Continua la saga. Per chi ne trarrà piacere e per chi no. Cento bigliettoni a chi indovina la guest star che appare nella puntata odierna.
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CAPITOLO SECONDO
"Il passato è passato"
Mang’isse non è il suo vero nome. E questo è sicuro. E’ una sorta di soprannome conquistatosi sul campo dopo migliaia di animali deglutiti. Maiali, galline, polli, mucche, canarini, Giuliano Ferrara, struzzi, piccioni, pesci, plancton, passando per anatre, topi e piccoli criceti. Era giudicato il predatore più feroce del mondo al pari dello squalo, del leone e del piccione viaggiatore. Non fatevi ingannare dall’aspetto timido e mansueto di quest’ultimo. E’ un feroce e cattivo essere che spinge le proprie prede al suicidio per poi cibarsi del corpo. Infatti è abituale ritrovarlo vagare per i cieli, inconfondibile con la sua solita ventiquattrore e il comodo cappellino, durante i suoi lunghi spostamenti. Il piccolo essere porta con se, nella valigetta, tutto il suo campionario di spazzole, pettini, accessori per il calesse, trattati di acquisto per castelli in multiproprietà e, arma più subdola e ingegnosa: enciclopedia in fascicoli. Ovviamente il povero malcapitato animale non riesce a scacciare il piccione che espone, per filo e per segno, tutto il proprio catalogo. E quindi, la preda, si ritrova costretta ad acquistare qualcosa e lì scatta la trappola. Per esempio: mentre si acquista una spazzola per cavalli( e magari l’acquirente è proprio un equino), il piccione scambia il contratto d’acquisto con quello dell’enciclopedia o della multiproprietà e il povero mammifero equestre è spacciato. Appena si rende conto della truffa è già troppo tardi. Unica soluzione per non pagare milioni di volumi de “La grande ed esclusiva Enciclopedia dei rettili a sangue freddo dal 200 d.c. all’avvento dei vampiri di Twilight”, è semplicemente il suicidio. Il piccione attende che il malcapitato si impicchi, o roba simile (purtroppo il metano era ancora fuori commercio) e poi se lo mangia beato. Tenete conto che un cavallo, per un piccolo piccione, è una preda molto grande. Diciamo che ci vogliono ben poche truffe per far felice e per saziare il pennuto per tutta la sua esistenza. Caso clamoroso, entrato nelle leggende dell’epoca, è quello di Achille Piuma Veloce che riuscì, ancora non si sa come, a vendere ad un elefante albino africano un’intera enciclopedia su “Ratti nel mondo”, in duecento volumi. Il povero enorme mammifero morì sul colpo di crepacuore ed Achille non dovette più preoccuparsi per il cibo. Ma ritorniamo al dimenticato Mang’isse.
Le sue origini di grande eroe e avventuriero si hanno fin dalla tenera età di venticinque anni quando, sconvolgendo tutti i suoi amici del paese natìo, si iscrisse alla gara mangereccia della contea di Flosso. I suoi sfidanti erano grossi il doppio di lui e grassi almeno il quintuplo. Lui, timido, magro, scheletrico ma sicuro di sè, sconfisse tutti gli avversari con indubbia facilità. Conquistò la corona d’oro del primo posto e ebbe, come premio, un bue da monta di proporzioni bibliche, ideale per sfornare piccoli vitellini e dedicarsi alla vita contadina per il resto della propria vita ma, il deciso Mang’isse, per nulla sazio, se lo mangiò la sera stessa arrosto. Da lì in poi si ebbe il detto “meglio un bue oggi che dei vitellini domani”, che Mang’isse battezzò felicemente con un rutto.
Il nostro eroe, scoprendo questo innato talento per l’ingozzamento agonistico di cibo, si diresse presso le più importanti fiere della contea. Conobbe i delicati maialini al rabarbaro di Alistor, si esaltò con i piccoli roditori in salsa d’aceto di Dorson e si fermò, poi, a Pentos dove, per l’amore di una delicata fanciulla, mise un leggero freno alle gare fin quando non ci fù quell’atroce torneo.
La gara in questione lo vedeva come campione uscente, indi non poteva partecipare a nessuna delle fasi eliminatorie. E a Mang’isse, questo non era gradito. “Una mangiata gratis è pur sempre una mangiata gratis”, questo soleva sempre ripetere, e come dargli torto. Indi escogitò un piano macchiavellico, che neanche Arsenio Lupin in persona, sarebbe riuscito ad cogitare. Infatti ebbe la grandiosa idea di iscriversi sotto mentite spoglie, si mise una bandana in testa, si camuffò alla bell’e meglio con un mantello azzurro, sfoderò il suo miglior sorriso e si firmò come “Il misterioso cavaliere azzurro, paladino della Libertà”. Voleva aggiungerci anche “di mangiare per ore” ma, per non farsi scoprire, preferì omettere l’ultima parte. Il risultato fu, comunque sconvolgente.
Il denutrito Mang’isse fu tifato e ammirato da un numero sempre crescente di sostenitori. Gli urlavano cose a lui sconosciute come “Ossequi Presidente!”, “ci consenta di tifarla”, “Forza Milan”, “l’amore vince sull’odio”, “lei è bellissimo”. Notò anche che il fior fiore delle bellezze femminili del luogo sembrava interessato alla sua persona. Frotte di ragazze con fisici esplosivi si strusciavano contro il suo esile corpicino, sconvolgendolo ancor di più. Molte di quelle pulzelle, inoltre, lo invitavano al ristorante-ostello “Il lèttone”, che, si bàdi bene, non rappresenta un giaciglio molto grande ma indica la nazionalità del proprietario. Questo ristorante era sempre pieno di belle tipe pronte a soddisfare i fortunati avventori, per ricevere in cambio posti importanti nel teatro cittadino o nel circo itinerante di simpatici baracconi del calibro del famosissimo artista cinese Meh-dìa-set. Ma questa è tutta un’altra storia.
