(Questo racconto è l'ottava parte di un progetto un po' più ampio e che da due settimane prende vita su questo blog. Leggetelo, fatelo per la mia povera lettera "A" che si preme difficilmente sulla tastiera del mio portatile. E fatelo anche per me, che ci perdo minimo dieci minuti in più perchè batto in modo molto meno veloce)
La ragazza sta per soffocare e io instantaneamente mi butto a capofitto verso di lei, prendo con forza il suo ragazzo e lo tiro verso di me facendolo cadere a terra un secondo dopo, d'altronde era di disturbo per il mio scopo. Arrivo a lei, la sposto delicatamente al centro del corridonio e inizio a praticarle la manovra di Heimlich. L'ho dovuta imparare anni fa per lavoro, o quasi. Non l'ho mai effettuata realmente se non su manichini di gomma. Ma il manichino ha una pecularità che gli esseri umani non possiedono: non muore. Lei potrebbe. E pure se non è colpa mia lo diventerebbe perchè non sono riuscito a salvarla.
Ma ci riesco. Alla seconda pressione il bel bocconcino di carne ritorna sul tavolo, magicamente nel suo stesso piatto. Spero non lo rimangi.
La ragazza, credo si chiami Erika da quello che ho potuto intuire dalle urla della sua cara amica, si riprende. Si gira e mi stampa un bacio appassionato senza che io le avessi potuto dire un semplice: "come va?", e tutto questo davanti agli occhi del suo ragazzo, dei suoi amici e di Lei. Che ha assistito a tutta la scena quasi anch'essa in apnea. Poi mi lascia andare così come mi ha agguantato, si volta verso il suo gruppo, che comprende anche il suo ragazzo ancora fisso a terra imbambolato.
"Lucia, sono andata a letto con Marco", bum! C'avevo indovinato, meriterei mille punti MilleCorna.
"Cosa?", urla la povera Lucia, la cornuta.
"Che?", cerca di biascicare il tizio a terra senza riuscire a capire come sia possibile passare dallo status "qualcuno salvi la mia ragazza", allo status "qualcuno lanci la mia fedifraga giù dal treno".
Qualche minuto di panico nel vagone ristorante, forse durato più del momento di reale pericolo, e nessuno respira o tossisce, quasi come se tutti fossero in attesa del finale della tragedia greca al quale stanno assistendo. Erika calma gli animi e riprende la parola.
"Te lo volevo dire da qualche mese, ma avevo sempre paura. Ora ho capito tutto: ti voglio bene e non voglio che ci siano segreti tra di noi, e tu sei molto più importante di Marco o di questo idiota che mi porto dietro", indica il suo caro ragazzo sul pavimento, "e ti chiedo scusa per aver fatto ciò che ho fatto, ma volevo farti capire con che finto uomo sei stata per due anni. Per l'esattezza: tu e io non siamo mica state le uniche in tutto questo tempo eh", Lucia guarda con odio il suo ormai ex ragazzo. Lo colpisce con un pugno sul naso, provocandogli una rovinosa caduta.
"E tu per farmi capire che lui è uno stronzo ci vai a letto?", domanda che ognuno su questo treno si stava ponendo.
"Ho sbagliato e me ne pento. Se vuoi puoi restituirmi il favore", dice, ponendo il dito ancora verso il ragazzo rimasto carponi al centro del corridoio.
"Sono d'accordo", afferma il tizio. L'unico innominato dell'intera vicenda, cosa che interessa a ben pochi.
"Io no", sentenzia Lucia distruggendo di colpo almeno le speranze di un po' di sano sesso al cornuto. D'altronde tra appartenenti della stessa categoria ci si poteva intendere.
"Lo sospettavo", sorride Erika, "hai sempre avuto più gusto di me".
"Hai ragione. Ad iniziare da quella scappatella con tuo padre!", rivela la sua amica ridendo.
"Mi ha sempre detto che fu un meraviglioso week-end".
"Lo sapevi?", esprime stupita Lucia.
"Ho organizzato tutto io, sennò non si sarebbe mai fatto avanti. Bisogna pur aiutarli questi uomini, ogni tanto. Vivono nella costante paura del rifiuto", ride di gusto e si avvicina a lei abbracciandola. Lucia ricambia il saluto e nel vagone ristorante scoppia l'applauso. Che mancanza di tatto verso il tizio cornuto e quello col setto nasale rotto.
"E tu come ti chiami?", mi chiede Erika.
"Andrea", rispondo ricordandomi dopo qualche secondo quale fosse il mio nome.
"Se tutti gli uomini fossero come te le donne sarebbero tutte più felici", è un complimento. E me lo stanno facendo davanti a Lei.
"Grazie", e mi stampa un altro bacio sulla bocca.
"Grazie", aggiuge Lucia seguendo il suo stesso rituale. E poi aggiunge qualcosa nell'orecchio su un hotel già prenotato a Bologna dove potrei trovare entrambe casomai mi sentissi solo. Una proposta che dire allettante è dire poco.
"Prego", rispondo enormemente imbarazzato, "dovere", aggiungo, quasi come se fossi un vigile del fuoco iperpalestrato dopo aver salvato un gattino da un albero.
Le due amiche se ne vanno ciarlando dei loro ormai ex compagni e la normalità ritorna nel vagone.
Lei ha assistito a tutta la scena. Ora conosce il mio nome e ha visto mentre le due ragazze ci provavano senza remore col il sottoscritto. E' un bene o un male?
E poi lei è sicuramente accompagnata quindi perchè fregarmene del suo pensiero? Posso andare a divertirmi con due disinibite signorine invece di stare a rincorrere un amore impossibile che è nato stamattina, qualche ora fa su un regionale della Metrocampania-Nord-Est.
Se lo dicessi a Mirko diventerei il suo eroe. Se facessi la scelta più ovvia. Ma voglio ritornare da Lei. Voglio essere sicuro che sia da sola su questo treno, e che da oggi non sia neanche più da sola nella vita.
Si alza dal suo posto e si infila del vagone precedente, ondeggiando con delicatezza e femminilità evidente. Io la inseguo senza pensarci due volte quando mi sento tirare per la maglia.
Mi volto: è il tizio a terra, finalmente si è rialzato.
"Brutto stronzo, mi hai rovinato la vita con la tua voglia di fare l'eroe", e mi molla un pugno così forte che vedo improvvisamente tutto nero.
(8 - Continua)
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