(Questo è un racconto a puntate che parla di un viaggio d'estate, uno di quelli improvvisati che fai solo perchè è giunto il momento di andare, senza meta, o forse di seguire qualcuno, come in questa particolare situazione. Di seguito c'è la sesta parte di un racconto lungo che dovrebbe concludersi alla fine di questo Agosto, le puntate precedenti si trovano facilmente sotto il tag "mentecatti" o "racconto". E sono le ultime cinque già postate.)
Torno alla carrozza dove c'è Lei dopo aver risolto la questione Mirko e mi ritrovo l'amara sorpresa: hanno occupato il mio sediolino. Il mio amato e dolce posticino situato anche di fronte alla donna più bella che io abbia mai visto da stamattina, e forse pure da quando sono nato. E non è tutto: Lei non c'è più. E l'unica poltroncina vuota è situata accanto alla sua. E' più difficile riuscire ad intraprendere un approccio stando seduti affianco alla propria preda mentre si combatte per chi deve poggiare il proprio arto sul bracciolo in comune. Sono fregato. E' finita.
O forse mi faccio dei problemi insormontabili per puro masochismo.
Ma sì, non esiste nessun prontuario di approccio sistematico nei treni. Non esiste nessun corso accellerato per trovarsi un compagno di viaggio nei Frecciarossa. E non esiste, sicuramente, nessun decalogo di cose da fare per conquistare l'anima gemella tra una fermata e l'altra, includendo anche una sosta nell'iperaccessoriato e minuscolo cubicolo che molti chiamano bagno, e che i germi chiamano "casa".
Non esiste.
E forse sarebbe giunta l'ora di scriverlo. Ma ci penserò poi. Ora la cosa più importante è iniziare un dialogo con Lei. E capire anche finalmente come si chiami.
Anche se esseri meravigliosi come Lei non hanno bisogno di un nome che li identifichi. Sono reali. E' solo questo che conta.
Mi siedo al mio nuovo posticino rimasto libero. Che poi dovrebbe essere stato prenotato dal buzzurro ma non sono più riuscito a trovarlo tra le varie carrozze. Potrebbe essere sceso anche lui in quel di Roma per inseguire Mirko.
Scrupolo di coscienza.
Devo chiamarlo? Devo constatare che sia effettivamente vivo e in possesso delle sue limitate capacità mentali?
O è meglio rimanere seduti, aspettare Lei, intrattenere una mirabile conversazione che spazi numerosi campi partendo dalla scienza, per poi posarsi sulla politica, sull'inutilità storica della religione per finir poi a ciarlare di Corona e della Minetti?
Lei non c'è ancora. Tanto vale togliersi il dubbio.
Prendo il telefonino dalla tasca, tutti mi osservano come se fosse un portatore di sventura o un terrorista. Cerco il numero tra le ultime chiamate. Squilla. E' già un segnale positivo.
Squilla ancora.
Sette volte.
E' morto o l'hanno rapito.
Dodici.
Sto per riattaccare quando una voce entusiasta risponde.
"Andrè, io ti amo!", lo urla a voce così alta che ogni componente dello scompartimento mi fissa ancora più preoccupato o sconvolto. La vecchina credo che stia per sparare uno dei cavalli di battaglia di ogni ultrasettantenne ancora in vita: "Non c'è più religione". Il tamarro fa una pura espressione di terrore, omofobo che non è altro, gli altri continuano a fissarmi senza una ragione, o forse a volermi studiare con lo sguardo.
"Lo avevo sempre sospettato."
"Tu sei un genio."
"Anche di questo ne ero certo".
"C'è un ragazzo qui, si chiama Oumandi, ha 17 anni e fa dei giochi col pallone meravigliosi."
"Dentro la stazione di Roma Termini?"
"Cerca di guadagnarsi qualcosa per aiutare la sua famiglia, sai come vanno queste cose."
"Ma non ti è venuto in mente che sappia solo palleggiare e non giocare? Ce ne sono molti di ragazzi così che girano per le piazze solo per fare qualche soldo."
"Ci sono dei suoi amici, dicono che gli pagano il campo per farlo venire a giocare con loro. E' la scoperta dell'anno. A Roma. A due passi da casa. E non ha mai fatto nessun provino. Non sapeva nemmeno che esistessero."
"Ottimo, direi. Per te, per lui e per la sua famiglia."
"Tu sei una mano santa. Per fortuna hai preso l'ennesima sbandata per l'ennesima sconosciuta. Ti dirò: sei un idiota ma certe volte ne fai qualcuna giusta."
"Vorrei dirlo anche io per te", la cosa più importante in un'amicizia è conoscere i propri limiti.
"Ora vado che devo farmi spedire dalla mia segretaria tutte le carte. Un dannato fax dove si può fare da queste parti", sento che parla con i ragazzi, "nessuno sa cosa sia un fax te ne rendi conto? E queste sono le nuove generazioni!"
"Cosa vuoi, è l'era social!"
"Un giorno arriverà anche l'era zombi. E ci assomigliano non poco quando stanno davanti al pc. Ci sentiamo...", e attacca. Senza nemmeno farmi discutere del reale motivo della mia chiamata. Ma sono contento gli sia andata bene.
E pure invidioso, aggiungerei. Io intanto aspetto il suo arrivo. Su questa poltroncina abbastanza comoda, cullato dal dolce rollìo di un treno lanciato a forte velocità, come una barca sulle onde del mare.
E mi addormento in venti secondi netti.
(6 - Continua)
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