venerdì 23 maggio 2008
La prova del vulcano
Da qualche mese sto frequentando un corso di sceneggiatura che comprende anche un (mini)corso di scrittura creativa. In una di queste lezioni ci hanno spiegato che, tra i tanti metodi da usare per sviluppare nuove idee, c'è quello di accostare due parole prese a caso (magari suggerite da qualcuno) e fonderle in un racconto che le comprenda entrambe. Le due parole che mi sono capitate a lezione sono state "vulcano" e "semplice", da cui sono partito per una storiella molto banale ma che in ogni caso mi è servita per smuovermi dall'apatia che ho in questo periodo. Buona lettura!
(p.s. se non altro, per la gioia di Lutty, qui non c'è il "to be continued" :P )
Nella piccola capanna, l’aria si faceva sempre più pesante. Il tempo, scandito dal respiro affannato della piccola Lena, sembrava non passare mai. Le ombre della notte si allungavano sempre più cupe, e scendevano implacabili sul magro contorno della ragazza addormentata. Da qualche giorno, infatti, una violenta febbre aveva colpito il suo grazioso corpo, rendendolo quasi irriconoscibile. Il corpo, ansimante e scarnito, spesso era scosso da terribile scariche che la facevano scuotere dolorosamente.
Erich la osservava in silenzio, il volto rigato da lacrime di paura e di speranza, le mani intrecciate in una preghiera che gli era ancora sconosciuta. Forse il suo dio non poteva ancora ascoltarlo, forse Lena sarebbe morta lo stesso, ma Erich continuava a vegliare sulla ragazza come solo una persona innamorata può fare. Si chiedeva come mai proprio lei, la figlia del capo del villaggio, fosse stata condannata a tutto quel dolore e come mai le preghiere del padre non erano state ascoltate dalle loro divinità.
Ancora poche ore, pensò Erich, ancora poche ore e il nostro dio ascolterà anche me, Lena, e le mie supplica si uniranno a quelle di tuo padre. Lo farò per te, ti aiuterò a guarire e vivremo per sempre insieme.
Era solo un ragazzo, Erich,ma aveva fretta di diventare uomo. Voleva farlo per lei, solo per lei, la sua piccola Lena, la bambina che aveva conosciuto sul dorso di quello stesso vulcano che da lì a poche ore l’avrebbe legato a lei per sempre.
Da quanto tempo era lì, in quella capanna, a vegliare su di lei? Minuti, ore, forse giorni, non lo ricordava più. Quando era con lei il tempo sembrava non contare nulla, ed era come se si trovassero in un mondo tutto loro dove niente e nessuno poteva ferirli. E quando aveva saputo della malattia di Lena, Erich aveva capito che la loro invulnerabilità era solo uno stupido desiderio con cui la realtà aveva deciso di farli scontrare. Così il ragazzo aveva accettato la sfida, rimanendo vicino alla sua amata dall’inizio, senza separarsi neanche per un istante da lei, interrompendo senza esitazioni il duro allenamento a cui si stava sottoponendo. In quei giorni Erich avrebbe dovuto prepararsi per affrontare la terribile prova di iniziazione che lo avrebbe fatto eleggere nuovo capo del villaggio. La prova consisteva nel calarsi all’interno del vulcano ed affrontare un terribile labirinto, cercando in tutti i modi di sopravvivere. Solo in questo modo, diceva lo Stregone del villaggio, si poteva dimostrare di avere le doti per diventare il capo indiscusso. Erich lo sapeva bene, e per questo aveva deciso di allenarsi duramente per superare le prove. Ma poi era sopraggiunta la malattia di Lena, e tutto era cambiato. Non esisteva più nessuna prova, nessun vulcano, nessun titolo o responsabilità: l’unica cosa per cui valeva la pena di continuare a vivere era lì, in quella stanza, scossa da fremiti che non le davano pace. E più si convinceva di aver fatto la scelta giusta, più aveva paura. Più consumava tutte le sue energie per pregare, più capiva che solo superando la prova avrebbe potuto diventare un uomo saggio, un uomo degno di essere ascoltato. Avrebbe voluto tanto poter riuscire dal vulcano da vincitore, prendere il posto del padre di Lena e avere il potere di farla guarire. Ma sapeva benissimo che, anche se la salvezza di Lena non dipendeva da lui, il destino di capo del villaggio era tutto nelle sue mani, e si sarebbe deciso tra pochissimo.
Erich aspettava in silenzio che il padre di Lena venisse a prenderlo per portarlo dalla capanna al centro, dove poi, seguiti dalla popolazione, avrebbero preso la strada per il vulcano.
