martedì 31 agosto 2010

(10)



Metti che un giorno un omino che hai sempre visto venga investito proprio sotto casa tua. Metti che proprio quel giorno ti senti di essere buono con l’universo e lo porti all’ospedale. Metti che, dopo aver fatto una buona azione, quell’omino decida di sparare una balla sul grado di parentela che vi unisce e sei costretto a tenertelo. Metti che tutto l’ospedale, compresa la più alta concentrazione di infermierine sexy del pianeta, creda a quell’omino e non a te. Metti che l’unica soluzione che hai è telefonare a lavoro e inventare una scusa per non andarci. Metti che hai bisogno di pensare e un paio di canzoni ti permettono di farlo prima di arrivare al centro commerciale, perché quell’omino lo devi pure sfamare. Metti che appena arrivati lì ti ascolti un’intera conversazione di tre vecchietti che fanno a gara a chi sta più male. Metti che fai la spesa e ti trovi ad acquistare roba per un mese, sempre per colpa di quell’omino. Metti che la cassiera che stai cercando di abbordare, ti abbordi lei grazie a quel sant’uomo dell’omino. Metti che ti vengano dei dubbi sull’effettiva veridicità di tutta questa vicenda, che inizi a dubitare che sia tutto frutto del caso e magari è solo il piano di qualcuno più in alto di te. Metti che passi dal fantasma dei natali passati, per poi pensare ad un disegno celeste per poi essere sicuro che sia tutta una candid camera e vuoi proprio sapere chi è lo sfigato che stavolta hanno messo a condurre questo tipo di programma su una delle reti generaliste. Metti questo ed altro. Metti che l’omino decide di addormentarsi dopo un lauto pranzo. Metti che effettivamente quell’omino non è che puzzi così tanto, pur essendo un barbone. Metti che quella faccia lì, sei sicuro di averla già vista in qualche programma. Metti che effettivamente tutto sembra troppo strano e pilotato. Vuoi vedere che la casa è piena di videocamere e tutto questo è solo il parto di uno sceneggiatore che non aveva niente di meglio da fare?

Dario decide che è l’ora giusta per agire. Fulgenzio dorme sul divano, beato. Non sa quello che gli aspetta, non sa quello che può accadergli da un momento all’altro. Dario lo osserva, cerca di scoprire tutti i punti deboli della sua vittima, ad occhio e croce ne trova sui duecento-duecentododici. Decide di passare in rassegna le sue tasche per trovare eventuali microfoni o microcamere. La mano, abile e decisa, entra nelle tasche del cappotto del malcapitato e trova una specie di portafoglio. Anzi, è proprio un portafoglio. Pieno di carte e cartacce, con una foto del suo ospite benvestito e bencurato. I sospetti si fanno certezze, la rabbia inizia a crescere. Dario decide di calmarsi e controllare il contenuto dell’amara scoperta in disparte. Si siede al tavolo, lancia un’ultima occhiata a Fulgenzio sdraiato e ronfante e inizia a catalogare ogni piccolo pezzo di quel portafoglio, ogni scontrino, ogni foglio scritto a mano, ogni documento. Il lavoro non gli manca. Quel contenitore in pelle è pieno, pienissimo. Ogni scompartimento è ricolmo fino all’orlo. C’è tutta la vita di un uomo in un semplice e piccolo oggetto. Tutta la vita. Quella che Dario vuole scoprire dall’inizio fino a quel giorno stesso.