Il desideroso Mang’isse adorava la fama conquistatosi in un batter di ciglio e ciò lo spronò ancor di più per il torneo. Superò ogni turno con facilità, ogni piatto con avidità, ogni avversario con tenacia e superiorità, finchè non si imbattè nell’unico uomo veramente alla sua altezza: sé stesso. Era giunto, quindi, ad un punto cruciale: non poteva far sapere ai contadini quanto era buono quel formaggio con le pere, deglutito nei quarti di finale, e poi, per giunta, non poteva rivelare al pubblico che lui era in realtà il campione in carica. Il devoto Mang’isse ci pensò a lungo, si sedette e pensò, dormì e pensò, sognò e pensò, ogni tanto si ridestò e, udite udite, pensò. Insomma cogitò in lungo e in largo una soluzione soddisfacente quando finalmente, nel suo cuore, passando per il suo stomaco brontolante, fece capolino la sacra idea che tutto avrebbe salvato.
Travestito ancora da “Mirabile cavaliere azzurro difensore della Libertà e segretario nazionale del partito”(il titolo era aumentato dopo le numerose vittorie), chiese agli organizzatori di effettuare una finale in due parti. Ovvero: in separata sede. Si dichiarò impossibilitato dall’incontrare Mang’isse, perché troppo timido e troppo emozionato. Indi, per timore di una sconfitta, avrebbe preferito giocarsi la finale in due tranche separate. La proposta doveva essere girata al Mang’isse, però, per essere accettata, questo è ciò che ottenne dagli organizzatori che, aggiunsero, stavano cercando il campione uscente da tempo ma era oramai irreperibile.
Il dandy Mang’isse capì che era giunta l’ora di farsi vedere nel suo reale aspetto. Cercò un posto per cambiarsi d’abito, trovò una strana costruzione, si svestì, si rivestì, uscì con un costume blu con mantello rosso e una strana “S” sul petto, si ricambiò, si ri-rivestì e tornò il caro vecchio disastrato Mang’isse di un tempo. Così normalmente agghindato si diresse presso la giuria, accettò di buon grado la sua idea della finale separata e si preparò alla dura battaglia contro se stesso.
Iniziò il campione uscente. Ingurgitò tutto quanto fosse possibile ingurgitare e venne applaudito da una piccola parte della folla, ormai il resto della platea era onnubilato dalla bellezza del “cavaliere azzurro” e lo apostrofava con strani epiteti quali “Bolscevico!”, “incitatore d’odio”, e robe del genere. Quando uscì dal palco e fece rientro con la sua seconda identità, il pubblico lo salutò con un fragoroso applauso. Ma da lì a poco accadde il fattaccio. Un vento assurdo si portò via il suo mantello, e tutti potevano vedere che “il cavaliere azzurro” tanto amato altri non era che il solito derelitto Mang’isse. Il quale, con grande umiltà, confessò a tutti la sua colpa. Peccato che nessuno lo credette. I cori della folla si scagliarono contro di lui. Alcuni lo accusarono di aver ucciso il “cavaliere”, o di averlo sostituito per avere sicura vittoria, altri lo indicarono come colpevole di tradimento. Altri ancora svennero per la tristezza della scomparsa del loro beniamino. Ormai il caro e distrutto Mang’isse aveva tutti contro, cercò riparo nella casa della propria pulzella ma scoprì che anch’essa era dalla parte del suo alter-ego ed aveva già innalzato un altarino “alla memora del misterioso cavaliere che ha portato solo pace, amore e fratellanza, eterno difensore della Libertà”, indi si trovò costretto a fuggire verso lidi migliori. Camminò in lungo e in largo per monti e per mari, conobbe contadini e ottenne da mangiare, conobbe braccianti ed ottenne del cibo, conobbe signorotti e ottenne un rinfrescante dèsio. Insomma: ovunque andasse, non si sa come, riuscì sempre a mangiare a sazietà. Sarà stato il suo aspetto da uomo perennemente denutrito, o la sua capacità di sbattere gli occhioni per ottenere ciò che voleva, che consisteva quasi sempre ad un pezzo di caciocavallo affumicato. Il suo tour per le varie città non durò tanto. Si stancò ben presto di camminare sotto il sole cocente, attraversò le città desertiche chiamate scherzosamente Riva Destra e Riva Sinistra. Arrancò passando per il piccolo borgo montano di Ultima Spiaggia(da quelle parti, con i nomi, si divertivano molto), ottenne, grazie alle sue qualità, ospitalità presso una simpatica famiglia di usurai del luogo che, per una cena offertagli, pretesero in cambio tutti i suoi vestiti e le sue cose, compresa la corona d’oro a lui tanto cara. Pianse ma non si perse d’animo. Si inginocchiò a bordo strada per farsi coraggio e guadagnò, facendo l’elemosina, l’occorrente per comprarsi un nuovo guardaroba. Peccato che, con quello stesso prezzo, potesse acquistare un piccolo maialino arrosto. Optò, ovviamente, sul secondo. Ritornò in viaggio e, un giorno, quando si trovò nei pressi di un’importante città, notando dei pesanti nuvoloni all’orizzonte, decise di fermarsi a riposare in una stalla, tra il pagliericcio, e lì fece il fatal incontro.
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