giovedì 19 agosto 2010
(5)
Vivi la tua vita da un’infinità di tempo e ancora non la capisci. Non sai prevedere certi eventi, ti sconvolgi di fronte alle novità, ti abitui alla routine, annoiandoti, ma quando la perdi, ti manca e cerchi di ritrovarla. Basta un giorno solo che gira in un altro verso e sei sperduto. “Andiamo a mare” ti dicono. E tu accetti. Ma quel giorno lì lo trovi strano, troppo diverso, insopportabile quasi. “Andiamo una settimana fuori” e dopo due giorni ti abitui ad altri ritmi, quasi come se quella fosse una nuova routine, poi la riperdi e ti devi abituare a quella vecchia. Gira sempre così. Vecchio, nuovo, nuovo, vecchio, vecchio. E fare le stesse cose diventa quasi una liberazione, in certi giorni. Poi succede che conosci un tipo, questo si fa investire e tu non solo diventi il buon sammaritano accompagnandolo al pronto soccorso, no, tu decidi che è l’ora giusta per ambire alla beatificazione prendendolo come ospite nella propria dimora. L’angioletto sulla spalla destra ti dice “Bravo, sei il migliore, la persona più buona che esista”. Il diavoletto sulla spalla sinistra è inorridito e medita il suicidio. Un altro infermo da aiutare, si potrebbe dire.
Dario guarda la sala d’aspetto quasi impaziente, in una mezza giornata è riuscito a dare un piccolo cambiamento alla sua vita che non si sarebbe mai aspettato. Ora attende l’arrivo del suo assistito, di un certo Fulgenzio, un povero ragazzo(?), signore(?), vecchio(?), che dalla vita ha ricevuto poco. “E’ una buona azione”, continua a sussurrare l’angioletto dando il colpo di grazia all’omino rosso col forcone, “non te ne pentirai”, aggiunge.
“Sarà...” – risponde – “In questa storia ci ho guadagnato solo una cosa: ora parlo da solo!” – Ogni aspetto positivo è ben accetto. Anche se non è estremamente entusiasmante.
“Signor Dominici, ecco il suo pacco regalo tutto per lei, il signor Fulgenzio Dominici in tutto il suo splendore!”
“Non è mio fratello, glielo ripeto un’altra volta sola, a costo di scriverglielo direttamente sulla fronte con la punta di un ago” – un po’ di rabbia accumulata sembra uscire. L’ometto col forcone ha come una scarica di energia in più.
“Ehm…mi scusi, mi sono evidentemente sbagliato. Prego, il signor Fulgenzio ha solo bisogno di riposo, gli abbiamo gessato la mano per non rischiare traumi futuri. Lo tratti bene e gli stia accanto. Se non si fa questo tra fratell…” – la parola gli si strozza in gola alla vista dello sguardo assassino di Dario. Indietreggia lentamente e si infila in una qualsiasi sala, senza badare al cartello. Dopo aver messo una porta tra lui e quel debosciato tipo che abbandona fratelli, si rende conto che è in corso una bella radiografia in quella sala, indi una scarica di radiazioni, prima di pranzo, non può che fare bene.
Dario, intanto, guarda Fulgenzio su quella sedia a rotelle che, a sua volta, sorregge lo sguardo. Rimangono in quella posizione per due minuti intensi. Poi uno dei due si decide a parlare.
“Perché hai detto che siamo parenti?” – gli chiede Dario, convinto che una domanda secca può ricevere una risposta altrettanto onesta.
“…” – apre la bocca ma non fuoriesce nulla. Nemmeno una singola parola. Solo fiato, solo respiro.
“A questa non vuoi rispondere, capito, te ne farò un’altra ancora più semplice: che si fa ora?”
“…” – come prima. Identico e preciso.
“Ho capito va’, un buon pranzo son sicuro ti ridarà la parola. Vieni con me e vediamo come uscire da questa situazione”. – E si dirigono entrambi verso la macchina all’esterno dell’ospedale. Fulgenzio trova qualche difficoltà a districarsi con la guida della sedia a rotelle, Dario lo nota e seppur incitato a lasciarlo stare dal suo diavoletto personale, decide di dargli una mano e inoltre di farlo entrare in macchina prendendolo quasi completamente di peso. Un colpo troppo grande per l’omino rosso, che decede tra atroci sofferenze. La beatificazione è stata già superata, prossimo step: santità.
Un infermiere si riprende la sedia a rotelle, Dario mette in moto, esce in retromarcia, sacramenta perché nessuno si ferma per lasciarlo passare e parte, in direzione ignota.
Accende la radio, perlomeno è un oggetto parlante, sempre meglio di quell’uomo sul sedile del passeggero. Gira un paio di stazioni e poi trova qualcosa che vale la pena ascoltare. Canta delicatamente, e si lascia andare.
I sentimenti non hanno età,
non hanno sesso, nè volontà.
Non c'è l'amore senza il tradimento,
non c'è una storia che resista al tempo.
I sentimenti non hanno lingua,
non hanno scarpe, non hanno stringa.
La libertà è una giustificazione,
cambiare donna la tua soluzione.
L'amore vola come un aquilone
e la passione spossa la ragione.
Tre anni insieme sono un lungo viaggio,
guardarti in faccia, non c'è più coraggio.
Per l'insistenza non c'è la cura.
Tu non sei niente, tu non sei pura.
Nessuno ha riso, nessuno ha pianto,
non c'è la colla per il vaso infranto.
Due vele in collisione,
un battito di ali,
un'onda, una stagione,
imparare a camminare.
Un'anfora di sale,
un cielo per volare,
due gocce di rugiada,
un ombrello che fuori piove,
piove, piove, piove.
I sentimenti non hanno senso,
cade la piuma, crolla l'universo.
Inseguire la scia fino in alto mare,
i sentimenti fanno naufragare.
E innamorarsi è una pura follia,
specialmente adesso che non sei mio,
ma i sentimenti non danno scampo
e non sono colla per il vaso infranto, infranto.
Due vele in collisione,
un battito di ali,
un'onda, una stagione,
imparare a camminare.
Un'anfora di sale,
un cielo per volare,
due gocce di rugiada,
un ombrello che fuori piove,
piove, piove, piove.
I sentimenti sono grano,
sono il pane quotidiano,
sono che mille volte ho pianto
a cercare colla per il vaso infranto, infranto.
Due vele in collisione,
un battito di ali,
un'onda, una stagione,
imparare a camminare.
Un'anfora di sale,
un cielo per volare,
due gocce di rugiada,
un ombrello che fuori piove,
piove, piove, piove.
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1 commento:
Oooooooh! Anche la canzone di Noemi! E bravo il mio Davide.
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