Lena, come se avesse seguito i pensieri di Erich, ebbe un altro, terribile scossone, poi tornò al suo respiro affannato. Erich si alzò di scatto dal pagliericcio su cui era seduto, osservò preoccupato la ragazza, poi cominciò a camminare nervosamente per la stanza. Se avesse potuto, sarebbe uscito di corsa dalla capanna per raggiungere il prima possibile il vulcano, senza dover aspettare ancora.
Ma la sua attesa era finita. Il capo del villaggio era appena arrivato a prenderlo.
Era un uomo dall’aspetto fiero e maestoso, dai lineamenti induriti per il passare del tempo e per le avversità che la natura gli aveva riservato. Guardava Erich con aria severa, fissandolo con i suoi occhi di fuoco, senza degnare il minimo sguardo al pagliericcio in cui giaceva sua figlia. Era come se la ragazza, in quel momento, per lui non esistesse.
“Sei pronto, ragazzo? E’ giunto il momento della tua iniziazione… ” gli chiese poi con tono solenne.
Erich rispose al suo sguardo cercando di mostrarsi più forte di quanto in realtà non fosse in quel momento. Si voltò verso Lena, a fissare il suo corpo febbricitante sempre più pallido, per cercare quel coraggio che non aveva ancora trovato. Si avvicinò alla sua fronte e, chiudendo gli occhi, la baciò sulla fronte. Quando si rese conto di aver baciato la figlia del villaggio davanti al proprio padre, capì che in quel momento era riuscito a trovare tutta la forza di cui aveva bisogno per diventare uomo. Si voltò verso l’uomo alle sue spalle e, fissando deciso i suoi occhi, gli rispose: “sono pronto, andiamo…”.
Lungo la strada che conduceva dalla capanna al centro del villaggio, Erich osservava rapito l’uomo che si trovava davanti a lui. Era incredibile quanta eleganza trasparisse dai suoi gesti e dai suoi movimenti, quanta forza si potesse scorgere in quel portamento così fiero e nobile. Era come se nulla potesse scalfirlo o turbarlo, come se nessun umano potesse penetrare in quella corazza di muscoli e autorità. Neanche la scoperta della malattia che aveva colpito sua figlia, sembrava averlo turbato. Chiuso nel suo silenzio, si era rifugiato sempre più in se stesso, chiudendosi in un silenzio che nessuno nel villaggio sapeva come interpretare. I più erano convinti che stesse pregando, altri che stesse solo manifestando il suo dolore, altri che considerava la malattia come un segno divino.
La verità, credeva Erich, era che il suo silenzio non aveva di certo aiutato la degenza di Lena. Non aveva mai vegliato su di lei, e le uniche volte in cui era venuto a visitarla era solo per accompagnare lo stregone alla sua capanna. E così Erich aveva deciso di sostituire la sua figura, di fare quello che avrebbe dovuto fare lui, e di vegliare sulla ragazza anche a costo di compromettere i suoi allenamenti per superare la prova del vulcano.
Erich alzò di scatto la testa, quando si accorse che il capo del villaggio lo stava fissando con sguardo severo:
- Spero che tu ti sia allenato abbastanza… - gli disse, quasi leggendo i suoi pensieri.
- Io…spero che i miei allenamenti possano bastare…da quando Lena si è ammalata sono rimasto sempre accanto a lei - rispose Erich, a testa bassa.
- Un capo del villaggio non dovrebbe lasciare che i sentimenti diventino più importanti del proprio cammino di condottiero - replicò duro l’uomo - ma ora basta parlare, stiamo per arrivare al centro del villaggio…e da quel momento in poi il rito dovrà essere compiuto in perfetto silenzio.
Dette queste parole, si ammutolì. Erich fece lo stesso, accorgendosi che sempre più abitanti si stavano accodando a loro. C’erano tutti: uomini, donne con in braccio i loro piccoli, bambini incuriositi e impressionati da quel lugubre silenzio. Tutti camminavano accanto a loro, gettando occhiate di incoraggiamento a quel ragazzino che un giorno sarebbe potuto diventare il loro capo. Poi il corteo passò davanti ad una capanna più grande, dalla quale uscì solenne lo stregone del villaggio. L’anziano, ricoperto dalla pelliccia di un giaguaro e da un copricapo a forma di teschio di bue, si affiancò al capo del villaggio, e guidò con lui il corteo sul dorso del vulcano.
Lentamente, il corteo arrivò sulla cima del vulcano. Lassù la temperatura era insopportabile: dal cratere uscivano di getti di vapore sulfureo, che, seguiti da piccoli spruzzi di lava, rendevano la temperatura altissima. Erich si avvicinò al bordo del cratere, osservando terrorizzato ciò che lo aspettava una volta sceso dalla piccola scaletta in legno che avrebbe condotto nelle profondità del vulcano: lì sotto, si nascondeva un vero e proprio dedalo di scale e ponti di pietra, intervallati da anelli infuocati e stretti passaggi in cui le fiamme si alternavano a brevi intervalli di tempo. Poi, alla fine di questo percorso, un lungo ponte di legno conduceva verso il centro della terra.