E’ strano come ti cambia la giornata un evento all’infuori della normale routine. E’ strano come quell’evento poi possa avere ripercussioni sia sul giorno dopo che su quello dopo ancora che sul mese successivo, o magari per tutta la vita intera. E’ strano che una festa a cui sei stato invitato per ultimo ti permetta di trovare l’amore. E’ strano che un gioco di carte a cui ti sei appassionato ti permetta di trovare l’amicizia. E’ strano che una notte di pioggia, da solo in macchina, ti permetta di superare il dolore. E’ impensabile riuscire a capire cosa passa per la testa di un altro essere umano, ma per molti basta uno sguardo, un cenno, un tocco leggero delle mani e si apre un mondo. E’ bello trovare qualcuno che non abbia neanche i tuoi stessi interessi ma che sappia fare una sola cosa: ascoltarti. E’ difficile starsi a sentire persino da soli, certe volte. E’ una giornata diversa che cambia la vita. Son le giornate tutte uguali che la rendono così com’è: è’ strana, è difficile, è problematica, è bella, è semplice, è divertente, è angosciante, è vivere.

Dario finisce di leggere. Mette tutto apposto, meticolosamente. Si sofferma su due particolari, li lascia fuori. Attende con calma che il proprio ospite si svegli, non è arrabbiato, non è deluso, è solo, forse per questa sola volta, deciso. Attende un’ora o forse più. Fulgenzio si sveglia, lo accoglie con un bicchiere di latte e menta e un sorriso. Gli chiede se può discutere di un certo argomento. Lui acconsente. Inizia a parlare.

“Fulgenzio. Non so perché ho fatto quello che ho fatto. Non so perché sentivo di dover controllare se tutto ciò che è successo oggi sia vero o frutto di un pensiero altrui. Fatto sta che ho avuto dei dubbi. Ho voluto controllare se tutto ciò non fosse solo uno stupido scherzo di qualche stupido programma di qualche stupida televisione. Ed è così. E’ tutto vero. Ma vero è un parola troppo forte e troppo distante da ciò che è accaduto oggi. Vedi, caro Fulgenzio, io non so chi tu sia o cosa tu faccia. Io ti ho sempre visto davanti al mio palazzo da non so quanto tempo. Mesi,settimane, anni? Non ho mai notato niente all’infuori della tua giacca logora e del tuo sguardo stanco. Non ho mai visto che ci osservavi tutti, non ho mai notato che scrivevi, non ho mai nemmeno una volta pensato che potessi essere così preciso, così metodico, così lucido. Tu, su quei fogli che tieni in quel portafoglio che, scusa, prima ho preso in prestito, hai preso appunti su tutti gli inquilini di questo palazzo. Hai tracciato una personalità precisa di ogni componente di questo abitato tranne che del sottoscritto. Poi ho trovato un foglio, anzi, un insieme di fogli che parlavano di una cosa che mi ha fatto rabbrividire: questa giornata! Tu hai scritto del tuo incidente, hai scritto della “balla” all’ospedale, hai scritto del centro commerciale, dei vecchi, della cassiera, per filo e per segno hai appuntato ogni minima parola, frase o situazione che si è venuta a creare. E so che non l’hai scritto oggi. E’ roba vecchia. Non so come tu abbia fatto ma tu sapevi che questa giornata sarebbe andata così. Non so se hai dei poteri, non so se sei un veggente, un indovino o il cugino del mago Otelma. Non so se domani mi sveglierò al polo Nord perché magari fai incantesimi o robe del genere. Non so se tu sei uno scrittore, magari, e tutto ciò non è altro che un tuo racconto senza capo nè coda che volevi condividere con qualcun altro magari. E quel qualcun altro si è fatto sentire poco e niente e tu un po’ ci sei rimasto male. Non so se tu sei quello che dici di essere o se solo un povero pazzo che si è inventato tutto e casualmente tutto ciò si è avverato. In questi due fogli c’è tutto quello che è successo fino ad adesso. Compresa la mia sfuriata. Non tutte le parole coincidono ma anche questo che ho appena detto, tu l’avevi previsto. Dimmi come hai fatto, dimmi chi sei, dimmi del perché son stato scelto. Ma mi raccomando: se sei un alieno mandato sulla terra per studiarci, ti preannuncio che le sonde anali non mi piacciono così tanto e ti consiglio di andare al quarto piano da Augusto, lui non disprezza quel genere di cose. Se invece sei di qualche ambiente governativo, sappi che non sono un terrorista. Sì, ho pensato un paio di volte di ammazzare qualche politico, ma siamo in Italia, cribbio, sarebbe anormale non farlo. Se invece sei solo un povero pazzo, un clochard che viene chiamato così perché “barbone” fa paura ai bambini, un reietto della società che non ti ha mai considerato e tutto ciò è solo un mio tremendo sogno, ti prego di non svegliarmi: ho sempre odiato quel tipo di finale!

