisione e si buttò anima e corpo nella scelta del vestiario per il giorno dopo. Voleva assolutamente fare bella figura.
E l'avrebbe fatta. Ne era sicura.

(2-Continua)

1 commento:

Carmensì ha detto...

Meglio la prima versione sisi:P Solo cose belle alla touch*_*

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