Erich osservava quello spettacolo con un misto di stupore e di paura: da una parte non riusciva a credere come altri uomini prima di lui avessero potuto costruire tutto quello, e dall’altra sentiva che la forza che aveva trovato quando aveva baciato la piccola Lena, stava scomparendo del tutto per lasciare il posto al terrore e alla disperazione. Dalle sue spalle, le parole del capo del villaggio lo distolsero ancora una volta dai suoi pensieri:
- Il momento è giunto, ragazzo…dovrai calarti nel centro del vulcano e affrontare il labirinto e le sue trappole. Se ci riuscirai, dovrai percorrere il lungo ponte che ti porterà verso il centro del vulcano; lì troverai delle piccole bombe che dovrai gettare nella lava. Stai bene attento allo scoppio delle bombe, perché la loro esplosione provocherà l’eruzione del vulcano. Quello sarà il segnale che ci farà capire che sei arrivato fino in fondo. Ma se non riuscirai a fare lo stesso percorso all’indietro, vorrà dire che hai fallito proprio dove un grande capo non dovrebbe fallire: sarai caduto, ma non sarai riuscito a rialzarti. E ora va, che la prova abbia inizio.
Detto questo, si avvicinò ad Erich, e posandogli una mano sulla spalla, lo condusse fino alla scala in legno che scendeva nelle profondità del vulcano.
Mentre scendeva, Erich sentiva il cuore battergli in gola. Dal basso sentiva vampate di fumo che gli salivano fino agli occhi, facendolo lacrimare per il bruciore; il suo corpo diventava sempre più pesante, colpa di un’aria sempre più rarefatta; le sue mani, sempre più sudate, rischiavano di fargli perdere la presa ad ogni piolo a cui si aggrappava . Guardò in alto, verso quel cielo così terso che ormai sembrava solo un ricordo. Ripensò alla piccola Lena, alla sua malattia, ai giorni felici che avrebbero vissuto se lui avesse superato quella prova. Si fece coraggio, rinsaldò bene la presa e scese sempre più velocemente fino ad una piccola superficie all’interno del vulcano.
Si trattava di un piccolo lembo di terra da cui, attraversando il labirinto, si scendeva sempre più nelle viscere di quell’inferno. Erich chiuse gli occhi, recitò una personalissima preghiera, e poi iniziò la sua discesa verso l’abisso.
Le mille insidie di quel labirinto erano state costruite in modo che chi le avesse affrontate avrebbe dovuto far ricorso a tutta la sua forza fisica e alla sua prontezza di spirito per arrivare fino in fondo. Erich, nonostante non si fosse allenato quanto avrebbe voluto, cercò di fare del suo meglio. Attraversò i ponti di pietra più velocemente possibile, superò i cerchi infuocati, evitò le trappole disseminate, continuò a correre come un forsennato per tutto il percorso senza voltarsi mai, guardando sempre in avanti con tutti i cinque sensi bene all’erta e aggrappandosi al pensiero di Lena. Si accorse che ormai mancava poco al ponte di legno, che gli mancavano poche prove per diventare un uomo. Finalmente, dopo aver evitato un altro potente getto di fuoco, Erich si trovò sul ponte. Cominciò a percorrerlo lentamente, per saggiare la sua resistenza. Si accorse che, per sua grande sfortuna, il ponte era traballante e che alcune assi erano quasi del tutto marce. Camminando lentamente, sarebbe stato facile attraversarlo; ma una volta al ritorno, quando bisognava fare in fretta, il ponte avrebbe costituito un serio pericolo. Erich iniziò ad attraversare il ponte, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi. Aggrappato come meglio poteva alle logore funi che lo delimitavano, il ragazzo cercava di tenere bene a mente il percorso compiuto, in modo da essere agevolato al ritorno. Ad un certo punto, proprio quando si era fermato su un’asse per ricontrollare il proprio percorso, si accorse che il legno sotto i suoi piedi stava cedendo. In preda al panico, Erich si aggrappò con tutte le sue forze alla fine, stringendola più che poteva. Avrebbe tanto voluto mettersi a correre all’impazzata fino alla fine del ponte, ma non poteva. Doveva muoversi delicatamente, sperando che l’asse non cedesse. Alzò un piede, per spostarlo lentamente in avanti, ma proprio in quel momento, a causa del peso buttato tutto sull’altra gamba, l’asse crollò. Erich sentì la sue gambe scivolare nel vuoto, il caldo e la debolezza impadronirsi del suo corpo. Strinse con più forza le due corde, sperando che almeno loro reggessero. Ma un rumore, vanificò le sue speranze: si accorse che una delle due funi si stava cominciando a sfilacciare sempre di più, e che la corda diventava sempre più sottile. Chiuse gli occhi con forza, per evitare di guardare. Poi cominciò a inspirare ed espirare, per cercare di ritrovare quella lucidità che aveva perso. Ma sapeva benissimo che ormai era arrivata la fine. Ripensò alla piccola Lena, alla sua famiglia, ai suoi amici che non avrebbe più rivisto. Iniziò a pregare, sperando che qualcuno da lassù, avendo assistito alla sua prova compiuta a metà, lo ascoltasse. La corda si sfilacciò completamente, strappandosi bruscamente e facendo crollare la sua mano nel vuoto. Erich si accorse che lacrime profonde stavano rigando il suo volto, mentre il suo corpo diventava sempre più pesante. Sospeso nel vuoto, Erich sentì che anche l’altra mano stava lentamente cominciando a cedergli.