Fulgenzio si alza, se l’aspettava. Si sistema il cravattino, abozza un sorrisino. Riprende il portafogli sulla tavola, se lo aggiusta nella tasca interna del cappotto, e si avvicina a Dario. Si riprende i suoi due fogli, compreso quello ancora mezzo vuoto. Prende una penna dalla tasca e la consegna al padrone di casa. Lo guarda negli occhi.

“Ognuno è padrone del suo destino, questo è quello che ci hanno sempre insegnato. Ma se quel qualcuno, un giorno o l’altro, non sa che fare, ha bisogno di qualche aiuto per continuare a camminare verso un punto preciso. Io non ho poteri, io non ho visioni. Io scrivo. E qualche volta ciò che scrivo si avvera. Mai come oggi si è avverato tutto. Un giorno scrissi che avrei lavorato al semaforo per una giornata intera e così è avvenuto, eppure non sembra niente di così eccezionale, se te lo vengo a raccontare.
Quello che è accaduto oggi mi è capitato di pensarlo e allora? Ogni giorno ci facciamo mille problemi pensando al domani e irrimediabilmente quello arriva senza che noi ce ne accorgiamo. Progettiamo un futuro ma il presente ci blocca. Piangiamo il passato ma il presente ci fortifica. Immaginiamo un alternativo presente ma la realtà ci risveglia. Quante volte hai pensato a ciò che volevi fare il giorno dopo ed è accaduto? Oppure non è accaduto niente di ciò che ti eri previsto? La vita reale è una lotteria. Pensiamo di sapere tutto e poi ci meravigliamo di fronte a cose normali. Ci meravigliamo se due persone dello stesso sesso decidono di amarsi e di adottare dei bambini, li consideriamo, dal principio, cattivi genitori. Ci meravigliamo se una persona di diverso colore dal nostro cerca di avere i nostri stessi benefici dalla vita, abbiamo bisogno sempre di qualcuno che sia sotto di noi nella scala evolutiva. E per questo sottomettiamo popoli, animali, piante, per sentici più forti. Ci meravigliamo se la Terra si ribella alle schifezze umane. E poi non ci meravigliamo dalla quantità abnorme di religioni che esistono. Forse erano meglio i tempi in cui si benedivano il Sole, la Luna e il Fuoco. Erano visibili, erano puri, non ti richiedevano soldi o quant’altro. E invece non ci meravigliamo se un barbone viene preso a calci da un ragazzino, se una donna viene stuprata perché aveva una minigonna, se l’era cercata, diranno. Non ci meravigliamo se il nostro capo ci umilia, se il nostro leader ci disprezza e se il mondo è in mano a pochi pezzi di merda. Poche cose ci stupiscono, e qualcosa che spezza la routine è una di quelle. Dario, forse siamo solo personaggi di fantasia di qualche mente superiore. O forse siamo solo semplici esseri umani. Questo è il foglio, questa è la penna. Scrivi tu il resto, scrivi tu il continuo e non si intristire se tutto ciò che scriverai non accadrà o forse sarà troppo preciso. Decidi tu se sorprenderti ogni giorno o stilare una tabella ben precisa della tua esistenza. Decidi tu. Io mi faccio un altro riposino.”

