martedì 18 ottobre 2011

La posa


(Riassunto della puntata precedente: Davidù è un sogno, di D, che sta su un muretto al freddo e al gelo abbandonato da F. Davidù vive nell'imaginario borgo di Italandia e sta cercando di crearsi un futuro trovando aiuto nelle fate della foresta giusto fuori il proprio borgo. Ha incontrato fata Minetta che non gli è stata di grande aiuto: voleva solo denudarsi e concedersi a lui e si sa che Davidù non è così veloce di comprendonio da capire certe cose. Ha deciso di continuare il suo cammino con tanta gioia nel cuore.)

IL MERAVIGLIOSO MONDO DI DAVIDU'
Seconda Parte
Davidù passeggiava felice e saltellante per il bosco. Non sapeva perchè saltellava ma gli avevano riferito che in ogni favola o racconto fantasy che si rispetti, il protagonista adora saltellare e lui lo faceva perchè in un certo qualche modo era un fan dei clichè. Comunque saltellava e saltellava così tanto che ogni cinque minuti era costretto a riposarsi e a fare un po' di stretching per non rovinarsi le gambe, già duramente provate dalla sua attività preferita: il dolce far niente.
Camminando camminando e saltellando saltellando arrivò davanti ad uno strano antro con un tizio di capelli sprovvisto, che lo guardava con fare minaccioso.
"Chi sei tu?" - gli chiese senza perdere un solo secondo.
"Sei un nemico" - si rispose, da solo, senza dargli opportunità di farlo.
"E se sei un nemico sei un Rosso, ne son sicuro. Un Rosso malefico" - aggiunse al suo sproloquio solitario.
"Sei venuto qui solo per screditarlo, e per rovinare la nostra opera di rinnovamento. Sei un volgare accusatore. Che ti interessa dei suoi intrallazzi? L'importante è che il Paese sia meraviglioso e che io possa spendere con le carte di credito della mia azienda!" - continuò mentre Davidù lo fissava come si fà con i pazzi.

Dopo ventotto minuti di parlantina solitaria, lo smilzo pelato, si acquietò. Davidù gli andò vicino, visibilmente stordito dalla quantità di nozioni inutili che aveva immagazzinato e gli chiese, semplicemente, come si chiamasse.
"Come ti chiami?" - vi avevo già anticipato che sarebbe successo.
"Minzolò, un umile servo sono". - rispose lui, stavolta in modo calmo.
"Servo di tutti quelli che vengono al tuo antro?"
"No. Solo di uno, e di conseguenza di coloro che lui reputa amici. Io sono fedele, non come quelle fate che si porta dietro!" - rivelò, con un po' di malignità ma poi ritrattò - "Dimentica tutto, sono sante donne!"
"Quindi le fate sono alle dipendenze di qualcuno?" - Chiese Davidù facendo, per una santissima volta, due più due. E avendo un risultato consono all'operazione.
"E certo. Mica vanno in giro a denudarsi con chiunque. Oh, cosa mi fai dire." - si mise una mano sulla bocca.
"Quindi tu mi dici che le fate sono allegre perchè qualcuno gli dice di esserlo, è una ragionamento che potrebbe filare. Ma chi ci guadagna in tutto ciò? Chi è il loro capo?"
"Un uomo tutto d'un pezzo che si è fatto da solo. Un uomo meraviglioso che ha dalla sua la bellezza, la modestia, l'onestà, la rettitudine, l'intelligenza, la caparbia e anche una forte dose di simpatia."
"Perchè sembra che reciti a memoria?" - gli chiese, un po' sospettoso.
"Questo è ciò che pensi tu, maniaco Rosso che spera in un ritorno del precedente Rettore. Il vostro tempo è passato, tienitelo bene in mente. Ora c'è Lui e nessuno lo toglierà mai dalla sua poltrona, neanche i suoi ex-amici ci riescono. L'unico modo per farlo scendere è fargli vedere delle fate che limonano tra loro...no! Che ho detto! Non conta niente ciò che uno fa a casa propria, è privacy, a noi non interessa. I veri problemi dell'Italiandia sono altri: gli omicidi. Parliamo degli omici. Zio Marchele, Pallonisi, Manda, ho degli scoop interessantissimi. Non cambiare canale ti prego!" - e si lanciò ai piedi di Davidù che, un po' impaurito, riprese il cammino con un'espressione che fece capire che non ci aveva capito poi molto.