Ma, all’improvviso, quando tutto sembrava ormai perduto, sentì una potente mano stringere il suo braccio. Guardò in alto e, con sua grande sorpresa, vide che ad averlo afferrato era stato il capo del villaggio!
- Tieni duro, ragazzo, adesso ti tiro su - gli urlò l’uomo, facendo ricorso a tutta la sua poderosa forza.
Erich, a quelle parole, ritrovò tutto il vigore che i suoi muscoli avevano perso e, grazie alla spinta del capo del villaggio, si issò con forza fino a mettersi in salvo.
-Stai bene? - gli chiese l’uomo con un sorriso.
- Sì…sì…credo di sì - rispose Erich, ancora incredulo per quanto era accaduto
Il suo salvatore continuava a guardarlo sorridente
- Allora preparati a correre, ragazzo!!! - strillò, e detto questo estrasse dalla sua cintura una piccola bomba che si affrettò a gettare nel vuoto.
In men che non si dica, dal centro del vulcano cominciarono a risalire potenti getti di fuoco, che di lì a poco tempo avrebbero causato l’eruzione che avrebbe informato tutti della riuscita dell’impresa di Erich.
-Ma…perché mi ha salvato? Io ho fallito la mia prova, non sono degno di diventare capo del villaggio” disse Erich, mentre i due ripercorrevano il labirinto fino alla sua uscita
Il capo del villaggio si fermò, stringendo le mani sulle sue spalle e guardandolo dritto negli occhi:
“tu hai dimostrato di essere migliore di qualunque altro capo: hai vegliato su una donna malata, hai pregato per lei, hai preferito la forza del tuo cuore a quella dei tuoi muscoli. Oggi, subito dopo averti lasciato, sono tornato nella mia capanna, e Lena era in piedi, piangendo perché non aveva potuto salutarti. E’ guarita, Erich, e solo grazie a te…hai dimostrato di essere un uomo, e nessuna prova di coraggio potrebbe farti diventare più forte o più saggio di quanto tu già non sia. Complimenti, ragazzo, da adesso sei diventato il capo del nostro villaggio.
Erich non sapeva cosa rispondere, guardò commosso l’uomo che l’aveva salvato e, prima di riuscire a pronunciare qualsiasi parola, un potente getto di lava li avvertì che il vulcano aveva deciso che era giunto il momento di festeggiare il nuovo capo del villaggio.
Con il cuore in gola, i due uomini riuscirono a risalire la scala che li avrebbe condotti verso la superficie, proprio un attimo prima dell’eruzione. I due si buttarono per terra, il respiro affannato e il corpo bruciato dal calore del vulcano. Il capo del villaggio sorrise a Erich, poi, quando si accorse che dal villaggio stavano già cominciando a giungere i primi abitanti, riassunse la sua aria severa e solenne che era solito mostrare in pubblico.
Erich lo guardò ricco di ammirazione, ringraziandolo per la lezione che gli aveva appena dato. Era diventato un uomo grazie al suo cuore, e non credeva sarebbe stato così semplice.
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2 commenti:
Non male, scorre bene anche se non è sta gran cosa eccezionale. Ho sperato in un finale non a lieto fine ma niente da fare...sei troppo ottimista da un pò a sta parte. Chissà perchè!!!
Ma un bel "To be continued" no eh? Dà un tocco in più al racconto!
Giovane, guarda che doveva finire con la parola "semplice" !! Come avrei fatto a conciliare questa parola con un finale non a lieto fine? Secondo me doveva finire per forza così...
Poi hai ragione sul fatto che non è nulla di eccezionale, ho cercato di puntare tutto sul ritmo, e se mi dici che ci sono riuscito, mi fa davvero piacere! Poi si trattava solo di un esercizio che non aveva nessuna pretesa se non quello di farmi esercitare, quindi va bene così!! Per il resto...ci vediamo a Manziana! (spero) :P
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