Dario rimase lì, interdetto, per decine di minuti. Non aveva capito quasi niente di ciò che era successo in quella giornata, in quelle poche ore che aveva conosciuto Fulgenzio. Decise di dormici anch’esso su. Appena ridestato, scoprì che il suo ospite se ne era andato. Al telegiornale sentì del ritrovamento del grande scrittore Francesco Savino, scomparso da mesi: aveva perso la memoria. I suoi familiari e i suoi amici erano entusiasti. Piangevano nelle dirette televisive. Un suo amico stretto pubblicò quasi instantaneamente il libro “Io sapevo che Francesco non era deceduto”. Dalla copertina si notava decisamente che il “non” era stato aggiunto a penna.
Prima Dario aveva controllato sui documenti il nome e le foto da “persona normale” ma non ci aveva fatto caso. Aveva sospettato che “Fulgenzio” fosse solo un nome di fantasia, un soprannome che gli avevano affibiato. Forse quella giornata insieme ha fatto riprendere il suo ospite, la sua mente aveva ripreso il regolare flusso e aveva rammentato chi era e cosa effettivamente faceva. Forse una giornata all’infuori della normale routine l’aveva ridestato dal suo torpore o forse stava solo scappando dalla vita da celebrità per tuffarsi nella realtà più putrida. Non l’avrebbe mai saputo. Dario prese la penna e iniziò a scrivere. Decise che la sua vita sarebbe stata un mix di sorprese e certezze. Ma non ci è dato sapere come.

4 commenti:

MaxBrody ha detto...

Non sarò il "qualcun altro" che avevi immaginato, ma ho letto tutto il racconto e ho apprezzato molto. In particolare questo decimo capitolo...che, non ho capito, è l'ultimo? E io che aspettavo di vedere Dalila in azione...

Avevo notato le iniziali D. e F., ma il colpo di scena mi ha spiazzato lo stesso! A volte la meta-narrativa supera la meta-realtà!

Ancora complimentoni, caro Dar...pardon, Lutty ;)

p.s.:Dj barbone!

Carmensì ha detto...

Mi è piaciuto molto.E' un bel racconto con molte considerazioni vere e profonde.Continua così Davide.
Complimenti sei riuscito come sempre a sorprendermi.

DjJurgen ha detto...

Posso a questo punto non intervenire io??? Posso? Potrei, ma non lo faccio!
E quindi intervengo, perchè questo decimo capitolo mi ha sorpreso, emozionato, divertito, fatto riflettere, lusingato. Caratteristiche che spesso è difficile trovare, tutte insieme, in un racconto breve. Ma Davide ci è riuscito, lanciandomi frecciate (e a ragione) e scambiandomi per un grande scrittore.
Quando ho scritto il primo - e unico - capitolo di un racconto che avrebbe dovuto vedere me e Davide alternati, non avrei mai immaginato che potesse esserci un parallelo tanto forte tra questo raacconto e l'idea che mi sto facendo in questi giorni del mio futuro.
Forse perchè, proprio come dice Fulgenzio in queste righe, è proprio nell'inchiostro scritto su un foglio bianco che si nasconde la realtà.
E io non posso fare altro che ringraziare Davide, per avere la pazienza che solo le persone che mi vogliono bene possono avere con un tipo anomalo come me, e per avermi fatto il primo vero grande regalo di questa giornata.

luttazzi4ever ha detto...

Grazie Max, ebbene sì: è l'ultimo. Purtroppo anche io volevo che questo "progetto" fosse durato meglio e più a lungo ma sarà per un'altra volta. Ora si torna alla sana e vecchia routine.

Grazie signorina Carmen, lei mi fa così tanti complimenti che inizio a pensare che si sia invaghita del sottoscritto.

Grazie coglionazzo. Ho un odio così profondo nei tuoi confronti che meriteresti una badilata di insulti per i prossimi cinque anni. Ma alla fin fine, so che ti perdono tutto. Forse solo perchè sei un puccettone, o forse è per l'assegno mensile che mi mandi da quando siamo divorziati. Comunque grazie per i complimenti. Coglione.

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