lunedì 12 luglio 2010

La leggenda di Mang'isse - 4° Puntata



E poteva mai mancare la puntatina odierna della saga meno commentata del mondo? Ovviamente no. Magari c'è un botto di pubblico non commentante che aspetta solo l'interimento delle avventure stralunate del duo di eroi. Può essere, come può essere il contrario. Comunque buon divertimento.

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Capitolo Quarto
“Vita e miracoli di un povero sfigato”

Il conte Carlo della Gherarda di Scotti di Riso, principe della contea dei Calvi, ambasciatore in terra degli Stalker, non ebbe vita facile prima di conoscere Mang’isse e buttarsi nell’avventura. Aveva sempre avuto, attorno a sé, una strana aurea che molti chiamerebbero “destino” e taluni chiamano “sfiga” toccandosi un punto ben nascosto del proprio corpo. Il conte Carlo non nacque con codesto nome lunghissimo, appena venuto al mondo era un semplice figlio di contadini. Suo padre,tale Elevato alla Seconda, però, era un individuo avido, tirchio e desideroso di denaro. Aveva una strana concezione dei bambini e della vita: pensava ancora che codesti crescessero sotto dei cavoli, infatti non ebbe mai nessun contatto fisico con la madre di Carlo, indi, conseguenza logica, il padre del piccolo pulzello altri non è che il bracciante che aiutava la famigliola di contadini. Comunque il padre “ufficiale”, il signor Elevato, vendette il piccolo ad una nobildonna che, di par suo, rivendette il neonato alla principessa degli Stornelli, una donna molto abituata a cantare e intonare odi a qualunque pennuti del paese, per la gioia di tutti i ragazzi dai sedici anni in su. Peccato che, appena la sua genitrice adocchiò il bambino, iniziò una ricerca al padre del suddetto che vide la fuga di due terzi della popolazione maschile del luogo verso lidi migliori. Intanto il povero Carlo, che per ora ancora non aveva nome ma solo volgari epiteti come “Coso”, “quello lì”, “il Merolone” o addirittura “Mengacci”, per via della pelata, veniva passato di mano in mano. Infatti la principessa degli Stornelli fu costretta a separarsi dall’infante, codesto passò per le mani di un avido affarista, ovvero di nuovo il suo padre ufficiale, il signor Elevato alla Seconda, che lo ritrovò sotto un cavolo e fu ancora più convinto della sua ipotesi. Elevato donò, dietro adeguato compenso, il piccolo nelle calde ed amorevoli braccia di Mamà Sartèn, una gentile e procace signorina che tanto desiderava un cucciolo di umano da coccolare. La ragazza era la promessa sposa del principe Marc’Antonio della Gherarda, conoscitore della grandezza dei Maestosi, fratello di sangue della tribù degli Indiani D’India (anche loro amano la specificazione), gran cerimoniere dell’amore animale e amante ufficiale, in gran segreto, del Re Salvo La Faccia. Un sovrano molto amato dai suoi sudditi che sposò, per salvarsi la faccia, la principessa degli Stornelli, per la gioia di tutto il reame. Il piccolo finalmente fu battezzato Carlo etc etc, che è il nome con cui i suoi amici d’infazia lo chiamavano. Il giovane crebbe nella felicità fin quando non scoprì suo padre in atteggiamenti intimi con il Re e sua madre in atteggiamenti intimi con il bracciante della famiglia del signor Alla Seconda. Quest’ultimo, tale Massimo Piacere, lo continuava a chiamare “figlioletto”, per non si sa qual motivo. Questi due traumi rovinarono così tanto l’infanzia al nostro Carlo da crearsi un mondo tutto suo. Dove lui era l’eroe, lo scudiero, l’antagonista, il mostro, il paesaggio e anche l’inserzione pubblicitaria tra una storia e l’altra. Tutto ciò durò fino all’età di ventidue anni quando accadde ciò che accadde.

