sabato 4 febbraio 2012

Normale


Il vento scorreva forte sulla spalle di Margherita mentre guardava il mare d'inverno sussurrargli parole nuove. La forza dell'aria le disegnava le onde sugli abiti che si muovevano seguendo un ritmo ben preciso. Margherita cercava di fermare quel moto deciso e intanto fissava l'orizzonte come a voler trovare la soluzione a qualche enigma irrisolvibile capendo, intanto, perchè non aveva mai potuto sopportare il mare d'estate.
Aveva sempre odiato la ressa, l'enorme quantità di gente spiaggiata come balene vicine all'ineluttabile fine, cosparsi di olio e pronti da essere impanati con la sabbia, per essere cotti al punto giusto al sole, prima di pranzo. Quell'ostentazione decisa del proprio corpo, che sia bello o brutto, grasso o magro, flaccido o robusto, l'aveva sempre intristita. Forse perchè non si era mai trovata bene col suo.


Margherita non camminava dall'età di dodici anni. Ha sempre ricordato poco di quella sera. Vari spezzoni di un film che non era mai appartenuto veramente a lei, nella sua mente. Ricordava la gita in montagna, l'escursione nei boschi con suo padre, la corsa solitaria per inseguire un coniglio spaventato, lo strapiombo che non aveva proprio notato. L'urlo di Andrea, suo padre, non le era rimasto impresso, forse l'aveva dimenticato perchè faceva parte, come colonna sonora, della caduta. Dieci metri. Dieci metri di vuoto e poi il terreno, fresco e morbido ma fino a che punto, dell'erba bagnata. E svenne.
Si ridestò in ospedale, tre giorni dopo, con Lucia, la compagna di suo padre, che le teneva la mano come se fosse veramente sua madre, come se sentisse di esserlo dentro, all'infuori di contratti, promesse davanti a Dio, e inutili discendenze. La stringeva forte come se non volesse farla andare via. Suo padre dormiva su una sedia scomoda, con una coperta per proteggerlo dal freddo. La prima parola che disse fu "mamma", rivolta a Lucia. Non l'aveva mai chiamata così, ora sentiva di doverlo fare, di averlo finalmente capito. Poi continuò: "Le gambe, non sento le gambe". Lucia pianse, fortissimo. Voleva rassicurarla, voleva farle capire che la sua vita sarebbe stata ancora normale. Non ci riuscì. Le lacrime le solcarono il viso con una forza tale da costringerla a singhiozzi prolungati e solenni. Poi si addormentò esausta, senza sogni.

Paralizzata. Questa parola la sentì molto spesso nella sua vita. Tutti le dicevano che era un problema temporaneo, che poteva essere risolto, che bisognava aspettare solo qualche anno e poi iniziare con la riabilitazione. Solo qualche anno e poi sarebbe ritornata una bambina normale come tutte le altre. Solo che Margherita non capiva il significato di "normalità", perchè per lei tutti erano diversi, pur somigliandosi, pur essendo simili negli atteggiamenti, nel viso, nel modo di parlare. Tutti diversi, nessuno uguale, solo che lei era speciale. Così le dicevano facendola sentire sempre più estromessa, emarginata da una società che non la riconosceva come una persona da aiutare, ma da compatire.

Arrivarono i quindici anni, i primi giorni di liceo, lo stupore dei suoi compagni alla vista di quella ragazza carina su una sedia a rotelle. Lo sgomento a cui lei è abituata e a cui lei cercava di sdrammatizzare in ogni attimo: "Non vi preoccupate ragazzi, ogni tanto non ho voglia di camminare", diceva. Qualcuno sorrideva confuso o imbarazzato. Le ragazze le si avvicinavano con rispetto e iniziavano una felice conoscenza. I ragazzi la evitavano spaventati. Non tutti almeno.
Margherita era sempre stata una ragazza carina. I lunghi capelli castani formavano riccioli gioiosi che ornavano il suo viso ancora acerbo, le braccia lievemente muscolose la facevano apparire molto più forte di quanto in realtà fosse, il sorriso quando spuntava, era uno schiaffo in faccia alla tristezza. Il tutto condito dall'apparecchio ai denti che le donava una bellezza fanciullesca ancora più evidente. Era bella. Di una bellezza non appariscente ma unica. Nella sua classe, nella sua scuola, c'erano decine di ragazze più belle di lei e più corteggiate. E a lei questo non importava, sentiva solo di volersi sentire parte di quell'aula, di quel gruppo, di quell'insieme di menti giovani. Ogni volta che entrava in classe voleva sedersi anche lei tra i banchi come i suoi colleghi. Si faceva aiutare da un paio di sue amiche per raggiungere il suo posto senza problemi, e vivere la giornata scolastica nel loro identico modo. Poche volte chiedeva ciò ai suoi amici maschi, un po' per pudore, un po' per imbarazzo. Molti di loro sembravano spaventati dalla sua persona, forse avevano paura di "romperla" o di farla male.
Margherita li capiva. Forse troppo. E attendeva.
Come quando guardava il mare d'inverno. Aspettava sempre che qualcosa cambiasse quel ciclo inarrestabile di vento, onde e schizzi, condito con la colonna sonora dei gabbiani in cerca di cibo. Attendeva.
Qualcosa sarebbe cambiato, un giorno.

(Continua)

*Copyright Foto: Maurizio Melozzi

1 commento:

Carmensì ha detto...

E' bellissima questa storia.Mi hai fatto commuovere*_*

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