Lasciato Minzolò e i suoi sprolocqui in disparte, il caro Davidù raggiunse con celerità la modesta dimora di Tommasa, una fatina che se ci rimani a contatto più di un giorno inizi a pensare che le donne belle abbiamo di sicuro qualche problema importante. La Tommasa era intenta a mettersi in posa per un eventuale ipotetico scultore o pittore, in ogni modo possibile. Prima si denudava gran parte e si posizionava, a mò di mimo, di fronte al muro, lasciando intravedere tutto il lato B. Poi si attaccava ad una ringhiera che, con un mirabile gioco di luci ed ombre, riusciva a espandersi per tutta la superficie delle ghiandole mammarie, poi si inginocchiava a mò di preghiera, trattenendosi sempre i pesi di cui sopra. E poi, quando aveva esaurito le idee, decideva di sdraiarsi a terra, cospargendosi di piume d'oca e petali di rose, e muovendo il ditino nei confronti di un Davidù che, in quel frangente, riuscì ad elaborare il più intelligente pensiero della sua vita.

"Ma 'ste fate so' tutte porche!" - rivelò.
"Ciao, avventuriero. Alcune voci mi aveva riferito del tuo arrivo" - disse lei, languida.
"I folletti? Le altre fate?" - chiese Davidù fissandole solo il davanzale scoperto.
"No. Gli alieni. Sai, sono tra noi. E ci vogliono bene."
"Inizio a pensare che questo sia un covo di matti, ma la legge Basaglia qui non è passata?" - chiese sorprendosi di cosa avesse detto.
"Dici cose che io non comprendo, eppur ho studiato molto in passato. Mi son fatta, se puoi notare, un fondoschiena così per laurearmi!" - e gli mostra il lato B, ovviamente scoperto.
"Allora rimanere così tanto sui libri fa bene! Oh Buddha, non ci avevo mai pensato!" - esclamò Davidù visibilmente ingrifato.
"Senti, avventuriero, cosa stai cercando in questo luogo?" - chiese lei, provocante.
"Il futuro" - rispose lui, guardando al cielo.
"Dove sta?" - chiese lei alzando anch'essa il mento nella della direzione.
"Cosa?"
"Il futuro che tu cerchi, è qualcosa molto lontano? Come gli alieni?"
"No. Cioè sì. E' lontano ma non in senso letterale." - disse lui.
"Non capisco." - rivelò lei.
"Lo sospettavo." - assicurò lui.
"Vuoi vedermi le tette?" - disse lei, camuffando la richiesta in un modo così perfetto che non vi sto qui a dire.
"Già fatt...ehm...volevo dire: ti ringrazio per la proposta ma devo andare. Probabilmente non è qui ciò che cerco."
"Ah, mi abbandoni eh? Guarda che io conosco gente che può farti male. Io conosco Omaba, io conosco tutti quelli che abitano nel tuo condominio." - si adirò.
"Ne convengo, ora debbo proprio scappare!" - cercò di prendere il largò ma lei, togliendosi ogni capo da dosso, lo bloccò al muro.
"Guarda che io ti rovino, ti distruggo. Io ti faccio a fettine, io ti macello, io ho poteri che tu non puoi mai immaginare, decerebrato essere cuneiforme!" - continuò. Ma, ad un tratto, Minzolò le portò una bevanda energetica che le cambiò lievemente l'umore. Davidù rimane a guardare quella trasformazione quasi rapito dalla forza sconvolgente di quell'intruglio, o forse continuava a fissarle le poppe senza interessarsi del resto.
"Avventuriero, tu vuoi amarmi, lo so. Vieni qui, dammi amore, io ti dirò tutti i segreti del mondo occidentale, orientale e anche di Omaba. E' mio amico, intimo. Ha tante cose belle, quell'uomo lì, e se devo fare un appunto: le leggende sugli omini colorati son tutte vere!"
"La ringrazio, per l'aiuto e per le notizie, ma vado. Ho la pasta sul fuoco, ho un bisogno urgente, debbo trovare il sacro Graal, la ringrazio di tutto ma la saluto. Ci vediamo a ritorno, mi resti sempre così in forma."
Minzolò la trattenne per tutto il tempo in cui Davidù era ancora ben visibile, poi si lavò le mani visibilmente schifato. Fata Tommasa gli si lanciava addosso ma senza risultato, Minzolò le rivelò che il suo cuore era già di un altro. Di Lui. Tommasa rimane sconvolta e si ritirò verso la sua dimora.

Davidù intanto proseguiva il suo percorso e si ritrovò in una selva oscura...

Continua...

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