In quei tempi il Re era cambiato, al posto del precedente c’era uno dei figli di Salvo la Faccia, il piccolo Mario che, per dirla tutta, era sicuramente un erede della principessa degli Stornelli(così come gli altri dodici), ma c’erano molti dubbi sul padre. Forse quel piccolo particolare di carnagione, scura come la pece il figlio e bianca come il latte il padre, aveva portato a dei ragionevoli quesiti. Comunque il nuovo sovrano era amato, anch’esso, da gran parte della popolazione. Aveva un nonsochè che spingeva tutti a volerlo bene. Sarà stato quel sorriso da uomo vissuto o magari quel suo delicato divertimento di trucidare chiunque non sorridesse, a farlo diventare uno dei Re più conosciuti e apprezzati dell’intero globo. Durante la gaiosa reggenza del piccolo Mario, Carlo degli Impauriti iniziò, senza accorgersene, a parlare in modo strano in casi in cui era impaurito o sotto pressione. Memorabile fu quando venne frainteso dal fabbro di corte, dato che l’apostrofò con un “Lei ha un attrezzo di grande potenza. Potrei provare a maneggiarlo davanti alla sua persona?” riferendosi al martello pesante con cui il lavoratore operava, ma ricevendo in cambio cinque punti di sutura sulla fronte dal nerboruto omaccione. E da ricordare fu il suo saluto alla Principessa Ninfa Splendente, quando fece visita al suo castello, e il povero Carlo la salutò con un “Saluti a te, piccola dea. Al sol vederti, dopo tanto tempo, ho preso in questa mano la mia mazza e son venuto testè a fartela ammirare”. A nulla valse il tentativo del giovane per far notare che, effettivamente, aveva la sua lancia da torneo con sè, la scorta della deliziosa signorina gli crollò addosso in un nanosecondo. I conseguenti dieci giorni tra la vita e la morte in un letto gli fecero capire di imparare a contare fino a cento prima di parlare. Era pur giunta l’ora!

Il caro Carlo purtroppo aveva ancora un altro problema: si innamorava sempre di casi disperati. Un giorno era preso per una nobildonna che lo odiava, il giorno dopo cercava amore da una contadinetta che lo voleva impiccare, e un altro giorno ancora veniva arrestato perché spiava la procace Contessa dei Meloni, mentre si cambiava d’abito. Questa sua ricerca di donnine non propriamente allegre di vederlo, gli portò gravi problemi sia in ambito sociale che privato. La madre lo iniziò ad odiare, ma forse perché cercava di parlare con lei sempre quando la veniva a trovare il signor Massimo Piacere. Gli amici gli tolsero il saluto, quando scoprirono che era lui il misterioso ladro di cognomi. Infatti iniziò, quasi per scherzo, a rubare i cognomi altrui per inserirli, poi, nelle sue descrizioni. E da quel momento in poi era l’uomo che aveva un secondo nome adatto per tutte le occasioni. C’era un funerale? Lui era Carlo dei Necrologi. C’era un evento mondano? Carlo dei Giocolieri. C’era una torta lunga due metri con una spogliarellista dentro per festeggiare l’insediamento del Re? Carlo degli Sbavanti. Uno stratagemma che gli fece guadagnare, ben presto, l’ira e l’invidia di tutti i residenti a corte, nel castello, fuori dalle mura e anche in tutto il globo terracqueo. Per questo motivo fu sempre solo, senza un vero amico, e senza il calore di una donna che lo stringesse nelle notti ventose e temporalesche. In quella particolare circostanza era Carlo degli Sfigati. Un titolo che usa per ben tre quarti della sua vita. Poco tempo dopo accadde il fattaccio: perse tutti i suoi averi alla corsa delle lumache. Un giorno si renderà conto che il gasteropode sul quale puntava era solo un modellino dipinto a mano. Ma anche se così non fosse non conta oramai nulla. L’importante è che ora, anche essendo un povero ex-nobile, lui era sulla strada in cerca d’avventura. Non ha qualità eccezionali, non ha poteri meravigliosi, non ha una donna che lo ami o un amico che conti su di lui, non ha soldi, castelli, titoli, servitori, pezzi di terra, un cane fedele, un porto di mare, un alligatore, dei conigli, un amico di penna oppure un misero tozzo di pan secco, ma ha pur sempre qualcosa che lo accompagnerà sempre dovunque andrà. Ha qualcosa che sarà sempre con lui, che sia sulla strada o in qualche casa, che sia in un castello o in una topaia, che sia di notte o di giorno, che sia di riffa o di raffa, che sia quel che sia, la sfiga non lo abbandonerà mai. Per un uomo è importante saper contare su qualcuno o qualcosa, alla fin fine è pur sempre meglio di niente.

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